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venerdì 19 settembre 2025

 SPAZIO DIAMANTE DI ROMA
STAGIONE TEATRALE 2025/2026

SALA BLACK

9 ▪︎ 19 Ottobre 2025
CLAUDIO "GREG" GREGORI

IO SONO IL DIAVOLO

di Greg

aiuto regia Maria Chiara Augenti
produzione Viola Produzioni - Centro di Produzione Teatrale

Gin Cooper è un crooner alla Dean Martin. Sa di non essere uno stinco di santo e sa che prima o poi la sua donna lo manderà al Diavolo.

Ma lui, il Diavolo, l’ha già conosciuto!

Un monologo frizzante, salace e dissacratorio, in cui Greg (alias Gin Cooper) racconta del suo rapporto con questa discussa entità fin dai primi avvistamenti durante la scuola dalle suore, quando iniziò a scoprire quanto il Signore descritto nelle sacre letture assomigliasse a un boss della malavita.

Greg ci narra del suo amore per la Musica che lo conduce a quel famoso crocevia dove ha il primo vero incontro con il Diavolo che, con la scusa d’insegnargli il Blues, comincia a spiegargli come stiano davvero le cose; gli illustra le stranezze e gli incongrui delle sacre letture, gli stuzzica la curiosità, rafforza i suoi dubbi e ne istiga ponderazioni spesso imbarazzanti.

Tra gag, passaggi della Bibbia, giochi di parole, aneddoti, parabole, canzoni e immagini spiazzanti, gli spunti di riflessione sono molti e sicuramente rischiano di far storcere qualche naso, specialmente a chi ha finalmente trovato la sua zona di conforto in questo ipocrita mondo politically correct.

E quando il Diavolo offrirà a Gin Cooper la possibilità di resettare tutto con un nuovo Big bang, semplicemente premendo un pulsante, qualcuno farà il tifo per lui.

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24 ▪ 26 Ottobre 2025
CLAUDIA MEI PASTORELLI | FRANCESCA ROMANA MICELI PICARDI
LUANA PANTALEO | MARIA CAROLINA SALOMÈ
BETTA CIANCHINI | TITINA MARONCELLI

ANCORA NON MI È MORTA

Terapia d’urto per un basso Chakra felice

di Betta Cianchini | allestimento scenico Alan Bianchi
regia di GABRIELA ELEONORI
produzione Zerkalo-Teatro

Un’autrice irrequieta riunisce: quattro attrici portentose, giornaliste, sessuologhe, ginecologhe, i Filosofi di Tlon, Andrea Colamedici e Maura Gancitano e si è chiesta:

Perché il desiderio ci viene da sempre presentato come una prerogativa prettamente maschile? E chi l’ha detto che una vivace pulsione sessuale sia appannaggio solo maschile?

In un mondo in decadenza, la nostra urgenza di poetica sociale risponde con un progetto artistico formativo, informativo e performativo che analizza i pensieri di una donna e ne viviseziona le sue più vive pulsioni. (Abbiamo infatti chiesto una sponsorizzazione a Taffo!)

La fortunata versione short del Format/Inchiesta di Betta Cianchini, nel 2025 diventa finalmente uno spettacolo vero e proprio.

Questa necessaria rilettura ironica e graffiante della sessualità femminile dimostrerà quello che le donne non hanno mai potuto confessare fino in fondo: la donna parla con la testa, ma pensa con la sua parte più intima e nascosta.

In scena, una psico-sessuologa si cimenterà in un difficilissimo esperimento: scoprire i pensieri di una donna e le più recondite pulsioni della sua Topa. Seguirà un training per tope depresse e consigli per “ricrearla”.

Prima dello spettacolo, la psicologa di sala raccoglierà le risposte del pubblico a una semplice domanda: Cos’è lo squirting?

Semplice ma ghiotta, poiché le risposte sono diventate da subito un post spettacolo.

Infatti le stesse rocambolesche testimonianze e le irragionevoli, comicissime e inquietanti risposte del pubblico daranno il via a: Super Squirt - l’imbarazzo della scienza- momento in cui la psicologa di sala, a fine spettacolo, intervisterà un ospite e lo interrogherà sull’esperimento effettuato.

Tutto sembrerebbe molto divertente ma le risposte date alla Cianchini sono sintomatiche di una pericolosa e profonda ignoranza italica su temi di fondamentale caratura.

Ancora non mi è morta è la risposta gagliarda e fiera delle tante donne intervistate che vorrebbero scuotere con positività l’opinione pubblica e interrompere questa necrosi lenta e dolorosa.

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29 Ottobre 2025
COMPAGNIA RITMI SOTTERANEI

TU


drammaturgia Gaia Clotilde Chernetich
interpreti VANESSA GUIDOLIN | VIOLA PANTANO | MATILDE CORTIVO
disegno Sonoro Vittorio Giampietro | light Designer Antonio Colaruotolo
regia e coreografia ALESSIA GATTA
produzione [MATRICE] N in coproduzione con FUTURO ROMA
residenza artistica Scenario Pub.bli.co

TU nasce da una riflessione sulla capacità umana di creare intrecci e da un’indagine coreografica sul modo in cui questa forma di intelligenza si incarna nei corpi e nella loro capacità di oltrepassare, o meno, la barriera dell’individualismo e della solitudine.

La danza si rivolge a un sapere ancestrale del corpo, che evoca il femminile e lo celebra.

Le quattro danzatrici, immergendosi nel materiale coreografico, vanno incontro a diverse modalità di contatto, relazione e abbandono.

Lo spazio intorno a loro è un involucro che pulsa della loro stessa energia, non uno spazio immobile in cui la danza semplicemente accade, ma un tessuto che avvolge, nasconde oppure svela l’azione.

La danza è accompagnata da una selezione di oggetti, che vengono convocati in scena in successione non per illustrare il movimento, ma come elementi considerati un tutt’uno coi corpi delle danzatrici.

In un’oscillazione di oggetti e corpi che chiama in gioco le possibili sfumature della libertà d’azione umana, risiede la vocazione della coreografia a generare percorsi emotivi e concettuali che si muovono sulla scena in un flusso continuo di immagini che fanno appello tanto alla memoria personale quanto a quella collettiva.

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30 Ottobre 2025 ▪ 2 Novembre 2025
MAX PAIELLA

C’ERA UNA VOLTA FAVOLE ITALIANE


di Max Paiella e Marcello Teodonio

Dove sono nate, e dove sono finite le favole che abbiamo ascoltato dalla mamma la sera prima di coricarci, oppure quelle raccontate dal nonno, o quelle che abbiamo letto sul nostro primo libro, che magari è stato “fiabe italiane” di Italo Calvino? Ebbene tutte le favole di quel celebre libro non sono state scritte da Calvino ma solamente da lui raccolte e a volte arrangiate.

Quando parliamo di fiabe, è impossibile capire chi ne sia stato l’autore, perché le favole nascono dalla voce di chi le racconta. E poi si sono diffuse con un meraviglioso, e sconosciuto, percorso: ad esempio di Cappuccetto rosso ce ne sono diverse versioni (una anche dei fratelli Grimm) e ne esiste una versione molto simile riportata dalla raccolta di favole romane da Gigi Zanazzo a Roma alla fine dell’800, come ci sono varie versioni delle vicende di Cola Pesce, la grandiosa leggenda siciliana, che Giuseppe Pitrè raccolse ascoltandone varie versioni dai racconti popolari, e così via.

Potremmo prendere molte fiabe (tutte?) legate alla nostra infanzia e scopriremmo che sono molto antiche e che troviamo testimoniate dalle raccolte di tutta Italia, ma anche della Polonia, della Francia e della Russia. Quello che risulta è che le fiabe non hanno tempo e non hanno autori, perché, cambiate, arricchite, arrangiate su quel dialetto o su quella lingua, hanno un autore comune: il popolo. E questo è tanto vero che è sempre necessario recuperare e restituire queste fiabe meravigliose che raccontano l’Italia in un modo profondo e familiare a tutti, giacché ad ascoltarle non ci sono soltanto bambini…

Non si dimentichi infatti che il meccanismo della fiaba (racconti di vicende con inizio e fine; mescolanza di elementi verosimili e inverosimili, concreti e simbolici; vicende che contengono comunque delle “prove” per i protagonisti e una “morale”) nella sostanza viene riproposto dai moderni e attuali momenti e linguaggi delle fiction, dei cartoni animati, dei Manga, dei videogiochi.

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11 ▪ 16 Novembre 2025
FEDERICO CIANCIARUSO | RICCARDO FINOCCHIO
MARTINA GIOVANETTI | ANDREA MAMMARELLA
EMANUELE PILONERO | CLARA SANCRICCA

SECONDA CLASSE


drammaturgia originale Controcanto Collettivo
disegno luci Martin Emanuel Palma | scenografie Michelle Paoli
ideazione e regia CLARA SANCRICCA
produzione Teatro stabile dell'Umbria

Seconda Classe è il nuovo spettacolo di Controcanto Collettivo, compagnia romana nata 2011 come prosecuzione di un percorso laboratoriale guidato da Clara Sancricca e che anno dopo anno sta conquistando la scena teatrale italiana portando in scena, con un linguaggio essenziale e raffinato, narrazioni originali e profonde sull’umanità.

Seconda classe è un'indagine sul tema della ricchezza, del lusso e della sua esclusività.

Che alcuni abbiano tanto e altri pochissimo o anche niente è un paradosso nel quale viviamo immersi al punto che saremmo pronti ad allibirci (taluni persino ad allarmarsi) di una sua possibile scomparsa. Questa secolare abitudine all'ingiustizia ha fatto sì che allo sforzo di sradicarla (che pure storicamente è esistito in buone teorie e spesso cattive pratiche) si sia preferito il tentativo di abitarla e, possibilmente, cavalcarla, ciascuno secondo i propri mezzi, gradini e possibilità.

In quest'ottica, la desiderabilità di un bene non è legata solo alla sua natura, estetica o utilità, ma al desiderio e alla garanzia che quel bene resti privilegio di pochi, e l’allargamento ad altri della possibilità di goderne va a detrimento della sua desiderabilità. Il privilegio, insomma, per restare tale, deve essere "esclusivo" – ovvero escludente – e pertanto riservato a pochi.

La prima classe esiste in funzione della seconda e senza la seconda non avrebbe un parametro per la propria ricchezza, perché il vero contenuto della ricchezza sembra essere prima di tutto la certezza – e l’inspiegabile sollievo che ne deriva – che altri abbiano meno.

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18 ▪ 20 Novembre 2025
ELEONORA CERRONI | ALICE GENERALI | VALENTINA LAMORGESE
ANTONIO MURO | MICHELE RAGNO | BEATRICE VENTO

OLTRE LE NUVOLE, IL CIELO

costumi Giulia Santoro | aiuto regia Irene Paloma Jona
scritto e diretto da GABRIELE CICIRELLO
produzione Beat Switchlab

Aeroporto, zona d’imbarco.

Sei viaggiatori, sconosciuti tra loro, sono in attesa di partire verso una destinazione comune, imprecisata. L’annuncio della sospensione del volo, getta tra i passeggeri una rabbia che diventa presto sgomento, quando tutti si accorgono che le porte del gate sono bloccate. Nessuno può lasciare quel “non luogo”, posto privo di natura e di identità.

