SALA UMBERTO DI ROMA
STAGIONE TEATRALE 2025 / 2026
MELISSA VETTORE
PRIMA FACIE
traduttrice Margherita Mauro
costumi Giovanna Buzzi | compositrice Maria Bonzanigo | assistente alla Regia Ilaria Cangialosi
scenografie e Accessori Matteo Verlicchi | video designer Roberto Vitalini - bashiba.com
produzione esecutiva Patrizia Capellari | produttore Antonio Vergamini
direttore tecnico e assistente light designer Pietro Maspero
coordinamento comunicazione, foto di scena Viviana Cangialosi | comunicazione Federica Zampatti
ufficio Stampa Alessandra Morgagni e Barbara Ruiz | graphic design Antonio Vettore Catan
ricerca Marco Finzi | produzione Gea Pavan, Francesca Comin, Marc-André Goyer
amministrazione Katia Lamacchia | photo portraits Ale Catan
regia e disegno luci DANIELE FINZI PASCA
produzione Compagnia Finzi Pasca
Messo in scena in più di 37 paesi, lo spettacolo racconta la storia di Tessa, un’avvocata penalista spesso impegnata in casi di violenza sessuale. Improvvisamente un evento sconvolgente la porta a confrontarsi con il sistema giudiziario in modo completamente diverso.
PRIMA FACIE ha generato ovunque dibattiti sulla necessità di un sistema giudiziario più attento alle esigenze delle vittime di reati sessuali. Il movimento d’opinione che si è creato intorno, in occasione delle rappresentazioni a Londra, ha determinato perfino modifiche legislative nel Regno Unito e ha portato l'autrice Suzie Miller all’ONU per discutere dell’approccio adottato nei confronti delle vittime di abusi o molestie sessuali.
Lo spettacolo incoraggia le donne a condividere le proprie esperienze e contribuisce alla formazione di un movimento di sostegno, coinvolgendo tutta la società a riflettere su nuove prospettive in ambito giuridico.
PRIMA FACIE ha debuttato a Sydney nel 2019. Nell'aprile del 2022 è andato in scena a Londra vincendo due Laurence Olivier Award for Best New Play e Best Actress. Nel giugno del 2023 ha debuttato a Broadway.
Da quel momento, lo spettacolo è diventato un fenomeno globale, ha vinto prestigiosi premi ed è stato messo in scena in 20 lingue diverse.
NOTE DI REGIA
Il linguaggio di Suzie Miller è incalzante, ritmato, musicale e in modo sorprendente ci travolge con una storia semplice e allo stesso tempo emblematica. Come difendersi, come sentirsi protetti dalle istituzioni e in un senso più lato dalla giustizia sono domande che emergono in modo lucido in questo monologo. Con gli amici di sempre costruiremo un impianto teatrale che vorrei sorprendente così da fare da contrappunto a questa scrittura brillante. Amo le macchine che producono stupore, amo la leggerezza, amo le storie raccontate da attori virtuosi, carichi di umanità e in questa nostra nuova produzione tutti questi elementi si stanno riunendo.
Melissa è un’attrice capace di interpretare con delicatezza donne forti e allo stesso tempo rese fragili dalla vita. La sua Camille Claudel e poi Isadora Duncan sono state due sfide meravigliose che hanno portato a costruire spettacoli restati in cartellone per anni. Con i creatori della Compagnia non è la prima volta che affrontiamo e raccontiamo figure femminili devastate dalla vita, lo abbiamo fatto in Aida, poi in Carmen e recentemente in Maria de Buenos Aires. Siamo gli stessi che di volta in volta possiamo affrontare la monumentalità di Cerimonie Olimpiche o avventure profondamente essenziali.
In PRIMA FACIE non muterò nulla della bellezza di questo impianto drammaturgico, provando con Melissa a raccontare in punta di piedi una storia che continua tragicamente a riproporsi ovunque e in modo violentemente ostinato.
Daniele Finzi Pasca
7 – 12 ottobre 2025
CATERINA GUZZANTI | FEDERICO VIGORITO
SECONDO LEI
collaborazione artistica Paola Rotaluci Cristian Zucaro | scenografia Eleonora De Leo
effetti sonori Angelo Elle | costumi a cura di Ziamme
scritto e diretto da CATERINA GUZZANTIproduzione Infinito e Argot produzioni in coproduzione con Teatro Stabile di BolzanoIn collaborazione con Riccione Teatro e con il contributo di Regione Toscana
Progetto nato nell’ambito di Scritture - Scuola di Drammaturgia diretta da Lucia Calamaro
SECONDO LEI è la narrazione, dal punto di vista femminile, delle dinamiche nascoste che regolano i rapporti all’interno di una coppia. L’amore, che dovrebbe essere un luogo sicuro e sano, diventa un silenzioso campo di battaglia in cui fraintendimenti, bisogni e necessità si confondono e affondano in un pantano inevitabile di aspettative tradite e promesse sistematicamente rimosse, imprigionando i due protagonisti i in ruoli precisi e precari, mentre bramano soltanto di essere accettati.
Il bisogno di realtà, di trovare una soluzione tangibile alla distanza creatasi tra lui e lei, irrompe e rimbomba nella loro vita, ne condiziona prepotentemente i pensieri e le scelte, lasciandoli sopraffatti da un sentimento di imbarazzo e di inadeguatezza.
SECONDO LEI è una storia che invita a riflettere su come la nostra cultura e la società in cui viviamo, malgrado la strada che ci sembra, almeno in apparenza, intrapresa, continuano a condizionare in modo invalidante sia le donne che gli uomini nelle scelte principali della loro vita così come nelle relazioni, nei legami più intimi con l’altro e con noi stessi.
LUCREZIA LANTE DELLA ROVERE | ARCANGELO IANNACE
NON SI FA COSI'
testo di Audrey Schebat | traduzione di Virginia Acqua
regia di FRANCESCO ZECCA
produzione Argot Produzioni
in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito
Francesca e Giulio, in apparenza, sembrano una coppia stabile e solida fino a quando Francesca, pianista di fama mondiale, tornata inaspettatamente da un viaggio di lavoro, scopre e impedisce che Giulio, un riconosciuto psicoanalista, commetta l’irreparabile.
Per lei il comportamento di Giulio appare inspiegabile, non c’era stata alcuna avvisaglia. Perché allora?
La commedia prende il via proprio dall’iniziale shock di Francesca e dalla necessità di comprendere il gesto che il compagno stava per compiere: abbandonare tutto, andare via per sempre, attaccato al lampadario della loro casa, sul tavolo della loro cucina. Una lettera di commiato le avrebbe permesso di comprendere le sue ragioni ma lui non l’ha scritta.
Seguirà una notte durante la quale la coppia è costretta a fare il punto sulle loro vite, sulle scelte e sulle non scelte, sull’inconciliabilità di alcuni pensieri e azioni e, inevitabilmente, sulla loro relazione.
