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mercoledì 17 novembre 2021

FESTIVAL DELL’ECCELLENZA AL FEMMINILE
RIPARTE A SALA MERCATO
CON "L'AGOTA KRISTOF  E LA FEDRA DI GALATEA RANZI

16 novembre – SALA MERCATO
LA CHIAVE DELL’ASCENSORE
Ripresa – Testo di Agota Kristof. Traduzione di Elisabetta Rasy
con Anna Paola Vellaccio
Allestimento e regia di Fabrizio Arcuri
Assistente in scena Edoardo De Piccoli / Assistente alla regia Francesca Zerilli
Cura Giulia Basel / Assistente alla produzione Marilisa D’Amico / Foto di scena Roberta Verzella, Tiziano Ionta / Grafica Antonio Stella
Produzione Florian Metateatro – Centro di produzione Teatrale
Ne “La chiave dell’ascensore” è messo in scena un sacrificio; il racconto, la statica e tutta verbale azione tesa a ristabilire una verità, coincide con una messa a morte. La verità si gioca nello spazio apparentemente ristretto che divide l’io e il tu di una coppia; il gioco del sacrificio è esplicito perché la vittima, ribellandosi, lo esibisce. Anche la scena si mostra per quel che è; non solo un territorio separato, ma addirittura inaccessibile a chi non ha una certa chiave, uno speciale strumento, cioè uno speciale potere. Gran parte di ciò che accade e soprattutto di ciò che conta, accade fuori, altrove: la scena di Agota Kristof è un luogo di reclusione, uno spazio concentrazionario. Dove agiscono, mascherati da piccole situazioni intimiste, ampi cerimoniali di tortura e messa a morte. Alle vittime non resta che una chance, nel claustrofobico spazio che sono condannate ad abitare: far sapere che c’è un’altra versione dei fatti. Non c’è coraggio, virtù, grandezza nel conflitto che oppone la Moglie della Chiave dell’ascensore al Marito, e la mano del cielo che s’incarna nel compiacente medico di regime – del regime coniugale che vige nella stanza rotonda alla quale si può accedere solo con l’ascensore – sta all’abietto gioco delle circostanze. Ciò che salva la scena delle relazioni in atto dal perdersi definitivamente in una musica funebre è, appunto, un unico possibile gesto di coraggio che coincide con un gesto di disperata resistenza: la testimonianza di un’altra verità, la verità della vittima. Elisabetta Rasy (dall’introduzione al testo edito da Einaudi)

Una stanza che gli spettatori sbirciano da una finestra. Avvolta dalle volute della nebbia e dal vento che le muove i capelli...la donna racconta la storia a se stessa, la racconta per l'ennesima volta. Tutto è reale e simbolico allo stesso tempo le luci, i rumori, la voce che le fa eco che le rimbomba nella testa, mentre accetta ogni privazione, accetta di non muoversi più, di non sentire più, di non vedere più, fino a che non arriva la minaccia. Piuttosto la vita ma non la voce. Perdere la voce significa perdere la possibilità di esprimersi più di qualunque altro senso. Allo spettatore non resta che cadere lentamente dentro le maglie di questa tragedia che da favola pian piano svela il suo risvolto fino ad arrivare ad essere baratro, nera testimonianza di tanti soprusi di cui le nostre cronache sono piene. Sotto la superficie della scena che ci si apre dinnanzi c’è qualcosa di invisibile ma minaccioso. Anche dal tono pacato della protagonista, del resto, emerge di tanto in tanto la sua vera condizione. L’amore è anche volontà di possedere l’altro. Quando questo istinto va fuori controllo gli esiti sono nefasti, perché un essere umano non si riduce mai ad un solo ruolo, sarà sempre anche altro rispetto alla parte che riveste in un determinato rapporto sociale (la coppia, ad esempio) e quindi non potrà mai esser totalmente dominato dall’altro. È una lotta che l’oppressore non può vincere, sembra dirci Kristóf, almeno sul piano dell’assoggettamento mentale: il desiderio di libertà è insopprimibile; la Donna, piegata, resa folle, scissa, conserva comunque la volontà di essere un individuo e non cede all’assimilazione. Potranno toglierle la vita, ma non si farà strappare la voce per gridare al mondo la sua condizione. Frasi brevi, una sintassi cruda, dialoghi ridotti all'essenziale, assenza di aggettivi: il fascino di questo testo scritto in francese nel 1977 sta proprio nell'economia di mezzi e nella loro intensità. Nel teatro, luogo dell’incontro per eccellenza, l’autrice trova il mezzo ideale per esprimere il suo messaggio: la speranza è nella parola, nella comunicazione con gli altri. Fabrizio Arcuri, note di regia