Costretti a condividere uno spazio-tempo indefinito, i sei passeggeri entrano in relazione, scoprendo la vita l’uno dell’altro, soprattutto quando dalle valigie – come fossero incantate – iniziano ad emergere oggetti, ricordi, segreti e mondi che svelano la storia di ogni viaggiatore e la intrecciano con le storie degli altri. Insieme, i protagonisti condividono un viaggio surreale ma pieno di verità, in scenari diversi, storia dopo storia, dove ogni anima affronta i nodi irrisolti del proprio passato, presente e futuro.

In un mondo frenetico che ci pretende veloci, e dove guardarsi negli occhi è sempre più raro, cosa succede se la vita ci obbliga a fermarci?

NOTE DI REGIA

Il motivo che mi ha spinto a scrivere questo progetto è quello di aver trovato esattamente un “non luogo” per eccellenza, la sala d’attesa di un aeroporto, come pretesto per poter indagare sulla vita di sei individui che si ritrovano improvvisamente rinchiusi in questo spazio senza possibilità alcuna di avere un contatto con l’esterno.

La mia necessità è sempre quella di scavare nella vite degli altri, cercando, in uno scambio reciproco con gli attori, di andare a fondo su delle storie e trasformarle in drammaturgia.

Questa operazione mi ha permesso, all’interno di uno spazio scenico vuoto e rappresentato solamente dagli attori e dalle loro valigie, di costruire una dinamica secondo la quale i personaggi in attesa di un volo, viaggiano invece all’interno dei loro ricordi, coinvolgendo tutti gli altri, in una continua trasformazione dell’ambiente, e rendendo quella stanza indefinita, un luogo dell’anima.


Il mio obiettivo è quello di riuscire tramite i semi di queste storie personali a toccare argomenti universali che possano riguardare ognuno di noi come la famiglia, la nostalgia, il bullismo, la violenza di genere, la pace, la guerra.

Argomenti fondamentali ad oggi con cui fare i conti, con la volontà e il desiderio di lanciare allo spettatore dei messaggi che possano lasciare dei residui sui quali riflettere, essenza determinante di come personalmente concepisco questa forma d’arte, che è il teatro.
Gabriele Cicirello

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21 ▪ 23 Novembre 2025
BEATRICE SCHIROS

METAFORICAMENTE SCHIROS

di Beatrice Schiros e Gabriele Scotti
produzione coproduzione ATIR – Teatro Carcano
con il sostegno di NEXT ed. 2024/2025 Progetto di Regione Lombardia
e Fondazione Cariplo

Un rito psicomagico di ritorno al teatro che diventa un racconto di vita appassionante, esilarante, commovente.

Non vorrebbe, Beatrice, essere lì sul palco. Eppure qualcosa accade. Un primo ricordo, un aneddoto, una risata, e il racconto di un’intera esistenza prende forma, passo dopo passo, senza soluzione di continuità, attraverso un ventaglio di episodi, personaggi, pensieri che toccano tutti i temi dell’umano.

Un monologo fuori dai denti e sfacciato, delicato e amaro, nel mezzo del cammin di nostra vita, in cui Beatrice fa il punto su di sé e sulla propria esistenza.

Un racconto personalissimo eppure universale, dove ciascuno può trovare pezzi di sé, tra risate e lacrime, perché tutti ci siamo imbarcati in relazioni improbabili, abbiamo perso qualcuno di importante, siamo caduti più e più volte per poi doverci rialzare, siamo figli e viviamo il grande mistero: i genitori, cui tanto dobbiamo, nel bene come nel male.

Uno spettacolo dalla forma essenziale e denso di vita, in grado di portarci al cuore del teatro creando un fortissimo legame empatico tra attore e pubblico grazie alla sua grande interprete, Beatrice Schiros, qui per la prima volta anche autrice insieme al compagno di viaggio Gabriele Scotti.

NOTE DI REGIA

“Metaforicamente Schiros è l’atto psicomagico con cui faccio pace con il teatro dopo due anni di assenza. In questo senso per me è ben più di uno spettacolo, perché è un atto curativo, qualcosa di diverso e molto più personale di ogni cosa abbia fatto finora a teatro. In questa impresa ho voluto con me il drammaturgo e amico Gabriele Scotti perché sapevo che le nostre sensibilità e la nostra ironia si sarebbero ben sposate.

Condivido con il pubblico tanti fatti della mia vita, piccoli e grandi, drammatici o comici quando non imbarazzanti - diciamolo: cose che potrei e forse dovrei tranquillamente tacere- perché mi fa bene e credo possa fare bene anche a chi sarà in sala.”
Beatrice Schiros

“Ho accolto con piacere ed entusiasmo la proposta di Beatrice di lavorare a un testo tagliato su misura per lei partendo da fatti, aneddoti, figure della sua vita, innanzi tutto perché Beatrice è una grande attrice, il mostro del palcoscenico che tutti conosciamo. Poi perché mi piace pormi come facilitatore di storie altrui, anche molto personali, trattandole con cura ed empatia. Infine perché, ascoltando i suoi racconti, mi è stato subito chiaro che quello che si stava delineando era la storia di una persona che si è persa nel momento in cui ha perso i genitori, con il forte bisogno di fare un punto sul proprio percorso di vita per ritrovare coraggio e senso per andare avanti. E questa storia mi interessa, mi riguarda.

Abbiamo scelto la forma più semplice possibile: il monologo a pubblico, un po’ stand up ma anche no. In scena ci sono solo Beatrice, con la sua forza scenica, uno sgabello e le parole che abbiamo scelto.

Personalmente amo il monologo perché, come ci segnala Silvio d’Amico nell’Enciclopedia dello Spettacolo (1954), a ben vedere è l’atto fondativo del teatro: stando ad Aristotele e alla sua Poetica, la tragedia nasce come discorso di un singolo attore al coro, che rappresenta la comunità.

Il monologo è poi la forma teatrale che crea il massimo legame empatico tra interprete e pubblico.

Ecco, Metaforicamente Schiros parla direttamente al pubblico, lo interroga su tante questioni vitali puntando dritto all’emotività, nel riso come nel pianto.”
Gabriele Scotti

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25 ▪ 30 Novembre 2025
FEDERICO BASSI | SEBASTIANO BRONZATO
MASSIMILIANO SETTI | GIACOMO TRIVELLINI

ROBE DELL’ALTRO MONDO

cronache di un’invasione aliena
drammaturgia di Gabriele Di Luca
voci reporter ALESSANDRO TEDESCHI | VALENTINA PICELLO
illustrazioni, grafica, animazioni Federico Bassi, Giacomo Trivellini
musiche originali Massimiliano Setti
regia GABRIELE DI LUCA | MASSIMILIANO SETTI
produzione Carrozzeria Orfeo | Le Canaglie

A dieci anni di distanza, Carrozzeria Orfeo ripropone oggi uno dei suoi spettacoli più visionari e surreali: Robe dell’Altro Mondo.

Una nuova versione completamente rielaborata che si muove sul confine tra Teatro e Performance.

Il progetto è il frutto della collaborazione con Le Canaglie, gruppo nato nel 2013 a Mantova, costituito da Massimiliano Setti, co-direttore artistico della Compagnia e musicista, Federico Bassi e Giacomo Trivellini, gli storici illustratori di Carrozzeria Orfeo.

Il trio è impegnato da anni in performance live che vedono la mescolanza di tecniche tradizionali di disegno a tecnologie digitali che interagiscono a loro volta con musica e animazione.

In questa occasione incontrano la scrittura di Gabriele Di Luca, autore e regista di Carrozzeria Orfeo, con la volontà di esplorare i molteplici legami tra la drammaturgia contemporanea e il linguaggio dell’illustrazione.

ROBE DELL’ALTRO MONDO | La nascita

Lo spettacolo originale, nato nel 2012 e oggi a nostro avviso più attuale che mai, si sviluppa intorno al tema delle Paure Metropolitane, ovvero l’insieme delle fobie e delle tensioni sociali che innegabilmente caratterizzano e condizionano la nostra quotidianità.

Pregiudizio, intolleranza, sospetto, insicurezza, solitudine, censura e terrorismo ideologico come elementi che costantemente influenzano un tessuto sociale sempre più fragile e disarmato.

Ed ecco la storia: in un mondo incrinato da una profonda crisi economica, sociale e umana, dove ogni via d’uscita sembra ormai perduta, l’unica speranza di salvezza sembra essere rappresentata dagli Alieni, da qualche tempo scesi sulla terra per aiutarci a risolvere i nostri problemi più gravi.

Inizialmente percepiti come un miracolo, vengono quasi immediatamente demonizzati, strumentalizzati e, infine, perseguitati, da chi detiene il potere ed è privo di qualsivoglia interesse al cambiamento.

I notiziari in sottofondo accompagnano la trama raccontando le contraddizioni e le distorsioni del nostro tempo, specchio di una società ridicola e invasiva, nella quale il fatto diventa notizia, la notizia pettegolezzo, il pettegolezzo verità.

ROBE DELL’ALTRO MONDO | La nuova versione live

La contaminazione tra la drammaturgia originale dello spettacolo (per l’occasione completamente riadattata) e il linguaggio dell’illustrazione, permetteranno di sviluppare ed evocare i personaggi della storia spingendo il reale fino al paradosso del grottesco, per contaminare e confondere differenti piani narrativi.

La costruzione, quindi, di un immaginario drammaturgico e di un insieme di atmosfere visive e musicali, che, pur non rinunciando alla volontà di raccontare il contemporaneo, proveranno ad indagarlo e ad arricchirlo attraverso la fusione di mondi reali e mondi fantastici, con l’intento di rendere impercepibile il confine che li separa.

La nuova versione di Robe dell’altro Mondo vedrà in scena Massimiliano Setti che “assemblerà” musiche elettroniche dal vivo e interpreterà i diversi personaggi della storia, insieme all’attore e musicista Sebastiano Bronzato; con loro anche Federico Bassi e Giacomo Trivellini, che disegneranno illustrazioni in diretta e daranno vita a sorprendenti animazioni, grazie ad una telecamera che catturerà le creazioni per proiettarle in diretta su uno schermo.

ROBE DELL’ALTRO MONDO | Per una drammaturgia visiva

Lo spettacolo sarà costruito attraverso diversi quadri collegati narrativamente tra loro dove le immagini, le illustrazioni, le animazioni e le suggestioni visive prodotte da Le Canaglie saranno il motore principale della narrazione. Ogni quadro visivo sarà, infatti, collegato al seguente attraverso un meccanismo a cascata all’interno del quale ogni evento si ripercuoterà inevitabilmente nel quadro successivo.

Altri elementi mutuati dal fumetto e dall’illustrazione saranno la tecnica dello “sfalsamento temporale” realizzata attraverso flash back e flash forward, e la presenza del Super Eroe: gli Alieni. Lo stile dei dialoghi e delle tavole prodotte rimanderà, quindi, volontariamente al linguaggio dei cartoons intrecciando momenti ironici e amari, critica sociale e paradosso.