In discussione la coppia e la sua longevità, il desiderio, l’inadeguatezza, gli interrogatori permanenti in grado di sfidare il tempo. Ci nascondiamo ogni giorno dietro le nostre routine, aggrappati ai nostri lavori più o meno soddisfacenti, alla ricerca di quei successi tanto agognati ma che, da motore delle nostre esistenze, sono diventati trappole per le nostre anime.
Davanti a un grande dolore ci sono due possibilità: o si soccombe o si ritrova la motivazione per riaccendere lo sguardo, smascherando le nostre anime e rimettono in luce i nascondigli dei nostri cuori.
Una sola notte per lasciarsi o amarsi di nuovo. Una sola notte per reinventare il proprio destino.
Un testo, quello di Audrey Schebat che, alternando rabbia e umorismo, con una forza insolita, scuote i suoi personaggi, divertendo ed emozionando il pubblico.
LUCIA POLI | GIORGIO LUPANO | MARIA ALBERTA NAVELLO | LUIGI TABITA
L'IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO
di Oscar Wilde | traduzione Masolino D’Amico
con GIULIA PAOLETTI | BRUNO CRUCITTI | GLORIA SAPIO | RICCARDO FEOLA
costumi Chiara Donato | scene Roberto Crea | luci Luigi Ascione
regia GEPPY GLEIJESES
produzione Dear Friends | Artisti Associati – Centro di Produzione Teatrale
“La commedia perfetta”, come da molti viene definito il capolavoro di Oscar Wilde, fu messo in scena dalla nostra compagnia la prima volta nel 2000, per due stagioni con Geppy Gleijeses nel ruolo di John Worthing, Lucia Poli in quello di Lady Bracknell e la regia di Mario Missiroli.
Gleijeses la ripropone curandone la regia, il titolo originale dell’opera sfrutta il gioco di parole in un linguaggio ricco di equivoci che provocano situazioni comiche che mettono sotto la lente di ingrandimento l’ambiente salottiero della società Vittoriana, ma soprattutto il principio di verità e falsità degli avvenimenti e dell’identità dei vari personaggi.
La commedia ci invita a riflettere su come anche oggi le convenzioni influenzino le nostre vite e le nostre scelte. La commedia non veniva messa in scena in un’edizione importante da tanti anni. Fu un successo strepitoso: è ancora il record di presenze al Teatro della Pergola di Firenze (si vendettero i “posti d’ascolto”, totalmente privi di visibilità), al Teatro Goldoni di Venezia, al Franco Parenti di Milano e in tanti altri teatri.
Ora, con la regia di Geppy Gleijeses e con la magnifica Lucia Poli, riprendiamo in una nuova edizione questa perla del teatro mondiale, come se ne avessimo l’esclusiva.
PAOLA MINACCIONI
ELENA, LA MATTA
drammaturgia di ELISABETTA FIORITOliberamente ispirato al libro di GAETANO PETRAGLIA "La matta di piazza Giudìa", edito da Giuntina
con i musicisti VALERIO GUARALDI e CLAUDIO GIUSTI
musiche di VALERIO GUARALDI | scene Alessandro Chiticostumi Giulia Pagliarulo | disegno Luci Gerardo Buzzanca
regia di GIANCARLO NICOLETTI
produzione Altra Scena & Goldenart Production
con il patrocinio della FONDAZIONE MUSEO DELLA SHOAH
Fra documento storico, emozione e ironia, Paola Minaccioni torna a teatro con una grande prova d’attrice, vestendo i panni di un’antieroina del Novecento: Elena Di Porto, la “matta” del ghetto ebraico di Roma. Una storia vera tutta al femminile che si trasforma in uno spettacolo coinvolgente e di grande impatto emotivo.
Una storia di libertà, di femminismo ante litteram, di ribellione alle ingiustizie, un’eco di quanto accade ancora oggi nei regimi. È quella di Elena Di Porto, nata nel Ghetto di Roma, interpretata da Paola Minaccioni in ELENA, LA MATTA, in scena nei teatri italiani con la regia di Giancarlo Nicoletti, la drammaturgia di Elisabetta Fiorito, le musiche originali di Valerio Guaraldi, eseguite dallo stesso autore e Claudio Giusti.
Lo spettacolo è un emozionante viaggio nell’Italia del Fascismo, delle leggi razziali, della paura, ma anche della speranza e della solidarietà. La storia vera di Elena Di Porto trae spunto dal libro “Elena, La Matta di Piazza Giudia” di Gaetano Petraglia, edito da La Giuntina, ma anche dalle memorie di Settimia Spizzichino, unica sopravvissuta al rastrellamento del Ghetto, dai racconti dello storico David Kertzer e dalle testimonianze di Giacomo De Benedetti.
Lo spettacolo è un emozionante viaggio nell’Italia del Fascismo, delle leggi razziali, della paura, ma anche della speranza e della solidarietà. La storia vera di Elena Di Porto trae spunto dal libro “Elena, La Matta di Piazza Giudia” di Gaetano Petraglia, edito da La Giuntina, ma anche dalle memorie di Settimia Spizzichino, unica sopravvissuta al rastrellamento del Ghetto, dai racconti dello storico David Kertzer e dalle testimonianze di Giacomo De Benedetti.
Poverissima, stracciarola, dichiarata pazza dal regime, non lo era affatto. Nata nel 1912 da un’umile famiglia ebraica, Elena era una donna dal carattere singolare e ribelle, profondamente anticonformista.
Separata dal marito, indipendente, antifascista convinta e temeraria, poco disposta ad accettare passivamente ogni forma di sopruso, soprattutto nei confronti degli altri.
Ma anche di una donna complessa che ha continue crisi di rabbia quando vede un’ingiustizia e che per questo viene rinchiusa a Santa Maria della Pietà.
Elena passa attraverso la battaglia contro le angherie del regime, la persecuzione razziale, i reiterati ricoveri nell’Ospedale psichiatrico, gli scontri con le squadracce fasciste, il confino in Basilicata, il ritorno a Roma, il vano tentativo di resistenza durante l’occupazione nazista della Capitale fino al rastrellamento del 16 ottobre 1943.
Il tutto in un crescendo di emozioni dove la protagonista racconta in un romanesco addolcito la sua vita e i suoi scatti d’ira che la mettevano nei guai quando non ce la faceva più di subire le angherie e per dirla con le parole sue “je partiva er chicchero”.
“Ho voluto raccontare questa storia per dar vita di nuovo a Elena perché la sento dentro di me come fosse una sorella. Una donna alla quale ispirarsi ogni giorno, una storia di libertà che spero commuova il pubblico come ha commosso me”, spiega Paola Minaccioni che interpreta Elena con tutta la veracità e la potenza per raccontare una femminilità decisa, forte, fuori dagli stilemi e provata dalle angherie del regime.
Una matta non matta la cui storia rispecchia quanto sta accadendo attualmente nei paesi dominati dai regimi dove le donne che si ribellano vengono dichiarate ancora oggi “pazze”, simili a quelle che Elena incontrerà a Santa Maria della Pietà.