TRAILER SPETTACOLO https://www.youtube.com/watch?v=UpMWRO11DoI

Ágota Kristóf, nata nel 1935 a Csikvánd, un villaggio dell'Ungheria nel 1956, in seguito all'intervento dell'Armata Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l'invasione sovietica, fugge con il marito e la figlia in Svizzera e si stabilisce a Neuchâtel, dove vivrà fino alla morte. Non perdonerà mai al marito la decisione di allora, presa per paura di essere arrestato dai sovietici, tanto che in una intervista dirà: “Due anni di galera in Urss erano probabilmente meglio di cinque anni di fabbrica in Svizzera”. Ma dirà anche “Bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno

Anna Paola Vellaccio debutta in teatro a 15 anni in “Paradis” di Philippe Sollers, regia di Gian Marco Montesano per il Florian, Teatro Stabile di Innovazione di Pescara, con il quale da allora collabora costantemente. È stata diretta, tra gli altri, da Claudio Collovà, Walter Manfrè, Ugo Margio, Giorgio Marini, Enrico Frattaroli, Pippo Di Marca, Vincenzo Manna, Roberto Latini, Fabrizio Arcuri, Maurizio Scaparro. Ha recitato inoltre in cortometraggi, tv, cinema (“Il siero della vanità” di Alex Infascelli, “Notizie degli scavi” di Emidio Greco) e radio, partecipando a diversi radiodrammi prodotti da RAI RadioTre.

Fabrizio Arcuri

Fondatore, direttore artistico e regista di tutte le produzioni di Accademia degli artefatti. Co-direttore artistico del Teatro della Tosse di Genova per il triennio 2011 - 2013 e consulente alla programmazione per il 2014/15. Dal 2009 al 2012 cura il festival internazionale PROSPETTIVA per lo Stabile di Torino (Premio Ubu 2011). Dal 2009 è regista del Festival Internazionale delle Letterature di Massenzio. Dal 2006 è direttore artistico del festival SHORTTHEATRE. Ha lavorato come regista assistente di Luca Ronconi dal 2005 al 2008. Premio della critica 2010 con SPARA/TROVA IL TESORO/RIPETI. Nel 2011, Premio Hystrio alla regia. Nel 2012 regista per il Teatro Stabile di Torino di FATZER FRAGMENT, in coproduzione con Volksbune di Berlino. Nel 2014 è stato curatore e regista del progetto del Teatro di Roma, RITRATTO DI UNA CAPITALE. A febbraio 2016 debutta CANDIDE di Mark Ravenhill, ispirato all’opera di Voltaire, di cui cura la regia per Teatro di Roma in collaborazione con Centro Teatrale Santacristina. Ha curato la direzione artistica e l'allestimento della manifestazione La Festa di Roma per il capodanno 2016/2017 e 2017/2018. Ha collaborato con le istituzioni universitarie, tenendo o partecipando a seminari, del DAMS di Roma, dell’Università dell’Aquila, del DAMS di Torino, dell’Università Roma Uno e Roma Tre. Ha collaborato con Rai Radio3, realizzando alcuni documentari sul teatro.

Per gli spettacoli al Teatro Nazionale di Genova BIGLIETTI intero € 16 under 30 (e donne delle associazioni femminili e dei centri antiviolenza) € 11.

L’accesso sarà consentito esclusivamente ai visitatori muniti di Green Pass.