Animazioni digitali, stop motion, video game, disegni, dialoghi e musiche si fonderanno e contamineranno per raccontare le accattivanti e ironiche avventure dei protagonisti di Robe dell’altro Mondo (cronache di un’invasione aliena) nella sua nuova versione.

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4 ▪ 7 Dicembre 2025

ELISA DI EUSANIO | VALENTINA FOIS
VALENTINA MARTINO GHIGLIA| MARTA NUTI

HO BISOGNO DI SENTIRE QUALCUNO
CHE MI DICA CHE STO BENE

drammaturgia Maria Teresa Berardelli
da un’idea di Eusanio, Galliani, Martino Ghiglia, Nuti
assistente alla regia Fabio Carta | musiche e suoni Vanja Sturno
costumi Marta Genovese | scene Laura Giannisi | luci Javier Delle Monache coreografia Daria Nocera
regia di GIACOMO VEZZANI
produzione MAT-Movimenti Artistici Trasversali

Quattro donne, quattro amiche, una cena.

È passato un anno dall’ultima volta che si sono viste e qualcosa, durante quell’anno, è accaduto nelle loro vite: qualcosa che le ha piegate e trasformate, allontanandole. Non sono più quelle di prima quando si rivedono, ma fingono di esserlo, cercando di rimuovere il problema.

Un gioco a nascondersi, a far finta di niente, la loro vita, la loro amicizia.

Ma cosa accade quando questo gioco si spezza? Cosa accade se si abita un gioco opposto? Smascherarsi e smascherare l’altro; essere ciò che non si è realmente ma ciò che si vorrebbe e potrebbe essere in un’altra realtà, parallela, dove tu9o può essere possibile; costruirsi un mondo ideale, una prospettiva diversa, come risposta al rifiuto nei confronti del mondo in cui si vive realmente, fatto di non azioni e scelte mancate.

Un mondo ideale, sì, dove la rabbia, la delusione, l’amarezza, la paura si traducono in azione, non essendo più qualcosa da rimuovere o da cui farsi schiacciare. Un mondo che va bruscamente a interrompere la realtà, senza spiegazioni o giustificazioni?

Quattro donne, quattro amiche, una cena.

Una cena che s’interrompe e insieme si ripete, variando di volta in volta.

Una cena che diventa tante cose diverse, viaggiando su un doppio binario in modo via via più pericoloso e confuso, tanto da non capire più dove ci si trovi, se all’interno di un mondo reale, fatto di sottrazione e silenzio, o di quello ideale, dove tutto sembra essere possibile.
Maria Teresa Berardelli

NOTE DI REGIA

“Una drammaturgia inedita che nasce da una elaborazione in dialogo su intuizioni provenienti? Dalle improvvisazioni di quattro attrici, in una dimensione completamente al femminile.

Si tratta di una cena, un semplice incontro tra quattro amiche, che in un ritmo vorticoso si ripete, fino a confondere addirittura il tempo e la veridicità degli accadimenti?

Il progetto è pensato come una commedia grottesca in cui l’apparente realtà delle cose può sembrare altro. Il lavoro nasce dalla necessità di raccontare noi stessi e l’incapacità di essere sinceri con gli altri, celando la nostra personalità o addirittura ribaltandola completamente, per capire che siamo sempre vittime delle circostanze.

Quindi se il dramma si tramuta in commedia, diventa un gioco teatrale dove ogni possibilità narrativa scivola nel parossismo e spinge ad un climax sempre più complicato ed esilarante.

In questa dinamica il tempo sembra essere sospeso e le possibilità di affrontare la realtà si moltiplicano, fino a sprofondare in un “non luogo”, in una sospensione di tempo che assomiglia al territorio del sogno ed estende la nostra possibilità di essere.

Cosa succede se la scena, come uno specchio, riflette questa dimensione, dove è data la possibilità ad una persona di essere esattamente il contrario di sé, o almeno provare a riscrivere la propria storia? Esistere significa soffrire o ridere di sé, se poi tutto si riduce ad un gioco che assomiglia alla vita.”
Giacomo Vezzani
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12 ▪ 14 Dicembre 2025
GIULIA FIUME | FRANCESCA ANNA BELLUCCI | LARA BALBO

COME FANNO LE ARAGOSTE

assistente alla regia Elena Cozzi e Giorgia Perelli
scene Fabiana Di Marco | costumi Mara Gentile | foto Pino Le Pera
post produzione audio Lorenzo Metelli e Davide D’angelo
testo e regia LESIBÙ
produzione Lesibù

Sole e Nora, amiche da sempre, seppure agli antipodi - Sole, donna da “pantaloni”, è la CEO di una tra le tre più importanti aziende di costruzioni in Europa, cinica e senza scrupoli; Nora influencer, nota al pubblico come “The real Nora” per i suoi tutorial sul make -up e prossima a partecipare allo “Speaking about” (format in cui personaggi di rilevanza pubblica condividono esperienze su temi importanti come - nel suo caso - “Donne e lavoro”) sono in attesa, nel bagno di un autogrill-fantasma disperso su di una statale, dell’arrivo di una vecchia compagna del liceo, Nina, all’epoca soggetta a violenti atti di bullismo perché obesa.

Tutte e tre hanno un appuntamento comune, vale a dire il “baby shower” di Monica e Paolo, anche loro ex-compagni di classe, prossimi ad avere un bimbo, o bimba.

La meta da raggiungere è Gropello Cairoli, località lombarda in provincia di Pavia, in cui i coniugi si sono trasferiti da qualche tempo.

All’arrivo di Nina, è subito colpo di scena! Infatti si presenta in splendida forma, seppure incinta e counselor di successo.

E’ così che dopo qualche scambio di assestamento, in cui Sole non smentisce il suo odio nei confronti della vecchia compagna - che appare da subito sopra le righe - le ragazze si direbbero pronte a partire alla volta di Gropello, quando ritrovano la ruota dell’auto bucata.

Questo è solo il primo tra più eventi che non consentiranno mai alle tre ragazze di lasciare quel luogo, costringendole ad addentrarsi in conversazioni spinose, come ad esempio la morte di Pietro, fratello gemello di Paolo e fidanzato di Nora ai tempi del liceo, lutto mai elaborato che la costringe a conservare un inquietante segreto condiviso proprio con Paolo - marito di Monica - ed ancora, che Sole venga accusata pubblicamente per il licenziamento di una donna sua sottoposta, perché incinta e che Nina faccia parte di una “tribù” di poliamorosi di cui Kimi, “l’entità universale che porta in grembo”, è il frutto.

Come se non bastasse, la stampa annuncia la morte del capo di Sole, di cui non si avevano notizie dal giorno prima, questione che aggrava la situazione della donna, la quale pressa per il rientro in città.

Tutto questo convoglierà in un momento eccezionale, vale a dire l’atto psicomagico che Nina - pianificato nel dettaglio ed armata di pistola - metterà in scena, volto a chiudere il cerchio di violenza che l’ha costretta ad arrancare nel corso della sua vita e ad uccidere, anche se involontariamente, Marco, suo partner e capo di Sole.

Le contrazioni non tardano ad arrivare così come la polizia, che circonda l’auto-grill e minaccia l’irruzione. Le tre donne, spalle al muro e reduci da nuove consapevolezze, opteranno per la fuga che le condurrà, però, alla morte.

NOTE DI REGIA

Come fanno le aragoste? L’istintiva caratteristica di questo crostaceo è cambiare guscio ogni volta che la sua dimensione aumenta, permettendosi un necessario momento di vulnerabilità per avanzare ad una condizione migliore. Questo è quello che le tre protagoniste non si sono mai permesse di fare, nonostante apparentemente dimostrino di essere tre donne realizzate e al passo con i tempi.

Attraverso un viaggio, che non proseguirà mai, le tre protagoniste sono costrette a restare, anche metaforicamente, in quel trauma mai indagato dell’adolescenza.

Non a caso la messa in scena prevede la presenza di tre bagni, che rappresentano il luogo del bisogno, luogo in cui tornerà a galla quel passato sofferto e mai elaborato.

Altro elemento scenografico un’automobile, ridotta a scheletro, immagine di una trasformazione non possibile. La scelta del ferro battuto, come materiale, proprio per sottolineare l’immobilità interiore delle tre protagoniste, chiuse ognuna nella propria gabbia.

La minaccia di un temporale che poi si avvera, non solo scandisce il passare delle ore, ma anche il mood della commedia, colorandola della tinta black che la contraddistingue.

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16 Dicembre 2025
BEPPE GAMBETTA TRIO in concerto

TERRA MADRE

BEPPE GAMBETTA chitarre e voce
NICK MANTOAN chitarra acustica, chitarra slide e voce
NICOLA BRUNO basso e voce

Il Beppe Gambetta Trio nasce per dar voce dal vivo agli arrangiamenti e alle esplorazioni sonore dei più recenti lavori di Beppe Gambetta, Terra Madre e Where The Wind Blows, scritti, suonati e cantati in lingue diverse dall'artista genovese.

Beppe Gambetta ha messo in luce accanto alla sua figura di chitarrista acustico e folksinger una vena cantautorale di grande spessore, accolta con entusiasmo da critica e pubblico, riconosciuta e presente da molti mesi ai posti più alti delle classifiche indipendenti americane.

Per questo progetto Beppe ha scelto di coinvolgere alcuni talenti delle nuove generazioni, simboli di una musica acustica che va avanti e continua a parlare nel tempo: Nicola Bruno (basso e voce) e Nick Mantoan (chitarre acustiche e voce).

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17 Dicembre 2025
W.O.M. INTERNATIONAL DANCE TRAINING

W.O.M. DIALOGUES

interpreti
DALIA ZAMPONI | ELISA MANOLIO | EMMA DE SANTIS | GIORGIA MAROZZI
GIORGIA TESSARO | JACOB PICCIRILLO | LUCREZIA SILVESTRI
MARTA DOMENICA GUARINO | MARTINA SAMMITO | MICHELA MOZZANO
MYRIAM PITILLO |TOMMASO DI TULLIO
regia e coreografia FRANCESCO GAMMINO
produzione BrancaccioDanza

W.O.M. Dialogues è una serata dedicata ai nuovi linguaggi della danza contemporanea, pensata per giovani artisti emergenti. Ogni anno, i danzatori selezionati dal percorso W.o.m. International Dance Training hanno l’opportunità di portare in scena una produzione contemporanea inedita e prestigiosa, vivendo un’esperienza completa di formazione e performance.

Alessia Gatta, con il progetto W.o.m. International Dance Training rinnova il suo impegno nella promozione di artisti emergenti, con una visione innovativa che offre spazio a talenti freschi e idee originali, contribuendo a costruire una comunità artistica vibrante e diversificata.

Ogni edizione prevede la collaborazione con coreografi ospiti di rilievo. Quest’anno, i danzatori di W.o.m. International Dance Training saranno protagonisti della nuova produzione firmata da Francesco Gammino, che andrà in scena in prima nazionale il 17 dicembre allo Spazio Diamante di Roma.

W.o.m. International Dance Training è il programma triennale a numero chiuso di formazione, produzione e ricerca coreografica nato all’interno del Teatro Brancaccio di Roma e diretto dalla regista e coreografa Alessia Gatta.