Dalle note di regia di Giancarlo Nicoletti: “Teatro di narrazione, monologo d’autore, rievocazione storica e grande performance attoriale: questi gli ingredienti per raccontare una storia che merita di non essere dimenticata. Tenendo presente che il teatro, quello buono, si gioca sempre ed essenzialmente su due cose: un grande testo e un grande interprete al servizio di una bella storia da raccontare.
Ricordandosi della necessità, intesa come necessità – in un momento storico come quello attuale – di fare della memoria storica la bussola per le nostre scelte e la lente per capire la contemporaneità.
Necessità, e urgenza, anche artistiche, perché Paola Minaccioni vuole essere Elena Di Porto e ha profondamente nelle vene tutta la veracità e la potenza per raccontare una femminilità decisa, forte, fuori dagli stilemi e provata dalle angherie del regime e del periodo storico.
Per nulla un monologo classico, quindi, ma uno spettacolo evocativo, e soprattutto emozionante. Con la volontà di raccontare un mondo, un’epoca, una figura di donna e, con esse, tutta una società.”
ALESSANDRO HABER
VOLEVO ESSERE MARLON BRANDO
tratto dall’opera Autobiografia di Alessandro Haber Volevo essere Marlon Brando
di Alessandro Haber e Mirko Capozzoli
Attori e musicisti in via di definizione
drammaturgia e regia GIANCARLO NICOLETTI
produzione Goldenart Production | Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
Tutto comincia con una voce. Una voce che arriva da lontano… forse dal cielo, forse dalla coscienza. Una chiamata surreale e inaspettata che impone ad Alessandro Haber un conto alla rovescia: una settimana di tempo per fare ordine nella propria vita, nei propri ricordi, nei propri desideri – prima di un appuntamento inevitabile.
È da questo spunto ironico, poetico e profondamente umano che prende vita "Volevo essere Marlon Brando": un racconto teatrale intenso e travolgente, a metà strada tra confessione e sogno, in cui Haber si mette a nudo, mescolando realtà e immaginazione, ricordi e visioni, ironia e malinconia.
In scena, in un grande “camerino” dell’attore zeppo di ricordi e oggetti della memoria una presenza femminile enigmatica e sorprendente, forse angelo, forse specchio, forse coscienza. E poi la musica: musicisti dal vivo e canzoni interpretate da Haber accompagnano e amplificano le emozioni, diventando parte integrante della narrazione.
È un viaggio dentro un’esistenza vissuta senza filtri né compromessi: l’infanzia tra Tel Aviv e Verona, gli amori tormentati, gli amici di sempre, le cadute e le rinascite, il mestiere dell’attore vissuto come missione e destino. Un flusso continuo in cui la risata si intreccia alla commozione, dove il dramma abbraccia la leggerezza, e ogni parola nasconde una verità condivisa con chi guarda e ascolta.
UNA STRUTTURA ORIGINALE E INEDITA
Lo spettacolo si sviluppa come un mosaico teatrale fluido e imprevedibile, dove i confini tra realtà e immaginazione si sfaldano in continuazione. Storie, visioni, ricordi e invenzioni si intrecciano in una narrazione che procede come un flusso di coscienza in scena: vivo, ironico, toccante e profondamente umano.
Tra apparizioni misteriose, dialoghi improvvisi e sogni a occhi aperti, ogni elemento si trasforma, si contamina, si reinventa. Un gioco di teatro-nel-teatro in cui tutto può accadere: il palcoscenico diventa uno spazio mentale, affettivo, emotivo, in cui lo spettatore è chiamato a entrare, riconoscersi, lasciarsi attraversare.
LO SPETTACOLO
"Volevo essere Marlon Brando" è una celebrazione del teatro e della vita, uno spettacolo che sa far sorridere, pensare, commuovere.
Giancarlo Nicoletti firma una regia che esalta il carisma unico di Alessandro Haber, costruendogli attorno un racconto su misura: autentico, viscerale, a tratti spiazzante e senza filtri, ma sempre sincero. Un intreccio teatrale che non ha paura di osare, dove la parola si intreccia alla musica, la confessione al gioco scenico, la memoria al desiderio.
Il risultato è uno spettacolo libero e indomabile, proprio come il suo protagonista: un attore che si mette in gioco fino in fondo, senza schermi né protezioni, in un viaggio teatrale che è anche un atto d’amore per l’arte, per la vita e per il pubblico.
Il finale?
Non è una risposta. È un punto di domanda lasciato aperto, come un sipario che si rifiuta di chiudersi del tutto.
LEO GASSMANN | SABRINA KNAFLITZ
UBI MAIOR
di Franco Bertini
con in o.a. BARBARA BEGALA | MATTEO TARANTO
costumi Teresa Acone | disegno Luci Pietro Sperduti | musiche originali di Adriano Pennino
regia di ENRICO MARIA LAMANNA
produzione I due della città del sole
Tito ha vent’anni ed è molto più di un campione di scherma: è un giovane brillante, carismatico e determinato, che ha conquistato il gradino più alto del podio olimpico con sacrificio e dedizione. Il successo lo ha reso celebre, gli sponsor lo corteggiano, ma lui non si lascia sedurre né dal denaro né dalle lusinghe del mondo mediatico dell’intrattenimento.
La sua vita è scandita da allenamenti, competizioni e continui spostamenti, tanto da non aver mai sentito davvero il bisogno di una casa tutta sua. Quando finalmente decide di farlo, resta comunque vicino alla famiglia.
Ma un giorno, un messaggio inaspettato di suo padre lo richiama bruscamente a casa.
C’è un problema. Un guaio serio, pericoloso, che nessuna vittoria sportiva può risolvere. Il problema più insidioso è costituito da una leggerezza commessa da Lorena, sua madre, per cui ora si ritrova ad avere a che fare con un personaggio poco raccomandabile.
Tito si trova davanti alla sfida più difficile della sua vita, ma questa volta non c’è una pedana su cui combattere, né un regolamento a stabilire le regole del gioco. I suoi genitori, da sempre punti di riferimento, si rivelano sotto una luce inedita e lui stesso scopre un lato di sé che non aveva mai immaginato.
Per proteggere la sua famiglia, Tito dovrà fare una scelta: restare fedele ai suoi principi morali o infrangere le sue stesse regole. In questa partita, non conta la forza, la tecnica o la disciplina… conta solo quanto si è disposti a sacrificare.
Ubi maior… minor cessat.
NOTE DI REGIA
Ritrovare un autore come Franco Bertini, dalla scrittura incisiva e appassionata, con cui ho avuto il piacere di collaborare fin dagli anni ’90, è un’esperienza che rinnova lo stimolo creativo. Accanto a lui, Sabrina Knaflitz, interprete di grande sensibilità, e Leo Gassmann, giovane talento dal naturale carisma, al suo debutto teatrale in un progetto che affronta il tema della famiglia in modo originale e contemporaneo.
La pièce mette in scena dinamiche intense e imprevedibili: un padre sull’orlo di una crisi di nervi, un figlio determinato, una madre custode di un segreto e un personaggio dalla forte impronta criminale, il tutto intrecciato da un colpo di scena che ribalta le prospettive.