BIGLIETTERIE Teatro Ivo Chiesa /Teatro Modena/Teatro Eleonora Duse

Biglietteria telefonica 010 5342400 (da martedì a sabato ore 10-13 e 15-18)

Biglietteria online Info: 0105342300 / biglietti.teatronazionalegenova.it

www.teatronazionalegenova.it

www.eccellenzalfemminile.it

17 e 18 novembre – SALA MERCATO
FEDRA DIRITTO ALL’AMORE
Ripresa -Testo originale di Eva Cantarella
Con Galatea Ranzi
Regia e immagini Consuelo Barilari
Consulenza drammaturgia ai testi greci Marco Avogadro
Musiche Andrea Nicolini
Voce registrata Marco Avogadro
Luci Liliana Iadeluca / Editor video ed immagini Angela Di Tomaso
Creazione oggetti di scena Paola Ratto / Sarta Umberta Burroni
La canzone finale è di Carmen Consoli
Una produzione Schegge di Mediterraneo – Festival dell’Eccellenza al Femminile*

FEDRA DIRITTO ALL’AMORE è uno spettacolo multimediale nato da un lungo lavoro di ricerca sui nuovi linguaggi teatrali. Il testo propone un’attualizzazione del mito ed è il frutto della ricerca sulla figura di Fedra da parte di una delle più importanti studiose del mondo greco romano: Eva Cantarella.

Lo spettacolo non è un monologo in senso classico. Video, sonoro e luci portano in scena in una scatola multimediale parti e personaggi della vicenda, in continua interazione con l’attrice, sviluppando il racconto su diversi piani di narrazione. Galatea Ranzi è l'interprete di Fedra, "la luminosa": consapevole ma tormentata, ribelle e pronta a sfidare la condanna morale della famiglia e della società per la ricerca della libertà. Non c'è predestinazione divina né maledizione in questa nuova Fedra: passione e intelligenza la portano al cambiamento. Bellissima e misteriosa, amata e rispettata, Fedra con la morte rivendica la libertà di amare e diventa simbolo dei diritti e della libertà delle donne.

Fedra: Il Mito

Ppurtroppo, le conoscenze che possediamo non ci consentono di stabilire con precisione come e quando le figure del Mito furono ‘declassate’ dal rango di divinità a quello di eroine, conservando solo labili tracce della loro originaria natura. Possiamo unicamente prendere atto che il processo di antropomorfizzazione caratteristico della cultura ellenica venne talvolta portato alle sue estreme conseguenze, non limitandosi solo a immaginare dèi fatti a immagine e somiglianza degli uomini, ma trasformando addirittura in esseri mortali alcuni di essi. In certi casi il culto eroico celebrò la passione e la morte di questi personaggi fino a divinizzarli: così avvenne ad Arianna, mutata in costellazione dopo l’unione con Dioniso, sorella di Fedra, la protagonista della saga cretese che aveva il suo fulcro nel bestiale accoppiamento di Pasifae col toro e nella nascita del Minotauro, destinato a perpetuarsi nella rovinosa lussuria delle sue due figlie. La prima, Arianna, aiuta Teseo, l’eroe straniero di cui si è perdutamente innamorata, a uccidere il suo mostruoso fratellastro e a uscire indenne dalle inestricabili tortuosità del Labirinto; ma poi ne viene ricambiata con l’abbandono in un’isola deserta e, secondo un’inquietante versione del mito, si impicca per la vergogna e la disperazione. La seconda, Fedra, nel Mito si fa strumento inconsapevole della maledizione lanciata dalla sorella contro l’amante fedifrago: divenuta a sua volta sposa di Teseo, concepisce una passione inconfessabile per il figliastro Ippolito e, alla rivelazione del proprio segreto, si suicida come Arianna, ma trascina nella sua distruzione anche il giovane amato, inducendo lo stesso Teseo a provocarne la morte. Questo è il Mito della Fedra ‘umana’, reso immortale da tanti poeti antichi e moderni che lo hanno rivisitato, arricchendolo ognuno di diverse sfumature e facendo della principessa cretese una delle figure chiave del teatro europeo. Eppure i tratti dell’antica divinità, resi sbiaditi dal processo di umanizzazione, si intravedono nel dramma che ha per protagonista la sventurata matrigna di Ippolito; ma solo in tempi a noi molto vicini, con la nascita dell’antropologia e della psicanalisi, il dramma di Fedra è stato riproposto in base a chiavi di lettura diverse da quelle tradizionali, In principio fu Fedra, «la luminosa», uno dei tanti nomi dietro cui si cela «la Dea Bianca», la stessa antichissima figura divina dietro i nomi di sua madre Pasifae, «colei che a tutti appare», e di sua sorella Arianna, «la purissima», ma prima ancora in quello di Europa, «dall’ampio volto», che era stata rapita da Zeus in sembianza di toro e che dal dio aveva generato Minosse, padre delle due principesse cretesi: tutti nomi che rivelano il luminoso astro della notte, adorato come divinità femminile celeste. «Questi nomi ci parlano di un volto largo, purissimo, splendente, che rischiara da lontano, che rischiara tutti, come la luna…».