Rivolto a giovani danzatori dai 17 ai 24 anni, offre un percorso intensivo che integra studio tecnico, sperimentazione, ricerca coreografica ed esperienza scenica, con una visione contemporanea della danza a livello europeo.

Con sede presso il centro di alta formazione BrancaccioDanza, il progetto pone particolare attenzione al linguaggio della compagnia di danza contemporanea [Ritmi Sotterranei] di Alessia Gatta, arricchendosi della presenza di ospiti e docenti di fama internazionale a fianco di un corpo stabile di straordinaria qualità.

W.o.m. International Dance Training (dove gli opposti si incontrano) è un luogo dove gli stili si incontrano: hip hop, breaking, acrobatica, danza contemporanea, danza classica, teatro e molte altre discipline. Lo scambio e l’intersezione tra linguaggi diversi costituiscono una delle caratteristiche identitarie e trainanti del lavoro della coreografa Alessia Gatta, che guida questo percorso con visione e innovazione. In W.o.m., la danza non è mai un’arte isolata: è un dialogo costante con altre forme dello spettacolo – musica, arti visive, teatro e performance – generando un’esperienza multidisciplinare unica, capace di contaminare e arricchire ogni incontro artistico.

Negli ultimi anni, figure come Miguel Altunaga Verdecia, Damiano Artale, Rudi Cole, Tom Davis Dunn, Lorenzo Di Rocco, Noemi Dalla Vecchia, Liam Francis, Jesus Guia, Hea Min Jung, Georgios Kotsifakis, Michael Lohr, Nico Monaco, Gianni Notarnicola, James Olivo, Jennifer Rosati, Julia Robert, Eliana Stragapede, Matteo Vignali, Gianni Wers, Afshin Varjavandi hanno portato la loro esperienza e visione a supporto della crescita dei danzatori w.o.m.!

Ad ampliare ulteriormente l’esperienza formativa, artisti visivi e performer come Viola Pantano, Krayon, Bruno Cerasi e Lucamaleonte hanno intrecciato la loro arte con il movimento, generando occasioni uniche di contaminazione e ispirazione.

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19 Dicembre 2025 ▪ 6 Gennaio 2026
MATTEO CIRILLO | ALESSANDRO DI SOMMA | DIEGO MIGENI
YASER MOHAMED | MARCO ZORDAN

DRACULA
A comedy of terrors

di Gordon Greeberg & Steve Rosen
traduzione Enrico Luttmann
scene Paolo Carbone | aiuto regia Emiliano Morana
regia LEONARDO BUTTARONI
produzione: Viola Produzioni – Centro di Produzione Teatrale
Cattive Compagnie

Dracula… la commedia del terrore o più precisamente dell’errore!

Con cattive compagnie abbiamo sempre approcciato e affrontato spettacoli tratti dai film e libri da “Horse Head” spin off de “Il padrino” a “Fight club” di Palahniuk a “I 39 scalini” di Hitchcock dando sempre la nostra chiave di lettura arricchendoli di sarcasmo di ritmo e della follia che ci ha sempre contraddistinto.

Quando ci siamo imbattuti in questo testo “Dracula a comedy of terror” abbiamo subito capito che poteva essere una nuova sfida.

5 attori ripercorrono tutti i personaggi della storia di Bram Stoker, sempre in stile Monty Python e Mel Brooks.

Questa comicità e questo stile è quello più vicino al mio e allo stile della compagnia.

Sarà una commedia da ritmi serrati fatta di paradossi, assurdità ed iperboli, tutto enfatizzato da un atmosfera di terrore “maldestro” che gli attori dovranno dissacrare con le loro azioni.

Con effetti speciali, luci e musica che ci porteranno in un mondo gotico dalle tinte stile Tim Burton.

In queste atmosfere si infileranno come lame taglienti gag, battute e situazioni fuori dal comune, pronti a rapire e a letteralmente prosciugare di ogni risata gli spettatori.
Leonardo Buttaroni

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8 ▪ 11 Gennaio 2026
VUCCIRIA TEATRO

IMMACOLATA CONCEZIONE

da un'idea di Federica Carruba Toscano
con JOELE ANASTASI | FEDERICA CARRUBA TOSCANO | ALESSANDRO LUI
IVANO PICCIALLO | ENRICO SORTINO
scene e costumi Giulio Villaggio | light designer Martin Palma
musica originale “scurannu agghiunnannu” Davide Paciolla
testo musica originale Federica Carruba Toscano | aiuto regia Nathalie Cariolle collaborazione alla drammaturgia Federica Carruba Toscano
contributo drammaturgico Alessandro Lui | foto Dalila Romeo
video Giuseppe Cardaci | scenotecnica 2C Arte | opere di cartapesta Ilaria Sartini
drammaturgia e regia JOELE ANASTASI
produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

"E mi hanno ficiru santa. Perchè li ho guardati negli occhi per la prima volta. Perchè gli ho detto che con me potevano piangere e ridere e di nuovo piangere e restare omini. Il mio nome e' amuri. Iu sugnu Immacolata. Immacolata Concezione".

Immacolata Concezione è la storia di un microcosmo siciliano fatto di omertà, violenza e presunzione, ma anche di quell’autenticità tipica della carnalità isolana. I ruoli sociali si liquefanno tra le quattro pareti di una stanza, per poi solidificarsi ancora una volta, appena fuori da lì.

Sicilia, 1940. Concetta, ragazza silenziosa e innocente, viene barattata dal padre caduto in disgrazia con una capra gravida e affidata a Donna Anna, tenutaria del bordello del paese. Lei, estranea ai piaceri della carne e a qualunque "adulta" concezione della vita, non oppone nessuna resistenza. Del resto nessuno le ha mai spiegato cosa voglia dire fare l’amore, nonostante quella parola le piaccia già. Ben presto la fama “della nuova arrivata” raggiunge tutto il paese: ma nessuno sa di preciso quali piaceri regali agli uomini per farli impazzire così tanto.

Malgrado tutti millantino di mirabolanti prestazioni, dentro la stanza del bordello, nessuno di loro l'ha mai toccata. Concetta è vergine. Ha il dono di “sentire” l'anima dei suoi clienti; rendendo possibile la loro fragilità nascosta. Dona loro quello che nessuno sa dargli. Concetta è sicura! Crede che questo significhi fare l'amore: fare la barba o giocare a un due tre stella o offrire il petto per le lacrime del "signorotto" del paese. Non capisce perché il mestiere di prostituta susciti tanto scalpore in paese.

Ma come è' possibile raggiungere un angolo di paradiso senza pretenderlo tutto? Ogni uomo vuole Concetta tutta per sé, come fosse un oggetto di inestimabile valore. Solo la memoria e il martirio la renderanno indelebile. Così Concetta potrà diventare santa: quando non apparterrà più neanche a se stessa ma solo alla collettività; quando la sua purezza si eleverà a coscienza; quando la sua potenza, abbandonando il corpo, si imprimerà nella memoria; quando il ricordo di lei, affidato ai tempi che verranno, continuerà a generare amore.

Solo allora verrà il tempo di Immacolata Concezione.

Immacolata Concezione racconta la potenza e il culto dell’immagine che, arrivando a disumanizzare un corpo vivente per trasformarlo in feticcio, è soggetto alla necessità d’instaurare una relazione fondata sui desideri inespressi del proprio inconscio. Immacolata Concezione racconta quale terremoto possa generare l’incontro tra spiritualità e carnalità sul piano della collettività.

Gli anni ’40 rappresentano uno spartiacque essenziale nella storia dell’umanità. L’avvento della seconda guerra mondiale, con tutto quello che ha causato, ha rivelato come l’essere umano stesso sia stato brutalmente reificato e desacralizzato. Da quel momento storico la visione stessa dell’umanità, sia nelle relazioni tra gli uomini che nel rapporto con il potere, muterà profondamente e il concetto stesso di sacro cesserà di avere una corrispondenza nel piano del reale.

Immacolata Concezione, ambientato alla vigilia della guerra, racconta il punto di snodo di un sistema sociale in cui le relazioni vorrebbero ancora essere prodotte invece che brutalmente consumate. Sebbene raccontino un mondo in cui può esistere ancora futuro e speranza, contengono già il germe di quella deriva malata che troverà nel conflitto mondiale e nei regimi totalitari una possibilità d’espressione.

“Guardare attraverso i personaggi di Immacolata Concezione è come sfogliare le pagine di un vecchio diario e scoprire le oscillazioni più fragili delle loro anime; come avere accesso alla memoria collettiva e storica che abita in noi e genera le nostre più antiche passioni. Il tempo della storia è il passato che qui si fa molla per il futuro: per riscriverne uno nuovo.E noi, spettatori del mondo di oggi, ci aggrappiamo a qualche ultimo brandello di un passato carico di valori e speranza. Non c’è fiducia nel progresso. Non c’è fiducia nel tempo che verrà. E’ solo guerra, minaccia di guerra, guerra senza frontiere e senza regole. E noi abbiamo solo bisogno di amore, amore e altro amore.
Joele Anastasi

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13 ▪ 14 Gennaio 2026
CLAUDIA LIGORIO | ALICE TEMPESTA
VALERIO CASTRIZIANI | GIOVANNA MALAPONTI

CASA LELLA

drammaturgia di Giovanna Malaponti
regia di EMANUELE BARONI e GIOVANNA MALAPONTI

Roma, fine anni ‘ 40: siamo in una casa di piacere in via del Pellegrino, nel centro della città.

La tenutrice del bordello è la signora Lella, una donna cinica e materiale, disposta a tutto pur di guadagnare. Le prostitute che lavorano nel suo bordello sono tra le migliori della capitale: giovani, belle, eleganti. I servizi a disposizione dei clienti sono dei più svariati e la sala di accoglienza brulica sempre di gente in attesa di passare un qualche quarto d’ora di gioia.

Vita “L’amorevole” lavora qui da tre anni. Ha vent’anni e ha lasciato la sua terra natìa, la Puglia, per sfuggire alla povertà. Ama l’amore e la vita, è gioiosa e tenera, ingenua e bisognosa come una bambina. Un anno fa ha conosciuto Penelope che ha voltato le spalle a famiglia ed amici; dopo aver rifiutato di sottomersi ad un matrimonio combinato. Penelope “La Gatta” ha diciassette anni, è romana e si difende dietro ad una corazza molto spessa. Non si lascia mai andare, mastica chicchi di caffè e si calma con i sigarelli e gli stornelli romani.

Le due si completano, sono agli antipodi eppure legate da un profondo affetto. Hanno stretto una salda amicizia fin da subito, si divertono a fare esibizioni insieme per i clienti e si danno manforte in un mondo che vuole lasciarle sole e fra gli ultimi. Sono donne che lottano per la loro indipendenza e che non si sono piegate al loro destino.

Tra i tanti uomini che frequentano il bordello, c'è Giorgio, un militare figlio del ventennio fascista e del patriarcato. Sarà lui a conquistare il cuore di Vita, nonostante oscilli fra dimostrazioni di affetto e violenza crudele. Pur di rimanere fedele alla sua idea di amore, pur di non perdere qualcuno che dice di amarla, Vita accetterà di lasciare tutto e di ricominciare una vita con lui.