Attraverso un linguaggio teatrale che alterna momenti di intensa emotività a spunti ironici, la regia costruisce un racconto visivamente impattante, tra luci cinematografiche, dissolvenze e una colonna sonora che accompagna e amplifica le emozioni. Un lavoro che si muove tra provocazione e coinvolgimento, capace di divertire e, al tempo stesso, toccare corde profonde.
Enrico Maria Lamanna
BIAGIO IZZO
FINCHÉ GIUDICE NON CI SEPARI
di Augusto Fornari, Toni Fornari, Andrea Maia, Vincenzo Sinopoli
con la partecipazione straordinaria di AUGUSTO FORNARI
e con in o.a. ADRIANO FALIVENE | CARLA FERRARO | ROBERTO GIORDANO | ADELE VITALE
musiche Gruppo SMP | assistente alla regia Ciro Paciullo | scene Massimo Comunedisegno luci Luigi Raia | costumi Federica Calabrese | grafica Max Laezza
organizzazione Giacomo Monda
regia AUGUSTO FORNARI
produzione A.G. Spettacoli Tradizione e Turismo
Mauro, Paolo, Roberto e Massimo sono quattro amici, tutti separati.
Massimo, libraio antiquario, è fresco di separazione e ha appena tentato il togliersi la vita. Il giudice gli ha levato tutto: la casa, la figlia e lo ha costretto a versare un cospicuo assegno mensile alla moglie. Con quello che resta del suo stipendio gli amici gli hanno trovato uno squallido appartamento, 35 mq. Massimo è disperato e i tre amici gli stanno vicino per rincuorarlo e controllare che non riprovi a mettere in atto l’insensato gesto. Ognuno dà consigli su come affrontare la separazione, questa nuova situazione e come ritornare a vivere una vita normale.
Proprio quando i tre sembrano essere riusciti a riportare alla ragione il loro amico, un’avvenente vicina di casa suona alla porta. All’apparire dell’affascinante donna, gli amici hanno un guizzo. Ma la sorpresa sarà grande quando i 4 amici scopriranno chi è la donna misteriosa…
NOTE DI REGIA
È una riflessione divertente sugli splendori e le miserie della vita di coppia, soprattutto quando la coppia “scoppia”, come si diceva una volta. Abbiamo tentato di mantenere una linea di recitazione “leggera”, senza fronzoli, asciutta.
Questo perché ci piacerebbe che il pubblico avesse la sensazione di spiare una “tranche de vie”, un pezzo di vita di qualcuno che potrebbe essere lui. Le storie che raccontano i nostri protagonisti sono reali, quotidiane, potremmo averle sentite in casa, in ufficio, per strada, potremmo averle fatte addirittura noi.
La forza propulsiva di “Finché giudice…” è proprio questa: è spiazzante per quanto ci riguarda e lo fa parlando una lingua che il pubblico capisce subito, e non si tratta naturalmente solo del dialetto, ma di temi che sono vivi, pulsanti e che riguardano davvero tutti.
Biagio Izzo parla questa lingua, prende per mano il pubblico, che conosce e ama, e lo conduce con ironia e generosità fino alle porte del suo cuore.
CARLO BUCCIROSSO
QUALCOSA E’ ANDATO STORTO
cast in via di definizionescritto e diretto da CARLO BUCCIROSSO
produzione A.G. Spettacoli Tradizione e Turismo
CAPOTRAVE
GIORGIO COLANGELI | MANUELA MANDRACCHIA | FEDERICA OMBRATO
LE VOLPI
di Lucia Franchi, Luca Ricci
costumi Marina Schindler | suono Michele Boreggi, Lorenzo Danesin | luci Stefan Schweitzer
tecnico Piero Ercolani, Nicola Mancini | ufficio stampa Maria Gabriella Mansi
foto Elisa Nocentini, Luca Del Pia
organizzazione e distribuzione Giulia Randellini | amministrazione Riccardo Rossiscena e regia LUCA RICCI
produzione Infinito con il supporto di Regione Toscana, Ministero della Cultura, Argot Studio Roma, Biblioteca Al Cortile Roma
Nell’ombra di una sala da pranzo, all’ora del caffè, in un’assolata domenica di agosto, si incontrano due piccoli notabili della politica locale e la figlia di una di loro. Tutto intorno i pensieri volano già al mare e alle vacanze, eppure restano da mettere in ordine alcune faccende che interessano i protagonisti della storia. Davanti a un vassoio di biscotti vegani, si confessano legittimi appetiti e interessi naturali, si stringono e si sciolgono accordi, si regola la maniera migliore di distribuire favori e concessioni, incarichi di servizio e supposti vantaggi. La provincia italiana è la vera protagonista della vicenda, quale microcosmo in cui osservare le dinamiche di potere, che hanno sempre a che fare con i desideri e le ossessioni degli individui. Morbidamente, si scivola dentro un meccanismo autoassolutorio per cui è legittimo riservarsi qualche esiguo tornaconto personale, dopo essersi tanto impegnati nella gestione della cosa pubblica. La corruzione è proprio questo concedere a se stessi lo spazio di una impercettibile eccezione. Come scrive Leonardo Sciascia nel suo romanzo Todo modo: “i grandi guadagni fanno scomparire i grandi principi, e i piccoli fanno scomparire i piccoli fanatismi.
PEPPE BARRA
BUBÙ BABÀ BEBÈ Assolo per due
con LALLA ESPOSITOFrancesco Manco - clarinetto | Agostino Oliviero - mandolino, violino Antonio Ottaviano – pianoforte
arrangiamenti musicali Giorgio Mellone | aiuto regia Francesco Espositoregia LAMBERTO LAMBERTINIproduzione A.G. Spettacoli Tradizione e Turismo | Teatro Sannazaro
Tra le pieghe del velluto una nota di Lamberto Lambertini
Partiamo dal titolo: “Bubù Babà Bebé”, canzone, surreale filastrocca di Rodolfo De Angelis, cantautore, drammaturgo, attore, pittore e saggista napoletano degli anni ‘30, un artista, un futurista, che aveva traversato la vita, come scrisse: “Con lieve e cauto passo ritmico”. Con questo spirito leggero possiamo dare inizio a questa passeggiata nei vicoli del nostro teatro novecentesco, epoca dalle mille facce, attraversandone luce e ombra, cupezza e allegria, commedia e tragedia, cavalcando tutte le sue molteplici forme, per coglierne l’anima, il gesto, lo stile, l’umore, l’amore profondo per la prosa e per la musica.
Una vivace e in-calzante miscellanea teatrale dove i due primi attori, aperto il sipario, si trovano circondati, ludici prigionieri, da pesanti pareti di velluto rosso fuoco, un pozzo, una caverna da cui è impossibile fuggire senza aver raggiunto la fine. Lungo quella plissettata, curva muraglia alcune sedie portano scialli, giacche, cappelli, spille e piume che possano servire agli attori. Si mette in moto un girotondo di testi che si susseguono senza respiro, uniti da legami di somiglianza e di contrasto.