Lo spettacolo: la trama

Fedra è la moglie in seconde nozze di Teseo, reggente di Atene, che, in prime nozze, ha avuto un figlio, Ippolito. Il giovane, che vive lontano dalla famiglia, quando ritorna a casa richiamato dal padre, incontra per la prima volta la matrigna, scatenando in lei una violenta passione. L’amore per Ippolito, bellissimo, giovane e “selvaggio” nella sua caparbietà e passione per la vita, travolge Fedra fino al suicidio e porta il giovane alla morte. […] figure solo a metà conosciute, per metà sempre straniere, significati afferrati solo un istante, e presto svaniti […]. Ma in chi legge risuona d’un tratto un tempo diverso, un timbro cultuale e religioso, attraverso cui affiora la memoria di un simbolismo già antico quando venne raccolto dal poeta tragico.

Il personaggio: Fedra “la luminosa”

Galatea Ranzi è l’interprete di Fedra “la luminosa” (questo è il significato del nome). La nuova Fedra, consapevole anche se tormentata, ribelle e determinata nella trasgressione, pronta a sfidare nella ricerca della libertà la condanna morale della famiglia e della società, capace di rompere gli schemi e l'ordine della cultura patriarcale antica. Non c'è predestinazione divina né maledizione genetica in questa nuova Fedra: passione e intelligenza la spingono a trasgredire. Il cambiamento è l'esigenza a cui lei risponde con il proprio istinto: bellissima e misteriosa, amata e rispettata, Fedra muore suicidandosi con il veleno, e in questo modo rivendica la libertà di amare e diventa paladina dei diritti e della libertà delle donne.

Un progetto di messa in scena che si ispira a un grande film

La scrittura qui si fonde con una messa in scena moderna e multimediale che fa riferimento visivo all’atmosfera “noir” del cinema di A. Hitchcock. Qui l’eroina di Euripide è posta in una “altra” dimensione che si ispira al glamour degli anni sessanta. La messa in scena gioca drammaturgicamente sull’impatto e il coinvolgimento emotivo attraverso la costruzione del processo d’identificazione dello spettatore, con l’uso delle proiezioni video e cinematografiche che inducono i meccanismi della suspense, esaltando la forza drammatica e misteriosa della vicenda umana di Fedra. Lo spettacolo si ispira agli scenari del film Phaedra che Jules Dassin, negli anni ’50 assistente alla regia dello stesso Hitchcock, girò nel 1961 con l’attrice Melina Mercuri, e Anthony Perkins nel ruolo di Ippolito. Lo spettacolo rompe lo schema temporale della storia che tutti conosciamo; la scena si apre quando il fatto è già avvenuto proprio con l’elaborazione di una sequenza cinematografica presa dal film di Dassin: l’incidente di macchina in cui Ippolito muore scomparendo tra i flutti del mare.