Penelope, in questo anno, ha maturato; poco per volta; un sentimento sincero e vero per Vita. Per lei è la prima volta: per la prima volta sente il cuore battere forte nel petto


NOTE DI REGIA

La violenza di genere, lo sfruttamento e l’oggettificazione del corpo femminile, l’impossibilità di vivere un amore omosessuale, la forza intrinseca nell’essere donna e la lotta per la propria indipendenza sono alcuni dei temi trattati in questo testo, ancora molto attuali.

Ed ogni azione o parola, sono sostenuti dalle sfumature che appartengono all’animo umano: fragilità, paura, passione, contraddizione e molto altro.
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15 ▪ 18 Gennaio 2026
VUCCIRIA TEATRO

BATTUAGE

con JOELE ANASTASI | FEDERICA CARRUBA TOSCANO
ALESSANDRO LUI | IVANO PICCIALLO | ENRICO SORTINO
scene e costumi Giulio Villaggio | light designer Davide Manca
musica originale "Battuage" Alberto Guarrasi | aiuto regia Enrico Sortino
drammaturgia e regia JOELE ANASTASI
produzione Fondazione Teatro di Napoli - Teatro Bellini

“Oggi faccio il compleanno fatemi gli auguri e quattro anni che sono qua. Sto aspettando il momento giusto, il provino giusto e me ne vado da questo posto di merda. Il treno giusto prima o poi deve passare. Che poi se sapevo che mi finiva a fare la puttana tanto vale che me ne stavo in Sicilia”.

Battuage, termine coniato per definire i luoghi battuti da persone in cerca di rapporti occasionali. Generalmente, si tratta di luoghi all’aperto o facilmente accessibili da un vasto pubblico, frequentati da singoli o coppie dedite allo scambismo. L’attività del “battere” si differenzia dalla prostituzione in quanto non presume un rapporto sessuale a pagamento. Vespasiani, parchi cittadini, spiagge, cimiteri, cinematografi, parcheggi, aree di servizio. Non di rado però questi luoghi sono gli stessi frequentati da marchette, prostitute, transessuali che offrono sesso in cambio di denaro.

Battuage racconta il luogo in cui è morto anche il desiderio del desiderio. E’ un viaggio aperto all’interno dell’animo umano, declinato nella sua più estrema e profonda oscurità. Brutalità e bestialità si riversano in ogni angolo, scardinando l’ordine morale delle cose. Il popolo di questo luogo-non luogo ci viene raccontato attraverso gli occhi - deformanti - di Salvatore, un giovane lavoratore del sesso.

Ma Salvatore, non è una vittima, non è costretto da nessuno. È l’esempio di un uomo disposto a tutto: a dissacrare quello che egli stesso ha elevato a sacro; a smantellare a piacimento i suoi valori, le sue idee, i suoi ideali.

Il sesso così diviene l’unico strumento di mediazione tra gli uomini, l’ultimo punto di contatto attraverso il quale fondare delle relazioni. L’universo che ne viene fuori è però uno spazio in cui si riversano mastodontiche solitudini che non vogliono altro che rimanere tali, il cui il desiderio è ormai evidentemente appiattito nello spasmodico sprofondare delle anime dentro se stesse.

Il desiderio si tramuta quindi in un affanno distruttivo di quelle relazioni, conferendogli un significato assolutamente anti-sessuale: Il suicidio dell’eros.

Nell’indagine di questa viscerale contraddizione a cui è giunto l’uomo, si colloca quindi la ricerca drammaturgica di Battuage

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4 Febbraio 2026
CLAUDIA CAMPAGNOLA
ANTONIO CARLUCCIO |LUCA SCORZIELLO

ISTANTANEE DI DONNA

di Paolo Logli
Antonio Carluccio (chitarra e voce) | Luca Scorziello (percussioni)
produzione Ass. Cult. Rondini

Dalla Venere di Botticelli alla Gioconda, da Beatrice a Giulietta, le donne sono argomento preferito di scrittori, poeti e pittori. Ma allo stesso modo, grandi donne sono protagoniste dell’arte, da Maria Callas ad Artemisia Gentileschi, da Anais Nin a Sibilla Aleramo, da Janis Joplin a Ella Fitzgerald, a Frida Kahlo. Le donne sono spirito dell’arte, e contemporaneamente ne sono creatrici. Le donne sono oggetto della creatività di molti artisti, ma sono esse stesse potenti motori creativi, mai sufficientemente riconosciuti da una società in preponderanza maschile. Troppo spesso vittime di violenza. Le donne abili portatrici di un punto di vista diverso da quello dell’uomo, originale, spiazzante.

Un racconto scandito appunto da volti di donna, in cui le voci delle grandi protagoniste del passato, ma anche del presente e del mondo reale, faranno da contrappunto, e da viatico, ad un percorso che vede come protagonista la donna ma anche le canzoni dedicate alla donna. Ascolteremo, in forma di monologo, la voce della Divina che parla di cosa significa essere Maria Callas, o della Gioconda che racconta le lunghe sessioni di posa di fronte al più grande genio della pittura di tutti i tempi, oppure il racconto di una grande cantante nera come Ella Fitzgerald che ci confida cosa significa essere donna, e nera, in un mondo di maschi bianchi che detengano il potere, oppure la voce amara e tagliente di Alda Merini che racconta la follia, e a sofferenza di essere donna in cerca di emancipazione. Oppure, infine, la voce flebile ma determinata di Madre Teresa di Calcutta, che racconta l’essere donna e donarsi al servizio dei deboli, o quella amara di Mia Martini, alle prese con la delusione che rappresentano gli uomini, le storie di donne vittime di soprusi, violenze ed ingiustizie.

Una serata, dai colori e dai suoni molto diversi, ma tutti unificati da un solo comune denominatore: la donna, appunto.

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11 ▪ 15 Febbraio 2026
TOMAS LEARDINI | LUCA MAMMOLI
SARA MANZONI | DEBORA ZUIN

SCUSATE SE NON SIAMO MORTI IN MARE

scene Francesco Fassone | luci Antonio Merola | costumi Costanza Maramotti
movimenti Olimpia Fortuni | ambiente sonoro Riccardo Tesorini
trucco Giorgia Blancato | aiuto regia Bianca Giardina
testo e regia EMANUELE ALDROVANDI
produzione LAC Lugano Arte e Cultura | Associazione Teatrale Autori Vivi

Testo finalista al Premio Riccione e al Premio Scenario 2015, dopo varie traduzioni e allestimenti all’estero – ultimo il debutto al Park Theater di Londra nel 2023 – torna in scena in lingua italiana Scusate se non siamo morti in mare, qui diretto dallo stesso autore, che torna ad affrontare un tema di grande attualità con lo stile che lo contraddistingue, sempre in bilico fra la commedia e la tragedia.

In un futuro non troppo lontano, in seguito a varie crisi economiche e ambientali, l’Europa è diventata un continente di emigranti. I cittadini europei, alla ricerca di un futuro migliore, cercano di raggiungere paesi più ricchi, ma devono farlo clandestinamente perché nel frattempo tutte le frontiere sono state chiuse. Sulla banchina di un porto,
dopo aver preso accordi con un marinaio/trafficante, due uomini e una donna salgono di nascosto su un container, con la promessa di raggiungere ognuno una destinazione diversa.

NOTE DI REGIA

Mettere in scena un proprio testo dieci anni dopo averlo scritto, in un certo senso, è un po’ come lavorare sull’opera di un altro autore. Uno sconosciuto con cui si condivide qualche tratto biografico e qualche ricordo.

Il desiderio di farlo mi è venuto perché in questi anni ho visto molti spettacoli che hanno trattato il tema dell’immigrazione e hanno raccontato le stragi nel Mediterraneo, alcuni molto efficaci e toccanti – ma tutti basati su un piano di realtà nel quale noi italiani/europei/occidentali siamo stretti nella dicotomia “creatori di confini” / “soccorritori”.

Scusate se non siamo morti in mare parte da un assunto opposto, non è realistico, non ha un approccio politico “diretto” e non tocca corde di emotività legate al presente.

A tutti gli effetti direi che parla d’altro, di un’altra emigrazione, di altre dinamiche e di un altro tema, che credo abbia più a che fare con il rapporto fra il tempo che scorre e l’immagine che riusciamo ad avere di noi stessi, come animali relazionali, all’interno di questo continuo mutamento naturale. Come regista ho scelto quindi di spingere questo allontanamento dalla realtà ancora più in là, verso il surreale e l’archetipico, sottolineando con la scenografia rotante lo scorrere del tempo e suddividendo l’azione scenica in inquadrature cinematografiche oblique, in cui lo spettatore dovrebbe essere portato a sentirsi sbilanciato, non solo visivamente ma anche rispetto al giudizio sociale e morale di ciò che vede.

Credo perciò che la sfida di riuscire a equilibrare una recitazione realistica all’interno di un impianto scenico simbolico, che accomuna questo spettacolo agli ultimi lavori che ho portato in scena, assuma in quest’occasione anche un senso meta-storico.
Emanuele Aldrovandi

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27 Febbraio ▪ 1 Marzo 2026
VIOLA GRAZIOSI

INVENZIONI

tratto da "L’Invenzione occasionale" di Elena Ferrante pubblicato da Edizioi E/0
adattamento e regia ANDREA GIANNONI
produzione Marche Teatro / TSA Teatro Stabile d’Abruzzo

Il Libro. L’invenzione occasionale (Incidental Inventions) di Elena Ferrante pubblicato da Edizioni E/O.

“Qualche anno fa, il Guardian, storico quotidiano britannico, mi propose di tenere una rubrica settimanale. Ne fui lusingata e insieme spaventata. Non avevo mai fatto un’esperienza di quel genere e temevo di non esserne capace. Dopo molte esitazioni feci sapere alla redazione che avrei accettato la proposta, se mi fossero state inviate una serie di domande a ciascuna delle quali di volta in volta avrei risposto nei limiti dello spazio assegnato. Di volta in volta calavo il secchio in fretta dentro qualche fondo scuro della mia testa e tiravo su una frase aspettando con apprensione che ne seguissero altre.

Il risultato è un libro che comincia, casualmente, il 20 gennaio con il racconto di una prima volta e termina, casualmente, il 12 gennaio dell’anno successivo con la messa a fuoco di un’ultima volta. Tante invenzioni occasionali non diverse da quelle con cui reagiamo ogni giorno al mondo in cui c’è capitato di vivere.”
(Elena Ferrante, da Urti, articolo del 18 marzo 2019 per il quotidiano The Guardian)

Per un anno intero (il 2018), Elena Ferrante scrisse per il quotidiano inglese “The Guardian” un articolo a settimana, su un titolo proposto di volta in volta dalla redazione del giornale. Gli argomenti trattati sono molto vari, e spaziano dal primo amore, al cambiamento del clima; dall’attrazione per un attore, all’autonomia dell’opera d’arte; dal trauma dei traslochi, all’emancipazione delle donne… Leggendo, ci si immerge nei pensieri dell’autrice; si finisce un argomento e si vuole iniziare avidamente il successivo. Il suo modo di scrivere trascina e incanta.