Si squaderna così un libretto di scenette, canzoni e monologhi, più rari o più famosi, da Di Giacomo, a Bovio, a Viviani, a E. A. Mario, a Moscato, nel quale gli interpreti si trasformano nei relativi personaggi, aggiungendo a vista pochissimi elementi al loro nero costume di base. Un gran lavoro per Peppe Barra e Lalla Esposito, un gran divertimento al quale orchestrali e pubblico vengono continuamente spinti a partecipare.
Uno spettacolo a due voci che sogna di essere un assolo.
TINDARO GRANATA | LUCIA LAVIA
IL MALATO IMMAGINARIO
di Molière
adattamento e traduzione Angela Dematté
e con Angelo Di Genio | Emanuele Arrigazzi | Alessia Spinelli
Nicola Ciaffoni | Emilia Tiburzi | Ottavia Sanfilippo
scene Guido Buganza | costumi Ilaria Ariemme | musiche Daniele D’Angelo | luci Cesare Agoni
consulenza ai movimenti Marta Ciappina | assistente alla regia Elisa Grilli
regia ANDREA CHIODI
produzione Centro Teatrale Bresciano
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura
Viola Produzioni – Centro di Produzione teatrale
Dopo il successo degli allestimenti dedicati a classici come La locandiera di Goldoni e La bisbetica domata di Shakespeare – per cui Tindaro Granata è stato candidato al Premio Ubu –, l’attore siciliano e il regista Andrea Chiodi tornano a collaborare lavorando su uno dei testi più fortunati di Molière, Il malato immaginario.
Il 1673 è l’anno di composizione dell’opera: un nuovo attacco di Molière contro i medici, che testimonia, ancora una volta, il suo odio viscerale per questa categoria.
“Molière – scrive Giovanni Macchia, tra i francesisti più autorevoli del Novecento – è uno scienziato delle nevrosi”. È un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è, dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, l’ombra di un autoritratto, un gioco, dice Macchia, “tra assenza e presenza”.
"La mia esplorazione e curiosità per questo testo – dichiara Andrea Chiodi – inizia da questa battuta di Molière: ‘Quando la lasciamo fare, la natura si tira fuori da sola pian piano dal disordine in cui è finita. È la nostra inquietudine, è la nostra impazienza che rovina tutto, e gli uomini muoiono tutti quanti per via dei farmaci e non per via delle malattie’. Una visione che fa un po' paura, ma che, allo stesso tempo, mi intriga moltissimo”.
E sarà un Malato immaginario onirico e irriverente quello firmato da Andrea Chiodi, divertente e contemporaneo nel portare in scena le vicende familiari dell’ipocondriaco Argante, circondato da medici inetti e furbi farmacisti, ben felici di alimentare le sue ansie per tornaconto personale.
Come l’avaro Arpagone, Argante è vittima di sé stesso e burattino di chi gli sta intorno, prigioniero della sua stessa paura, un’ossessione – l’ipocondria – che in questa nuova versione del capolavoro di Molière diventerà piena protagonista.
NOTE DI DRAMMATURGIA DI ANGELA DEMATTÉ
Il malato immaginario arriva alla fine di un periodo complesso per Molière: come in una corsa al massacro sociale si sposa con una donna che potrebbe essere sua figlia (e tanti pensano lo sia davvero), scrive opere sempre più scomode (subendo costantemente gli strali delle categorie che prende di mira: tartufi, misantropi, avari…) ed entra in conflitto con il musicista beniamino del re, Gianbattista Lulli. In questo stato scrive per sé il personaggio di Argante, malato immaginario. Come scrive Cesare Garboli: “La malattia di Argan soccorre il malato come un sedativo. Lo soccorre nel profondo bisogno di non esistere, di addormentarsi, di assentarsi, finché tutta la vita sia risucchiata dal nulla. Se la vita è male, asserisce Argan, si può viverla solo se si è ‘malati’, o si è irresponsabili e ciechi. Argan difende un asilo innocente, il suo diritto all’infanzia.”
Mi sembra che l’autofiction in cui tutti noi esseri umani siamo caduti da qualche tempo, questo nostro rappresentarci continuamente anche nei nostri malanni più intimi, sia molto simile alla malattia di Argante/Molière.
Vogliamo mostrarci malati, immolarci, morire in scena per trovare disperatamente qualcuno che ci accudisca, compatisca, perfino che ci derida o che ci odi: cerchiamo un qualsiasi sguardo genitoriale che ci permetta di esistere. Il re Luigi/padre sta già sostituendo Molière con un nuovo musicista/figlio, più furbo, leggero e di moda e – paradossale - con il suo stesso nome: Gianbattista. Molière non sarà più il commediante del re.
Quello di Argante/Molière è un ultimo, disperato sforzo.
Morendo, Molière ci deve aver detto qualcosa d’essenziale, di vicinissimo a noi.
Si esiste solo se si è guardati. Si muore, talvolta, per esistere.
NOTE DI REGIA DI ANDREA CHIODI
“Io sono il malato!”, così grida Argante al fratello Beraldo e alla serva Tonina: “Io sono il malato!”...
Mi sono chiesto se questo grido non fosse il grido disperato di un autore teatrale che, mentre scrive, si sente messo da parte, ridicolizzato dalla società, non più di moda e, nel caso di Molière, non più accettato a corte.
Con questo lavoro ho cercato di mettere in scena questo grido disperato, il grido di un artista, la domanda di un artista, la domanda di chi cerca di far capire a chi parla la sua arte, il suo teatro, fino a morirci dentro, fino a decidere di essere malato per proteggersi dalla durezza della realtà. L'abbiamo fatto con il testo integrale e fedele con la sola aggiunta della supplica di Molière al Re, supplica in cui domanda: “Allora ditemi sinceramente, mio sovrano Signore, se volete che io scriva ancora delle commedie. Io non voglio dar fastidio a nessuno. Preferirei morire piuttosto che pensare che il teatro di Molière disgusta tanto da detestare il solo sentirlo nominare."
MASSIMO DAPPORTO | FABIO TROIANO
PIRANDELLO PULP
di Edoardo Erbascene Angelo Lodi | luci Cesare Agonicostumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
regia GIOELE DIX
produzione Teatro Franco Parenti
Siamo in prova, sul palco dove deve andare in scena Il Giuoco delle Parti di Pirandello. Maurizio, il regista dello spettacolo, si aspettava un altro tecnico per il montaggio delle luci, ma si presenta Carmine, che non sa nulla dello spettacolo e soffre di vertigini. Maurizio è costretto a ripercorrere tutto il testo per farglielo capire e Carmine, pur di non salire sulla scala a piazzare le luci, si mette a discutere ogni dettaglio della regia. Le sue idee vengono da una sessualità vissuta pericolosamente, ma sono innovative, e Maurizio passa dall’irritazione all’entusiasmo, concependo infine l’idea di una regia pulp: un Giuoco delle parti ambientato in uno squallido parcheggio di periferia, dove si consumano scambi di coppie.