Suggestioni dal film

“Fedra rivive un tormentato flash-back di tutta la vicenda, prigioniera di uno spazio scenico delimitato da due grandi tulle, una “quarta parete” e un fondale; la scena è costruita da immagini filmiche, video scenografie, in sovrapposizioni 3D visive e sonore con effetti multimediali nella recitazione. Fedra si muove quasi fosse di fronte a un terzo occhio, una immaginaria telecamera fissa che la spia costantemente nel profondo delle emozioni. Intorno a lei le ombre. I fantasmi dei personaggi del dramma: la nutrice, Ippolito Teseo, il Minotauro, Arianna, Pasifae, diventano frammenti del suo corpo, della sua voce, che si moltiplicano in continuo scambio tra Mito, contemporaneità e altro reale. La tecnica delle proiezioni e del multimediale supporta il testo classico con un nuovo livello drammaturgico, in un carosello di linguaggi che si intrecciano e compenetrano con l’attore e la parola. La Nuova Fedra nasce dal cambiamento, ovvero dalle ceneri della Fedra prigioniera della classicità, la Nuova Fedra nella trasfigurazione della morte diventa simbolo della libertà e del Diritto universale all’amore Il risultato è un’operazione molto attuale. Nel tentativo di cogliere una moderna verità dall’eroina tragica di Euripide, si raccolgono i retaggi della più moderna visione poetica della classicità”. (Consuelo Barilari)

Il testo

Eva Cantarella, tra le più grandi studiose contemporanee della classicità, grecista da sempre attenta al femminile, docente di Diritto Greco e Romano, ci restituisce una versione drammaturgica moderna, che intende comunicare al pubblico l’importanza dell’influenza delle eroine classiche nell’immaginario collettivo anche contemporaneo. “Ripensare alle idee dei Greci aiuta a ragionare sul peso e sugli aspetti della loro eredità nella cultura contemporanea”. Eva Cantarella sostiene che “la nascita della discriminazione di genere sia da ricercare nell’antica Grecia insieme alla democrazia, al teatro, all’arte e che all’età classica sia dovuta la nascita della differenza sessuale, fondata soprattutto sul Mito come differenza non soltanto naturale, ma accompagnata a caratteristiche sociali, culturali.” Questa nuova, moderna Fedra scritta appositamente da Eva Cantarella, avvalendosi di diverse interpretazioni mutuate da Euripide, dall’opera di D’Annunzio, da Seneca, da Racine, apre ad un’interessante riflessione sulla vita e sulla condizione delle donne dai tempi dell’antica Grecia ai nostri giorni e mette in luce l’importante funzione sociale del Teatro inteso come strumento anche di creazione giuridica, oltre che poetica in materia di Diritti. Il testo nasce da un lavoro preliminare sperimentato dall'autrice in letture a più voci, sulle due tragedie di Euripide Ippolito Velato e Ippolito Incoronato. Il personaggio di Fedra che appare in “Ippolito Incoronato” è messo a confronto con quello che appare nell’altra tragedia, anch’essa di Euripide di cui rimangono pochi frammenti superstiti. Questa tragedia è andata in scena alcuni anni prima. La figura di Fedra nel primo scritto appare molto diversa da quella che nel secondo tragicamente si suicida travolta all’amore incestuoso, e non corrisposto, per il figliastro Ippolito. Qui troviamo una Fedra volubile ma conscia del suo sé, forte e combattiva. Tuttora ci si interroga sul perché Euripide abbia sentito il bisogno, pochi anni dopo averlo rappresentato, di tornare sul personaggio di Fedra.

TRAILER DELLO SPETTACOLO https://www.youtube.com/watch?v=sPOZVRZtotw&t=56s

BIOGRAFIE

Galatea Ranzi è apprezzata attrice teatrale, cinematografica e di fiction televisiva. Nel 1988 vince il Premio Ubu come migliore attrice giovane, e nello stesso anno riceve una menzione speciale per il Premio Eleonora Duse. Nel 2012 per l’interpretazione di “Mistero doloroso” tratto da un’opera di Anna Maria Ortese le viene assegnato il Premio Eleonora Duse. Molti sono gli spettacoli che Galatea interpreta da protagonista con la regia di Luca Ronconi, tra cui ricordiamo “Re Lear” di Shakespeare, “Il sogno” di Strindberg, “Lolita” di Nabokov, “Quel che sapeva Maisie” di James, “Le baccanti” di Euripide, “Prometeo incatenato” di Eschilo. È attrice nei film “Caterina va in città” di Virzì, “Il pranzo della domenica” di Vanzina, “La vita che vorrei” di Piccioni, “Tre metri sopra il cielo” di Lucini, “La grande bellezza” di Sorrentino, vincitore del Premio Oscar.