L’autrice, scrivendo in prima persona, “svela” una sua identità profonda, donando al lettore i suoi dubbi, le sue certezze, i suoi sentimenti, le sue riflessioni.

Il lavoro teatrale ispirato a Incidental Inventions sarà composto da dodici quadri che, come i mesi dell’anno, scandiranno il tempo dello spettacolo e delle storie che ne sono protagoniste.

Viola Graziosi, attrice di straordinaria versatilità, già nota per aver ridefinito l’arte della narrazione, trasformando la lettura in un’esperienza performativa di alto valore artistico, condurrà gli spettatori – attraverso parola, canto e movimento – in un viaggio immersivo nei pensieri, nelle fantasie e negli aforismi raccontanti dalla Ferrante.

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3 ▪ 8 Marzo 2026
ARIELE VINCENTI | FRANCESCO CASSIBBA | MATTEO MILANI
SARA NICOLUCCI | GIACOMO RASETTI

MARCINELLE, STORIA DI MINATORI

di Ariele Vincenti
musiche e rumori Tiziano Gialloreto | scene Alex Chiti
produzione Alt Academy Produzioni
in coproduzione con Teatro Stabile d’Abruzzo

Lo svolgimento drammaturgico si articolerà su un doppio binario di comunicazione e di tempo: la situazione scenica in tempo reale e la narrazione dei fatti. Tutti gli attori saranno sempre in scena, accompagnati da un musicista dal vivo che eseguirà in diretta i rumori della miniera.

PREMESSA

Nel 2026 si celebra il settantesimo l’anniversario dell’incidente sul lavoro più drammatico in Europa dal dopo guerra ad oggi. Era l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone di Bois du Cazier, a Marcinelle, nel Belgio meridionale, 262 minatori morirono a causa di un incendio e dei fumi tossici propagatisi a oltre 970 metri di profondità. Tra le vittime, 136 erano lavoratori italiani immigrati in Belgio grazie a un accordo tra il governo italiano e quello belga, volto a fornire manodopera al Belgio in cambio di carbone inviato in Italia. Nel dopoguerra si è verificata la terza grande ondata migratoria di nostri connazionali in cerca di fortuna all’estero, coinvolgendo migliaia di persone che erano obbligati a lasciare le loro case stretti dalla morsa della povertà. Lo spettacolo è il frutto di un accurato studio dell’autore dei fatti avvenuti e del contesto sociale dell’epoca, attraverso fonti scritte, filmiche e orali.

LO SPETTACOLO

Lo spettacolo ripercorre minuziosamente la cronologia temporale di 4 minatori. Dalla partenza dai propri paesi d’origine, alla morte nella miniera di Marcinelle.


Quando i minatori partivano, le piccole stazioni dei loro paesi si riempivano di mamme, fidanzate, amici e parenti che li salutavano. C’era hi era felice per loro, come amici o conoscenti e c’era chi invece si disperava, come le mamme e le fidanzate. Con le valigie di cartone i minatori viaggiarono in treno fino a Marcinelle.

Gli erano state assicurate 28 ore di viaggio. In realtà furono 5 giorni in condizioni disumane a livello logistico e sanitario. Il primo impatto con Marcinelle non fu dei più positivi. Gli alloggi che gli erano stati promessi, caldi e confortevoli erano al contrario scomodi e freddi. Le loro stanze si trovavano all’interno di ex campi di concentramento che i Tedeschi usavano durante la Seconda guerra mondiale.

Disumane le loro condizioni di lavoro: turni lunghi e faticosi, i pagamenti a cottimo; più carbone recuperavano, più la paga si alzava. I pasti erano scarsi. Se qualcuno chiedeva spiegazione di quelle condizioni ad un superiore, veniva aspramente criticato e minacciato.

Nella miniera, il loro lavoro a mille metri di profondità era estenuante: per ore stavano sdraiati in piccole gallerie chiamate mine alte mezzo metro. Scavavano con uno scalpello percosso da un martello di ferro o con il Motor Pique, un piccolo martello pneumatico dell’epoca in dotazione ai minatori. La mancanza d’aria.

La polvere. Il rumore assordante, i carrelli carichi di carbone, i nitriti dei cavalli, gli ascensori e altri suoni diventeranno una musica di accompagnamento per le azioni sceniche.

Racconteremo anche come passavano il tempo libero. Un giorno andarono a Liegi per seguire l’arrivo vincente di Coppi e scoprirono che nei bar era vietato l’ingresso agli italiani. Da una partita a scopa alle telefonate a casa fino al momento della tragedia: tutti i minatori smettono di parlare.

Rimarrà in sottofondo “la musica della miniera”, così la chiamavano!

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9 ▪ 10 Marzo 2026
CASSANDRA BIANCO | CHRISTIAN PACE

IL MATTO DI LÉGAL

assistente alla coreografia Nietta Dalmini | musiche: Rocco Misuraca
costumi: Amina Lombroni
Scenografie Christian Pace, Serena Cafaro, Natale Pace
regia e coreografia CHRISTIAN PACE
produzione Esenco Dance Movement

Un giovane scienziato, dopo una ricerca durata mesi, è prossimo a realizzare una grande scoperta. Purtroppo, durante il processo di finalizzazione, qualcosa va storto: la formula non funziona. Frustrato dai tentativi, decide di stemperare giocando a scacchi, da solo, nel luogo dov’è solito andare. Una donna, patita di scacchia che lei, s’imbatte nel giovane uomo e, attirata dal suo gioco, decide di sfidarlo, dandogli scacco matto. E’ lì che i loro sguardi s’incontrano. E ’subito chimica, nulla di più accattivante per uno scienziato.

Tra i due nasce una timida frequentazione: lei tumultuosa e caparbia, lui intimidito ma al tempo stesso incuriosito dagli effetti che la sua vicinanza genera in lui. Quello che si direbbe l’inizio d’un grande amore, è per lui la nascita di una nuova ossessione. Dopo aver consumato il rapporto sessuale, nello scienziato scatta l’irrefrenabile bisogno di studiare la donna credendo che il lei lui possa trovare la risposta per la sua grande scoperta. Da quel momento, il loro rapporto, assume una strana piega: lei diventa per lui, una cavia più che un’amante. Lei, di contro, ormai abbandonata al sentimento, subisce i fatti pur di averlo vicino, finché, consapevole di poter ambire al massimo ad un secondo posto nella vita di lui, decide di sostenerlo nel raggiungimento dell’obiettivo come ultimo atto d’amore. Raggiunto lo scopo, a seguito di una lunga e dolorosa stretta di mano, lei va via dal suo studio, per l’ultima volta.

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11 Marzo 2026
MIMOSA CAMPIRONI

SBANDATE

di Laila Ripoll
percussioni e batteria Alessandro Luccioli | traduzione Veronica Orazi
animazioni Giulia Oddi | video e aiuto regia Mattia Ranaldo
elementi di costume Giulio Benvenuti |
regia LOREDANA SCARAMELLA
produzione ALTRA SCENA

Lo spettacolo mette in scena la storia di Paloma Martinez Cruz, personaggio fittizio, ispirato a fatti realmente accaduti, che torna a vivere sul palco. A parlare è una Paloma adolescente che, scappata di casa per le aggressioni subite dal padre, viene arrestata e portata in riformatorio. Le sue vicende stimolano una riflessione sulla condizione della donna e la sua liberazione, sul persistere dell'eredità di un regime oppressivo e violento nel contesto della Transizione della Spagna negli anni 80.

Lo spettacolo ha la forma di un concerto rock dal vivo. In scena c’è l’attrice musicista Mimosa Campironi, con la chitarra e il piano. Al suo fianco il batterista Duccio Luccioli, mentre sul fondo scorrono le immagini di video arte di Giulia Oddi e Mattia Ranaldo. Lo spettacolo infatti si sviluppa a quadri, ognuno dei quali fa riferimento alla scaletta di un disco di fantasia. Il formato del concerto rock sostiene strategicamente le vicissitudini di Paloma e di altre ragazze morte, con brani di artisti e gruppi di moda nella Spagna anni 80 della movida (Janis Joplin, Patti Smith, Bob Dylan, ecc.). Durante lo spettacolo, la protagonista canta alcuni di questi pezzi; in particolare, un frammento di Gloria di Patti Smith, per sfogare la rabbia e denunciare l’impotenza sua e delle altre internate. “Jesus died for somebody’s sins, but not mine”, ripete in modo ossessivo.

Nell’epilogo, risuona significativamente il motivo di Naranjito, il jingle dei mondiali 82.

La musica, quindi, funge da colonna sonora dell’opera, radica i ricordi in un momento storico recente e contribuisce a suscitare il senso di straniamento, prodotto dalla scoperta dell'insospettata prossimità dei fatti rievocati, accaduti durante una transizione democratica definita esemplare, la cui esemplarità viene messa in discussione.

NOTE DI REGIA

Sbandate (Descarriadas) di Laila Ripoll è un testo che nasce sul fertile terreno della memoria. È un monologo sulle atroci eredità del franchismo: il ricovero in centri specializzati nella protezione e rieducazione delle ragazze "sbandate", termine con il quale era facile definire tutte quelle giovanissime donne che, deviando anche sottilmente dalla morale imposta dal regime franchista, dovevano essere ricondotte alla norma e controllate. La cosa scioccante è il persistere della pratica e di questi centri fino a metà degli anni ‘80, circa dieci anni dopo la caduta del regime: uno fra i tanti nodi con cui è intessuto quel periodo definito della Transizione, che presenta sfumature complesse e laceranti, comuni a tutti i paesi che si trovano davanti alla necessità di una riflessione e una ricostruzione dopo un periodo oscuro e doloroso.

La drammaturgia della memoria in Italia non ha avuto una vita felice. Mi chiedo perché, a parte alcune eccezioni, la maggior parte di quanto viene scritto e messo in scena sia percepito dagli spettatori come pesante, noioso, come un compito assegnato che bisogna assolvere per dovere. In Spagna è diverso. Sbandate, nonostante la gravità degli eventi narrati, la tragicità dei vissuti raccolti, non è uno spettacolo punitivo, non crea nessuna tentazione di commiserazione né spinge verso toni melodrammatici. E non è un caso isolato. Molti testi del teatro della memoria spagnolo hanno una vitalità dovuta al filo mai spezzato di un'ininterrotta riflessione degli intellettuali sulle eredità evidenti o nascoste del passato, ancora presenti nella vita quotidiana, e alla scelta dei drammaturghi di generi e forme che spingono la rappresentazione verso una messa in scena che sorprende il pubblico e lo coinvolge nella riflessione collettiva. Piuttosto che piegati da un senso di colpa rispetto alla storia, si esce con energie rinnovate, col desiderio di onorare la memoria dell'orrore con una vita in cui ci sia spazio per la giustizia, la diversità, il rispetto delle minoranze.