I ruoli si invertono, e ora è Maurizio che sale e scende dalla scala per puntare le luci, mentre Carmine è diventato la mente pensante. Sembra un semplice gioco di ribaltamento dei ruoli, ma la scoperta di inquietanti verità scuoterà i precari equilibri trovati dai personaggi e farà precipitare la commedia verso un finale inaspettato.
Il metateatro, specialità di Pirandello, viene interpretato da Edoardo Erba in chiave più attuale e irriverente. Eppure la lezione del maestro siciliano irrompe all’improvviso, quando il rapporto fra i due personaggi va oltre il limite del prevedibile. Divertente, intelligente e coinvolgente, questo Pirandello Pulp diretto da Gioele Dix si impone all’attenzione del pubblico come una delle più interessanti novità italiane della stagione.
24 febbraio – 1 marzo 2026
ARTURO CIRILLO
DON GIOVANNI
da Molière, Da Ponte, Mozart
e con (in o.a.) IRENE CIANI | ROSARIO GIGLIO | FRANCESCO PETRUZZELLI
GIULIA TRIPPETTA | GIACOMO VIGENTINI
scene Dario Gessati | costumi Gianluca Falaschi | luci Paolo Manti
musiche Mario Autore | assistente alla regia Mario Scandale
regista assistente Roberto Capasso | assistente scenografo Stefano Pes
costumista collaboratrice Anna Missaglia
adattamento e regia di ARTURO CIRILLO
produzione Marche Teatro | Teatro di Napoli – Teatro Nazionale | Teatro Nazionale di Genova Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
NOTE DI REGIA
La mia passione per il personaggio di Don Giovanni, e per il suo inseparabile alter ego Sganarello (come Hamm e Clov di “Finale di Partita”, o come Don Chisciotte e Sancho Panza) nasce all’inizio soprattutto dalla frequentazione dell’opera di Mozart/Da Ponte.
Sicuramente i miei genitori mi portarono a vederla al San Carlo di Napoli, come sicuramente vidi il film che ne trasse Joseph Losey nel 1979. Ma l’incontro veramente decisivo con questo personaggio, e con l’opera mozartiana, avvenne intorno ai miei vent’anni, epoca in cui frequentavo l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. Uno storico insegnante di Storia della Musica, Paolo Terni, ci fece lavorare proprio sul “Don Giovanni” e in una forma che potrei definire di “recitar-cantando”, in cui ci chiese di interpretare il bellissimo libretto di Lorenzo Da Ponte (bellissimo per poesia, musicalità e vivacità, ma anche perché – e non lo dico solo io – è una delle opere più alte, dal punto di vista linguistico, della letteratura italiana). Oltre al libretto dapontiano recitavamo rapportandoci con la musica di Mozart, con i suoi ritmi e le sue melodie.
E in quella occasione questa irrefrenabile corsa verso la morte (l’opera si apre con l’assassinio del Commendatore e si conclude con lo sprofondare di Don Giovanni nei fuochi infernali), questa danza disperata, ma vitalissima, sempre sull’orlo del precipizio, questa sfida al destino (o come direbbe Amleto: “al presentimento”) mi è apparsa in tutta la sua bellezza e forza. Negli anni successivi (come chi conosce un po’ il mio teatro sa) tra i miei autori prediletti si è imposto decisamente Molière, quindi mi è parso naturale lavorare su una drammaturgia che riguardasse sia il testo di Molière, appunto, che il libretto di Da Ponte.
Anche il discorso musicale da tempo, o forse da sempre, mi coinvolge, e quindi ho deciso di raccontare questo mito, che è Don Giovanni, usando forme e codici diversi, conservando di Molière la sua capacità di lavorare su un comico paradossale e ossessivo, che a volte sfiora il teatro dell’assurdo, e di Da Ponte la poesia e la leggerezza, a volte anche una “drammatica leggerezza”. Poi c’è la musica di Mozart che di questa vicenda riesce a raccontare sia la grazia che la tragedia ineluttabile.
Perché in fondo questa è anche la storia di chi non vuole, o non può, fare a meno di giocare, recitare, sedurre; senza fine, ogni volta da capo, fino a morirne.
Arturo Cirillo
ELENA CALLEGARI | ION DONÀ | LEDA KREIDER
LAURA MARINONI | EDOARDO RIBATTO
IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA
di Tennessee Williams | traduzione Monica Capuani
scene Guido Buganza | costumi Ilaria Ariemme | disegno luci Marzio Picchetti
suono Gianluca Agostini | aiuto regia Noemi Radice
regia STEFANO CORDELLA
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in coproduzione con Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano
“Improvvisamente l’estate scorsa” viene presentato per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee
“La gatta sul tetto che scotta è l’opera più realistica che abbia mai fatto.
Improvvisamente l’estate scorsa è forse la più poetica.”
– Tennessee Williams
Dopo Lo zoo di vetro, di cui Leonardo Lidi firmò adattamento e regia nella stagione 2019/20, il LAC torna a produrre un testo di Tennessee Williams, Improvvisamente l’estate scorsa, un dramma carico di simboli e visioni, che si sviluppa come un thriller psicologico in un vortice claustrofobico di tensione e violenza.
Per il suo debutto registico al LAC, Stefano Cordella, che ha scelto di confrontarsi con la lettura di uno dei testi più personali, sorprendenti e meno frequentati del celebre drammaturgo statunitense, affida la traduzione a Monica Capuani, studiosa che indaga la scena anglofona da anni, e dirige un cast di cui è protagonista Laura Marinoni.
Molte opere di Williams sono fortemente segnate da episodi di vita vissuta: nel 1943, Rose, sorella amatissima, subì un intervento di lobotomia effettuato con il consenso della madre; un vero e proprio trauma che segnò indelebilmente la vita dell’autore americano al punto da suggerire la scrittura di Improvvisamente l’estate scorsa, uno dei suoi lavori più autobiografici.
Come spesso accade nei testi di Williams, il conflitto tra apparenza e verità diventa il fulcro della storia.
L’episodio che dona l’abbrivio alla pièce è il mistero che avvolge la morte improvvisa del giovane Sebastian, spirito gentile che ambiva a essere un poeta. La disgrazia viene narrata da due punti di vista diversi e contrapposti: quello di Mrs Violet Venable, madre di Sebastian, e quello di sua cugina Catharine Holly, con cui il giovane trascorse l’ultima estate della sua esistenza a Cabeza de Lobo. Al Dottor Cukrowicz, lo psichiatra incaricato di lobotomizzare Catharine, spetta il compito di scoprire la verità. Mrs Violet, nel disperato tentativo di difendere la reputazione di Sebastian e della famiglia, è disposta a tutto pur di far tacere la nipote, unica testimone della morte di suo figlio. Mrs Holly, madre di Catharine, e George, suo fratello, spinti da interessi personali più che da un reale desiderio di giustizia, complicano ulteriormente la vicenda.
IMPROVVISAMENTE L’ESTATE SCORSA è una disturbante discesa agli inferi animata da personaggi che ne sono al contempo vittime e carnefici. I gesti d’affetto diventano strumenti di manipolazione per ottenere soldi, sesso o per nascondere la verità. La scena si fa spazio della memoria, luogo in cui ricordi e traumi si confondono in una sovrapposizione di simboli che rimanda al meccanismo dei sogni.