Eva Cantarella, tra le più grandi studiose contemporanee della classicità, grecista da sempre attenta al femminile, docente di Diritto Greco e Romano, ci restituisce una versione drammaturgica moderna, che intende comunicare al pubblico l’importanza dell’influenza delle eroine classiche nell’immaginario collettivo anche contemporaneo. “Ripensare alle idee dei Greci aiuta a ragionare sul peso e sugli aspetti della loro eredità nella cultura contemporanea”. Eva Cantarella sostiene che “la nascita della discriminazione di genere sia da ricercare nell’antica Grecia insieme alla democrazia, al teatro, all’arte e che all’età classica sia dovuta la nascita della differenza sessuale, fondata soprattutto sul Mito come differenza non soltanto naturale, ma accompagnata a caratteristiche sociali, culturali.” Questa nuova, moderna Fedra scritta appositamente da Eva Cantarella, avvalendosi di diverse interpretazioni mutuate da Euripide, dall’opera di D’Annunzio, da Seneca, da Racine, apre ad un’interessante riflessione sulla vita e sulla condizione delle donne dai tempi dell’antica Grecia ai nostri giorni e mette in luce l’importante funzione sociale del Teatro inteso come strumento anche di creazione giuridica, oltre che poetica in materia di Diritti. Il testo nasce da un lavoro preliminare sperimentato dall'autrice in letture a più voci, sulle due tragedie di Euripide Ippolito Velato e Ippolito Incoronato.

Consuelo Barilari regista, è ideatrice e Direttrice del Festival dell’Eccellenza al Femminile che ha avuto il riconoscimento di tre Medaglie del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Patrocinio dell’Unesco peri Beni Immateriali. Si occupa dal 2003 di creazione e regia di spettacoli teatrali prevalentemente da opere di nuova drammaturgia italiana, attenta ai temi del Mediterraneo e del “femminile”. Dal 2006 è regista di svariati spettacoli tra cui di “I Templari. Ultimo atto” con Paolo Graziosi e Sergio Romano, anche film per RAI 2; “Matilde di Canossa” con M. Kustermann e R. Alinghieri; “Le Crociate viste dagli Arabi” con Elia Shilton e una compagnia internazionale composta da 22 interpreti, con cui vince il progetto Europeo Schegge di Mediterraneo; “Federico. Notte di presagi” con P. Bonacelli; “Io Federico” con M. Venturiello; “Albert Camus e Jean Grenier. La fortuna di trovare un maestro” con F. Parenti e R. Alinghieri. “La Duchessa di Amalfi” di J. Webster con Mariangela D’Abbraccio; nel 2012 “Camille Claudel” di Dacia Maraini con Mariangela D’Abbraccio; “Fool I comici in Shakespeare” di Masolino D’Amico con il Globe Theatre di Roma. Lo Sguardo Di Orfeo 6 episodi teatrali tragicomici sul Mito di Orfeo, progetto con la regia di Marco Avogadro, Duccio Camerini, David Gallarello. Caro Eduardo, di Consuelo Barilari con Lina Sastri. (2016) Dante per voce femminile, con Moni Ovadia e Pamela Villoresi. Napule è n’ata storia (2017), di Pino Daniele ed Eduardo de Filippo, con Mariangela D’Abbraccio e Musica da Ripostiglio con debutto Teatro Quirino Roma. Matilde di Canossa, con Alessandra Fallucchi, Edoardo Siravo. Artemisia, Caterina, Ipazia… e le altre con Laura Curino. (2019/2020)

Per gli spettacoli al Teatro Nazionale di Genova BIGLIETTI intero € 16 under 30 (e donne delle associazioni femminili e dei centri antiviolenza) € 11.

L’accesso sarà consentito esclusivamente ai visitatori muniti di Green Pass.

BIGLIETTERIE Teatro Ivo Chiesa /Teatro Modena/Teatro Eleonora Duse

Biglietteria telefonica 010 5342400 (da martedì a sabato ore 10-13 e 15-18)

Biglietteria online Info: 0105342300 / biglietti.teatronazionalegenova.it





















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