Questo è il merito del testo di Laila Ripoll, perché così ci si sente alla fine della lettura di Sbandate. E così ci auguriamo che sia alla fine dello spettacolo: un concerto rock di Paloma, creatura di fantasia nutrita dal sangue di molte ragazze reali, che attraversa la sua breve vita mescolando alle sue la forza, le parole e il canto di quelle donne che hanno cambiato e colorato di diverse sfumature l'identità femminile negli anni Ottanta. Paloma torna dal passato e racconta, canta, protesta, balla, grida, suona, come le star del palcoscenico musicale di quegli anni, mentre sullo schermo dietro di lei scorre un teatro d'ombre popolato da silhouettes infantili. Dal suo immaginario ancora pieno di speranze, viene trascinata verso luoghi di punizione in cui aspettative, desideri e passioni perdono colore e neppure la gioia della maternità viene risparmiata. Eppure il suo racconto di "ragazza morta" ha toni di euforia, di lotta, grida il desiderio di una vita piena. Armata di rabbia e d'amore, Paloma si incarna per una serata nella voce e nel corpo senza età di Mimosa Campironi, ci invita al viaggio, ci sfida a seguirla. E anche se la storia è lontana non parla del passato, parla di oggi: del desiderio di libertà, di una vita dove lo spazio della repressione diventi spazio per la dignità, l'amore e la bellezza.
Loredana Scaramella

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12 ▪ 15 Marzo 2026
EVA ROBIN’S | BEATRICE VECCHIONE | MATILDE VIGNA

LE SERVE

di Jean Genet
traduzione Monica Capuani | scene Paola Villani
costumi Erika Carretta | drammaturgia sonora John Cascone
disegno luci Théo Longuemare | movement coach Marta Ciappina
assistente alla regia Ilaria Costa | scenotecnica Officine Contesto
regia e adattamento VERONICA CRUCIANI
produzione CMC - Nidodiragno | Emilia Romagna Teatro ERT - Teatro Nazionale Teatro Stabile di Bolzano
si ringrazia il Teatro Comunale di San Giovanni in Persiceto (BO)

Capolavoro di Jean Genet, liberamente ispirato a un fatto di cronaca che scosse l’opinione pubblica francese negli anni Trenta, Le serve è un perfetto congegno di teatro nel teatro che mette a nudo la menzogna della scena, “uno straordinario esempio di continuo ribaltamento tra essere e apparire, tra immaginario e realtà”, nelle parole di Jean-Paul Sartre.

La storia scritta da Genet è quella di due cameriere che allo stesso tempo amano e odiano la loro padrona, Madame. Le serve hanno denunciato il suo amante con delle lettere anonime. Venendo a sapere che l’amante sarà rilasciato per mancanza di prove, e che il loro tradimento sarà scoperto, tentano di assassinare Madame, falliscono, vogliono uccidersi a vicenda; una di esse si dà la morte.

Genet presenta le due sorelle, Solange e Clare, nella loro vita quotidiana, nell’alternarsi fra fantasia e realtà, fra gioco del delirio e delirio reale. A turno le due cameriere recitano la parte di Madame, esprimendo così il loro desiderio di essere “La Signora” ed ognuna di loro, a turno, interpreta la parte dell’altra cameriera, cambiando lentamente atteggiamento, dall’adorazione al servilismo, dagli insulti alla violenza.

La rivolta delle serve contro la padrona – spiega la regista Veronica Cruciani che cura anche l’adattamento con la traduzione di Monica Capuani - non è un gesto sociale, un’azione rivoluzionaria, è un rituale.

Questo rituale è l’incarnazione della frustrazione, l’azione di uccidere l’oggetto amato ed invidiato non potrà essere portata a compimento nella vita di tutti i giorni, viene ripetuta all’infinito come un gioco.

Tuttavia questo gioco non raggiunge mai il suo apice, la messa in scena che le due sorelle compiono viene continuamente interrotta dall’arrivo della padrona. Secondo Sartre questo fallimento è inconsciamente insito nel cerimoniale stesso che le serve mettono in scena; il tempo sprecato nei preliminari non porterà al compimento del rituale. Anzi questo rituale diventa un atto assurdo, è il desiderio di compiere un’azione che non potrà mai superare la distanza che separa il sogno dalla realtà.

Una fallimentare ripetizione magica, il riflesso deformato del mondo dei padroni, che le serve adorano, imitano, disprezzano.

Il ruolo di Madame è affidato a Eva Robin’s, icona pop del transgender dall’originale percorso teatrale (ha recitato, fra gli altri, Cocteau e Beckett ed è stata candidata all’Ubu per Tutto su mia madre).

A interpretare le bonnes, due giovani attrici cresciute alla Scuola dello Stabile di Torino: Beatrice Vecchione – già diretta da Malosti, Martone e Muscato – e Matilde Vigna, Premio Ubu come Migliore attrice Under 35 e finalista 2022 per il Miglior nuovo testo italiano.

Veronica Cruciani (Premio della Critica e Hystrio), ambienta la vicenda in una città contemporanea, valorizzando dunque i temi, attualissimi, del potere e del genere.

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17 - 22 Marzo 2026
MUTA IMAGO

ASHES

con MARCO CAVALCOLI | IVAN GRAZIANO
MONICA PISEDDU | ARIANNA POZZOLI
musiche originali eseguite dal vivo Lorenzo Tomio | occhio esterno Claudia Sorace
luci Maria Elena Fusacchia | fotografia Joanna Piotrowska
per INDEX Valentina Bertolino, Francesco Di Stefano, Silvia Parlani
foto di scena Lorenzo Benelli, Ilaria Depari, Riccardo Fazi, Claudia Pajewski
drammaturgia e regia RICCARDO FAZI
produzione Index
con il sostegno di Azienda Speciale Palaexpo – Mattatoio Progetto
Prender-si cura con il supporto di MiC – Ministero della Cultura

Spettacolo vincitore del premio Ubu 2022 per il Miglior progetto sonoro/musiche originali e il Miglior attore protagonista (Marco Cavalcoli).

Ring-a-ring-a-rosies A pocket full of posies Ashes to ashes We all fall down

Si può viaggiare nel tempo attraverso il suono? Si può costruire un racconto sonoro che prenda forma soltanto nella mente degli/delle spettatori/spettatrici? Ashes è un aleph di suoni che scorrono paralleli, un flusso di attimi che si sovrappongono, si fanno sentire per un istante prima di scomparire. Un concerto per voci e musica eseguita dal vivo, un viaggio sonoro immersivo: una riflessione sul potere immaginifico del suono e della parola, sull’importanza dell’“ora” e sulle sue caratteristiche di impermanenza, così affascinanti e disturbanti allo stesso tempo.

Una sequenza di accadimenti si svolge senza soluzione di continuità: brevi frammenti di vite private, compleanni, feste, morti, cadute, uccisioni, animali, alberi di Natale, dinosauri, microbiologia, geologia, tutto quello che passa e non resta, ma che definisce e conferisce un significato preciso alla vita di noi esseri umani. I quattro performer parlano, giocano, urlano, lottano, confessano segreti e fanno dichiarazioni d’amore. Voci che generano dinosauri e lupi, funghi e balenottere, madri, padri, figli e figlie, che solo per un attimo si trovano in quel tempo e in quello spazio, pronti a scomparire con l’evanescenza del fiato che si dissolve.

È solo la voce che avvera la presenza, crea mondi, tesse relazioni, genera visioni. In scena pochi elementi fissi: un tappeto, dei microfoni: uno spazio che non cambia mai, mentre il tempo e il suono si muovono in continuazione.

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24 ▪ 29 Marzo 2026
VINCENZO NEMOLATO | FEDERICA SANDRINI

CHANGING THE SHEETS
Amore fresco, ogni settimana

di Harry Butler
traduzione Elena Novello | adattamento italiano Francesco Ferrara
regia di VINCENZO NEMOLATO
produzione Teatro Metastasio di Prato |Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
in collaborazione con CIDIPI SRL

Changing the Sheets è un testo dell’autore irlandese Harry Butler, che ha debuttato con successo al Fringe Festival di Edimburgo nel 2022. Lo spettacolo racconta la storia di due giovani che si incontrano su un’app di incontri e vivono quattro fine settimana di passione e conflitti emotivi.

Attraverso dialoghi serrati e momenti di intimità, la pièce esplora le difficoltà relazionali della generazione contemporanea, condizionata dalla comunicazione digitale e da un bisogno costante di connessione che non trova mai pieno appagamento.

Changing the sheets ci offre la possibilità di riflettere sulla capacità di relazione dell’uomo contemporaneo, su quanto essa sia influenzata dai nuovi sistemi di comunicazione e su quanto la stessa società, che ci vuole iperconnessi e sempre performanti, ci condiziona in maniera negativa nella ricerca di una relazione affettiva stabile. I due protagonisti diventano così specchio di una generazione che fatica a comunicare davvero, intrappolata in una continua oscillazione tra desiderio di intimità e paura del coinvolgimento.

L'adattamento italiano, curato da Francesco Ferrara e diretto da Vincenzo Nemolato, mantiene l’ironia e l’intensità del testo originale, arricchendolo di riferimenti culturali italiani e di una messa in scena che esalta l'umorismo e il ritmo serrato dei dialoghi.

La rappresentazione si sviluppa come una giostra emotiva e comica, alternando momenti di intimità e confronto a scene esilaranti, dove la fragilità dei personaggi diventa fonte di ironia e leggerezza.

Tra battute taglienti, malintesi comici e slanci romantici, lo spettacolo diverte e coinvolge, senza mai perdere la sua riflessione critica sulle relazioni moderne.

Changing the Sheets è pensato per un pubblico dinamico e moderno, soprattutto per giovani adulti alla ricerca di spettacoli che sfidano le convenzioni e affrontano temi contemporanei. Lo spettacolo offre un'esperienza coinvolgente e divertente, in cui la comicità e la leggerezza dei dialoghi si intrecciano con riflessioni più profonde sulle relazioni e sull'amore.

Attraverso battute taglienti e situazioni esilaranti, gli spettatori sono invitati a esplorare le proprie idee sulla relazione e sull’amore in un mondo sempre più liquido e complesso, che è disposto ad accantonare l’altro e i suoi bisogni con la stessa frequenza con la quale si cambiano le lenzuola, per avere qualcosa di fresco, ogni settimana, che inevitabilmente ci stancherà presto.

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1 ▪ 2 Aprile 2026
SERENA BORELLI | ANDREA CARPICECI | GABRIEL DURASTANTI
LUCA MORCIANO | ALESSANDRO PISANTI
MICHELANGELO RAPONI | ALICE STACCIOLI

PASOLINI
Sotto gli occhi di tutti

costumi Fiorella Mezzetti |aiuto regia Martina Grandin
direzione organizzativa Alice Staccioli
regia VALENTINA COGNATTI
produzione Margot Theatre Company

Lo spettacolo ispirato alla vita, alla poetica e al cinema di Pier Paolo Pasolini

vincitore del Premio Fantasio Festival 2021 e del Premio Scintille Teatro 2022

finalista a Presente Futuro ‘23 del Teatro Libero di Palermo.

Al centro della scena, una pedana di legno sospesa, retta da braccia umane. Nello stesso spazio si muove, solitario, visionario, Pier Paolo Pasolini, in eterno dialogo e scontro con la struttura del suo tempo. Lo spettacolo è un viaggio nella vita, nella poetica e nel cinema di Pasolini, e analizza con lo strumento del teatro fisico-poetico il rapporto teso e conflittuale tra il poeta e la società di cui si trova a far parte.