NOTE DI REGIA
Williams considera Improvvisamente l’estate scorsa la sua opera più poetica, “una favola morale dei nostri tempi difficili”. Quando ha visto la versione cinematografica di Mankiewicz è rimasto profondamente deluso dalla scelta di rappresentare realisticamente la morte di Sebastian (per non parlare della censura sull’omosessualità). È un testo carico di simboli e metafore fin dalla descrizione iniziale dello spazio scenico: “La scenografia potrà allontanarsi dal realismo quanto l’ambientazione di un balletto drammatico. L’interno si fonde con un magnifico giardino che sembra più una giungla tropicale, una foresta dell’era preistorica delle foreste di felci giganti, quando le creature viventi avevano pinne che si trasformavano in arti e squame che diventavano pelle. È un giardino-giungla di colori violenti, soprattutto ora che trasuda vapore per il calore che segue alla pioggia. Sugli alberi ci sono fiori enormi che fanno pensare agli organi di un corpo, estirpati, ancora luccicanti di sangue fresco. Ci sono strida acute, fruscii sibilanti e rumori sferzanti nel giardino, come se fosse abitato da bestie, serpenti e uccelli, tutti di natura selvaggia…”. Tanti elementi del testo rimandano alla creazione (artistica, biblica, biologica) e alla pulsione di morte. L’esperienza della psicoanalisi e l’avvicinamento alla religione cattolica hanno sicuramente avuto un grande impatto in quegli anni sulla scrittura di Williams, che lui definisce “emotivamente autobiografica”. I personaggi sono ispirati ai suoi famigliari e ad alcuni eventi significativi della sua vita: la malattia della sorella Rose, il rapporto simbiotico con la madre, l’esaurimento nervoso, i viaggi “spirituali”, la sessualità. Approfondire i dettagli della biografia dell’autore, scoprirne i tormenti e le fragilità, mi ha permesso di mettere meglio a fuoco quella sensazione da cui sono stato attraversato la prima volta che ho letto il testo: un grande atto di espiazione e purificazione dal dolore. C’è qualcosa di catartico nella violenza, nella brutalità che Williams sprigiona nel racconto finale di Catharine.
Per poter evocare le “visioni” presenti nel testo, abbiamo immaginato un impianto scenico che mescolasse piani temporali e spaziali: il giardino-giungla diventa l’inconscio dell’autore Williams e, allo stesso tempo, del poeta Sebastian. Ricordi e visioni si confondono in una sovrapposizione di simboli che rimanda al meccanismo dei sogni. È solo in questa dimensione onirica che il desiderio di essere pienamente se stessi può essere appagato, andando oltre le apparenze imposte da una società sempre più misera e spietata.
24 - 29 marzo 2026
LODO GUENZI | ELEONORA GIOVANARDI | GIOVANNI ANZALDO | MATTEO GATTA
TOCCANDO IL VUOTO
una fantasia alpinistica basata sul memoir di Joe Simpson
tratto dal romanzo di Joe Simpson | adattamento di David Greig | traduzione di Monica Capuani
scene Eleonora De Leo | disegno luci Gianni Bertoli | musiche originali Oliviero Forni
aiuto regia Alessia Cappello
regia di SILVIO PERONI
una produzione Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito | Argot Produzioni Accademia Perduta / Romagna Teatri Centro di Produzione Teatrale
in collaborazione con AMAT con il contributo di Regione Toscana
Nel 1923 un giornalista chiese a George Mallory perché voleva scalare l’Everest, e Mallory disse: “perché sta lì”.
“Ci siamo legati in cordata nella Grotta, congiungendo i nostri destini per la giornata. Un gesto di fiducia e solidarietà, un matrimonio celebrato da dieci metri di polipropilene”.
Andrew Greig, Summit Fever (Edinburgh, 1977), p. 174
Lodo Guenzi, diretto da Silvio Peroni, è protagonista - insieme a Eleonora Giovanardi, Giovanni Anzaldo e Matteo Gatta - di Toccando il vuoto, testo del drammaturgo scozzese David Greig, rappresentato per la prima volta in Italia nella traduzione di Monica Capuani e prodotto da Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito, Argot Produzioni e Accademia Perduta/Romagna Teatri con il contributo di Regione Toscana. Il tema è quello delle scelte, etiche e non, tra passione, sensi di colpa, amicizia e resilienza.
Tratto da una storia vera, la pièce è ambientata nel 1985 durante la scalata nelle Ande Peruviane, dove gli alpinisti Joe Simpson (interpretato da Lodo Guenzi) e Simon Yates (Giovanni Anzaldo) restano vittime di un incidente durante la fase di discesa che provoca la caduta di Joe in un dirupo.
Simon, per non rischiare di precipitare assieme al suo compagno, è costretto a tagliare la corda da arrampicata. La storia si ambienta tra passato e presente, tra passione, sensi di colpa, amicizia e resilienza, in un tempo e spazio che si fondono costantemente, ponendo il pubblico in un interrogativo costante: “cosa avremmo fatto al posto di Simon?”.
Rappresentato per la prima volta in Italia, il testo del drammaturgo scozzese, recensito in maniera molto positiva dalla critica estera, pone alla base dell’opera il tema delle scelte, etiche e non, che circondano gli eventi.
Il fatto è che la domanda è sbagliata. Quando ti chiedono, perché scali, la domanda presuppone che stare qui, a inerpicarti sulle rocce, è strano. Ma non è scalare che è strano – è non scalare. Arrampicare è quello che gli esseri umani fanno. Lo fanno da centomila anni – è quello che abbiamo fatto da ancora prima di essere umani – da quando eravamo solo scimmie – ci siamo evoluti mettendo le mani su pietre, rami, trovando un appiglio per tirarci su – guarda un ragazzino qualsiasi – femmina o maschio in un parco-giochi – o su un muro per strada – che fanno – scalano
…..Non è scalare che è strano – è la vita normale – vivere in cattività – fare un lavoro – stare a una scrivania – stravaccarsi su un divano con gli occhi vuoti a guardare la TV– è fare jogging – è il mutuo – camicie sintetiche e giacche lucide e leccare il culo a un ventenne
– case e macchine – discorsi inutili e cazzate – è la civiltà – è questo che è da pazzi – è questo che è strano – non perché scali? ma perchè non scali?
JOE, Toccando il vuoto
NOTE DI REGIA DI SILVIO PERONI
Uno dei temi centrali del testo è quello delle ossessioni: raggiungere vette sempre più alte, superare i limiti, confrontarsi continuamente con le proprio paure. Spesso diventano pensieri costanti, quasi fossero fantasmi che disturbano il sonno e occupano incessantemente la mente. Queste ossessioni come sappiamo possono portare a compiere scelte rischiose, che possono diventare tragiche, come nella vicenda di Simon e Joe. E qualche volta anche nelle nostre vite.
Il testo vuole raccontare le emozioni e le relazioni umane in uno spazio ostile e isolato come quello della montagna. Nel corso della storia, emergeranno segreti e tensioni tra i personaggi, mentre l'ambiente impervio e separato dal resto del mondo li metterà a dura prova. Sacrificare la vita di un amico per salvare la propria è forse tra le scelte più dolorose che esistano, da cui può scaturire un senso di colpa eterno e duraturo.
Mi affascina lo sguardo intenso e commovente dell’autore, che in una continua e avvincente sovrapposizione tra i luoghi del racconto: da una parte il pub, con i suoi tavoli, sedie e bicchieri e dall'altra la montagna, con i suoi dirupi e ghiacciai. Si finisce per non capire più dove ci troviamo così come non si comprende più se Sarah sia davvero reale o se sia soltanto un’allucinazione, un fantasma creato da suo fratello Joe. Il tempo e lo spazio si fondono, il presente e la rievocazione del racconto diventano un tutt’uno. E in questo mondo tanto mentale quanto reale al lettore non resta che chiedersi: “cosa avrei fatto io al posto di Simon? Avrei tagliato la corda?
8 – 19 aprile 2026
ANTONIO MILO | ADRIANO FALIVENE
JUCATÙRE
di Pau Miró
traduzione e regia ENRICO IANNIELLO
produzione Diana Ori.S. Produzioni
NOTE DI REGIA
I quattro "Giocatori" di questo spettacolo sono degli amabili falliti.
Simpatici, vitali, chiacchieroni, formano una combriccola stralunata e sfiziosa che si incontra per giocare a carte. Le partite vere e proprie, però, non cominciano mai, presi come sono da discorsi totalmente
assurdi e vaghissime idee di rivincita totalmente irrealizzabili; eppure, non è difficile immaginarseli fuori dall'appartamento grande e accogliente, tolti da quell'ansa di tranquillità e rimessi nel fiume vorticoso della metropoli: sono quattro invisibili.
Invisibile l'attore appassionato di furti al supermercato e vuoti di memoria in scena, invisibile il becchino balbuziente e logorroico, innamorato dei racconti che gli fa la prostituta ucraina che accoglie la sua solitudine, invisibile il barbiere che ormai barbiere non è più, ma non lo può dire a nessuno.
E invisibile, naturalmente, il professore di matematica con un vecchio complesso di inferiorità e un padre - fantasma che non lo lascia crescere.
La vita vera è forse definitivamente negata ormai ai nostri grandi antieroi, e allora non restano che le parole, parlarne agli amici, ottenendo in cambio una malinconica e amorevole comicità intrisa di ricordi e voglia di vivere.
Premio UBU 2013 Miglior testo straniero.
6 – 17 maggio 2026
TOSCA D'AQUINO | SIMONE MONTEDORO | TONI FORNARI | ELISABETTA MIRRA
CENA CON SORPRESA
una commedia di Augusto Fornari, Toni Fornari, Andrea Maia, Vincenzo Sinopoli
regia di TONI FORNARI
produzione Diana Ori.S. Produzioni
Note di regia
"Cena con sorpresa" è una commedia firmata dai 4 autori del Golden Augusto Fornari, Toni Fornari, Andrea Maia e Vincenzo Sinopoli che hanno già realizzato insieme numerose pièce come "Terapia terapia", "La casa di famiglia", "Finchè giudice non ci separi", "Il prete e il bandito", "Ritorno al presente".
Stefania e Arnaldo, sono marito e moglie, coppia affiatata e benestante sposata da molti anni. Lui è un awocato penalista affermato, mentre lei è un architetto che da tempo si occupa quasi esclusivamente di beneficienza. I due sono i genitori di Angelica, una giovane ragazza di vent'anni.
Una sera a cena invitano il loro migliore amico, Francesco De Palma, architetto. I due coniugi non sanno che Francesco, cinquantenne come loro, ha una relazione da ormai un anno con la loro figlia. La serata è per Angelica il momento propizio per rivelare ai genitori il loro legame e per questo spinge Francesco a raccontare la verità sul loro rapporto ai due ignari genitori.
Come farà Francesco a trovare il coraggio di raccontare ai suoi amici la verità sulla sua relazione con la loro giovane figlia? Ma soprattutto come reagiranno i due ignari genitori?
Divertente, ironica, comica questa commedia racconta una realtà che sempre più fa parte della nostra vita.
Come reagiscono le nostri menti benpensanti alle novità e alle realtà che stravolgono i nostri modi di pensare e vivere, quando, in particolar modo una situazione ci tocca così da vicino e stravolge la nostra vita?
22 - 24 maggio 2026
ANTONIO GROSSO | NATALE RUSSO | GASPARE DI STEFANO
FRANCESCO NANNARELLI | MARIANO VIGGIANO | ALESSIA D’ANNA
ANTONELLO PASCALE | FRANCO SCASCITELLI | ROCCO PICIULO
ADRIANO AIELLO
MINCHIA SIGNORE TENENTE
scritto e diretto da ANTONIO GROSSO
produzione 3atro Produzione
Sicilia 1992, in un piccolo paesino dell'isola c’è una caserma dei carabinieri, posta su un cucuzzolo di una montagna.
I nostri militari (ognuno proveniente da una regione diversa italiana) affrontano la quotidianità del paesino oramai in cui la cosa che turbe di più la gente del porto è il ladro di galline (una volpe!)
Tra sfottò, paradossi, un matto che denuncia sempre cose impossibili e situazioni personali (uno dei militari è fidanzato con una ragazza del porto e la legge lo vieta) i ragazzi si sentono parte comune di una famigli, un'unica famiglia.
L'arrivo di un tenente destabilizzerà l'unione dei 5 carabinieri. Signor tenente è la commedia che negli ultimi 20 anni, si parla di mafia ma in maniera totalmente ironica e originale, facendo si che la risata porti alla riflessione, ma soprattutto al nodo di porsi verso le ingiustizie per far sì che ognuno di noi, possa avere uno sguardo dritto senza mai voltarsi, affrontando con coraggio e leggerezza tutto ciò che la vita ci offre.
NOTE DI REGIA
La regia si propone di rappresentare al meglio il rapporto di quotidianità che accompagna i protagonisti, vittime di quell'Italia del primi anni Novanta, in cui morte o distruzione rappresentavano il paese.
La comicità dello spettacolo è esilarante, travolgente, originale a tradizionalista, alternando momenti di leggerezza a riflessioni profonde sulla realtà della mafia, descritta come una "polvere" che, nonostante gli sforzi per eliminarla, ritorna e si annida nuovamente negli stessi luoghi.
Il titolo dello spettacolo richiama L'espressione amara "Minchia Signor Tenente", detta tra i denti perché urlarla significherebbe insubordinazione, ma tacerla equivarrebbe ad arrendersi alle gerarchie oppressive e al male del mondo.
Il tema della legalità è trattato dal punto di vista degli uomini che non fanno notizia, in un'ottica tragicomica, rappresentati nella loro quotidianità fatta di momenti belli e brutti, seriosi e divertenti, di amore e di passioni.
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