In scena, sette attori, cinque uomini e due donne. La figura di Pier Paolo Pasolini è interpretata da un singolo attore, mentre gli altri interpreti variano e si trasformano in personaggi diversi.

La pedana di legno è la società italiana degli anni ’60, che resta sospesa in aria come sospesa nel mare è l’Italia, e sovrasta lo scrittore: lo schiaccia come lo stato civile e la sua crudele morte lo hanno schiacciato, e lo lascia da solo, impossibilitato a entrare nel meccanismo perpetuo della borghesia, solo nella vita come nella morte.

La pedana è sostenuta dagli attori stessi, che si alternano sotto e sopra di essa, e la fanno ondeggiare, come il mare, come un equilibrio mai trovato.

La sensazione che si vuole trasmettere è l’instabilità e il senso di soffocamento dato da questo muro/soffitto/pavimento, mentre il movimento incessante continua sopra e sotto la pedana: utilizzando le tecniche del physical theatre, cinque giovani attori salgono, scendono, cadono, sorreggono, mostrano immagini, oggetti, si trasformano e rappresentano l’Italia del periodo e i personaggi che orbitano intorno allo scrittore: bersagli, amici, confidenti, accusatori, prostitute, intellettuali, giovani figli di borghesi, figure della sua vita privata e pubblica.

L'attrice si trasforma, invece, nella madre, in Laura Betti, in Maria Callas, in Anna Magnani, donne fondamentali nella vita del poeta. Si svela così l’intima solitudine di Pasolini, la sua fragilità e la sua ricerca di purezza, e accanto alle immagini feroci del suo tempo si cominciano a delineare altre immagini, cariche di speranza, di genuinità e di sensibilità: emergono ricordi, momenti di vita personale, che dialogano con il protagonista e lo astraggono per un momento dalla lotta.

Traballa l’Italia, si inclina per far salire le persone, ma in un attimo le ributta giù, in una continua ricerca di potere da cui nessuno si salva. Con le loro meschine abitudini, i personaggi sono i protagonisti della struttura di legno quando salgono vittoriosi, certi di sé stessi, ma ne sono anche le vittime, costrette a supportarne il peso e così a suffragarne l’esistenza, come di una verità incrollabile.

Crolla tutto, invece, per Pasolini: crolla la sua fede nel partito comunista, crolla la sua reputazione pubblica, diffamata, crolla il suo amore, ritenuto contro natura. Crolla piano piano la sua vita, fino all’ultimo rabbioso crollo: rimasto solo, Pasolini è costretto a sorreggere con le sue forze la pedana sospesa, che, come la società opprimente e violenta in cui vive, come una macchina in una spiaggia di Ostia, spietata e inesorabile, lo schiaccia, fino a crollare su di lui, provocandone la morte.

Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti, proprio perché fosti cosciente, sei incosciente. E solo perché sei cattolica, non puoi pensare che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male. Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.

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8 ▪ 11 Aprile 2026
SOTTERRANEO
SARA BONAVENTURA| CLAUDIO CIRRI | LORENZA GUERRINI
DANIELE PENNATI, GIULIO SANTOLINI

L’ANGELO DELLA STORIA
creazione Sotterraneo

scrittura Daniele Villa | luci Marco Santambrogio | costumi Ettore Lombardi
suoni Simone Arganini | montaggio danze Giulio Santolini
ideazione e regia SARA BONAVENTURA | CLAUDIO CIRRI
DANIELE VILLA
produzione Sotterraneo
coproduzione Marche Teatro| Associazione Teatrale Pistoiese
CSS Teatro stabile di innovazione del FVG | Teatro Nacional D. Maria II
contributo Centrale Fies | La Corte Ospitale | Armunia
col supporto di Mic| Regione Toscana | Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze

L'angelo della storia assembla aneddoti storici di secoli e geografie differenti, gesti che raccontano le contraddizioni di intere epoche, azioni che suscitano spaesamento o commozione, momenti che in una parola potremmo definire paradossali.

Nel suo ultimo lavoro il filosofo Walter Benjamin descrive un angelo che vola con lo sguardo rivolto al passato, dando le spalle al futuro: le macerie di edifici e ideologie si accumulano davanti ai suoi occhi [strumenti musicali in fondo all’oceano, radar malfunzionanti, balene spiaggiate] e l’angelo vorrebbe fermarsi a ricomporre i detriti [neonati morti, statue in Antartide, conigli fluorescenti], ma una tempesta gonfia le sue ali e lo trascina inesorabilmente in avanti [danze isteriche di massa, paracaduti inceppati, gatti milionari]: questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso.

Per quanto l’angelo osservi il susseguirsi degli eventi [mani sui tasti di un pianoforte, funghi atomici, cartoline nella giungla] e cerchi di resistere alla tempesta, non può fermarsi e intervenire, non può rincollare i pezzi e rifondare una realtà condivisa, non può fare assolutamente nulla per aiutarci – se non altro perché gli angeli non esistono [cocktail al cianuro, numeri irrazionali, racconti intorno al fuoco]. Quale altro essere senziente potrebbe provare a ricomporre l’infranto, smontare le narrazioni e – volando o meno – finalmente girarsi per proiettare lo sguardo in avanti?

Ispirandoci a quelle che il filosofo Walter Benjamin chiamava costellazioni svelate, proviamo a raccontare questi episodi mettendoli in risonanza col presente, componendo una nostra personale mappa del paradosso fatta di microstorie, istanti sospesi, momenti fatali di persone illustri o sconosciute: fatti e pensieri lontani fra loro ma uniti da quella tela di narrazioni, credenze, miti e ideologie che secondo lo storico Yuval Noah Harari compongono la materia stessa di cui è fatta la Storia.

Oggi che la complessità ci richiede immaginari inediti e nuovi processi cognitivi, ci piace pensare che a teatro si possano recuperare narrazioni e circostanze a cui Sapiens ha aderito nei millenni, smontarle, ricombinarle, prenderne distanza allontanandoci nel tempo e cercare almeno un po’ di quella vertigine che coglie un astronauta quando osserva la Terra allontanandosi nello spazio.

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18 ▪ 19 Aprile 2026
COLLETTIVO TEATRO IMMAGINE

TENTATIVO DI RAPPRESENTAZIONE DELLA MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO

con ELISABETTA TORTORA | SILVIA BAZZINI | DAVIDE MERCURI
ALESSANDRO PACE | MATTIA FATO | GRETA EGIDI
FEDERICO CORSALE | SIMONE CRISTIANI | VALERIO MONTANARI
costumi Fabio Cicoiani | contributi musicali Giorgio Li Calzi
ideazione oggetti di scena Elena Cecconi
realizzazione oggetti di scena Matteo Di Mattia
tecnico luci e audio Simone Anzoino
ideato e diretto da MARCANTONIO GRAFFEO
produzione Collettivo Teatro Immagine

Un omaggio a tutti quegli artisti, da Dario Fo a Elio Petri a Franca Rame a Gian Maria Volonté, che si sono impegnati nella lotta politica di quei magnifici anni ’70 Nel palcoscenico c’è un ring, circoscritto come uno spazio sacro, ma anche luogo del crimine, messa in scena di “quella stanza” della questura di Milano, del segreto di quanto è accaduto, il tentativo di rappresentarlo. Segreto che, con il susseguirsi di insabbiamenti e depistaggi, si è fatto sempre più nero e inquietante, simbolo di un periodo politico. C’è l’impossibilità degli artisti di ignorare quanto accade di tremendo intorno a loro. L’esterno insinua lo spazio del palcoscenico, impossibile rifiutare questa osmosi.

In quello spazio, Dario Fo e Franca Rame provano. Provano a mettere in scena la loro rappresentazione, capiscono che devono “Fare caciara”, come scrivono ricordando quegli anni, il lavoro fatto per Morte accidentale di un anarchico. Iniziano a scrivere, tentano una messa in scena.

Intorno, aggressivo, pericoloso, con le voci, l’eco delle esplosioni degli attentati, c’è il mondo di fuori che vuole entrare, che assedia, quello spazio sacro.

I testimoni, i protagonisti di allora, riemergono dai materiali d’archivio, la loro voce si materializza per raccontare quanto non è stato ascoltato. Pinelli cade addosso a tutti noi. I personaggi di allora rivivono attraverso la re-interpretazione in scena dei materiali d'archivio originali, gli attori spesso indossano le maschere dei protagonisti.

Un attento lavoro di ricerca dei testi e dei materiali d’archivio dell’epoca. I testi principali di riferimento sono stati: “La strage di Stato”, il libro di Camilla Cederna: “Pinelli – Una finestra sulla strage”, e naturalmente “Morte accidentale di un anarchico” di Dario Fo e Franca Rame, che comunque non sarà mai rappresentato nel nostro spettacolo. Qui vogliamo mettere in scena nel linguaggio teatrale, evitando la proiezione di filmati, i fatti accaduti, la reazione e l'impegno, tra gli altri, di Dario Fo, Franca Rame, Camilla Cederna, Gian Maria Volonté ed Elio Petri.

Il Collettivo Teatro Immagine si è formato su questo spettacolo, ideato e diretto da Marcantonio Graffeo, nove attori giovanissimi, curiosi di conoscere quello che è accaduto negli anni ’70.

SALA GREY

14 ▪ 16 Novembre 2025
SARA VALERIO

IL CAFFE’ DI CICORIA

di Sara Valerio
disegno luci Alessandro Greco | aiuto regia Margherita Fusi e Sofia Petrone
regia di NICOLA PISTOIA
produzione Saval Spettacoli

È una storia vera, in equilibrio tra emozione e leggerezza che, pur senza tralasciare nessuna sfaccettatura delle violenze e degli abusi subiti, non cade mai nel dramma opprimente.

È una storia che vuole essere un invito ad una riflessione consapevole, un’occasione per interrogarci su tutto quello che fino a ieri era considerato normale e che normale non è.

La protagonista è una donna romana, figlia di una Roma pasoliniana, di borgate e magnificenza. Una Roma che non è solo monumenti e pietre, ma è carne e sangue. È una Roma in cui la vita è intrappolata in una rete invisibile, dove ogni passo è segnato e non c’è modo di sfidare il destino. Regna l’ineluttabilità.

La donna protagonista è come la sua città: senza scampo.

È una donna che vive in strade dove la violenza è tangibile, è violenza fisica, ma non solo, è anche silenziosa, radicata, totale, è entrata anche nella mente e nei pensieri e impedisce anche solo di immaginare un’alternativa possibile.

È una donna che procede a testa bassa, che non sfida un sistema che la definisce.

Non c’è lotta, anche se c’è ribellione.
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3 ▪ 8 Marzo 2026
PAOLA GIORGI

D. LA PRINCIPESSA DIANA E LA PALPEBRA DI DIO

di Cesare Catà | Paola Giorgi
con le voci di SONIA BARBADORO e GIOVANNI MOSCHELLA
musiche Maria Chiara Orlando | scene e costumi Stefania Cempini
assistente di scena Oscar Genovese |
regia LUIGI MORETTI
produzione Bottega Teatro Marche

Lo spettacolo racconta l’icona di Lady Diana Spencer, la Principessa del Popolo, non soltanto come protagonista di una favola contemporanea finita in tragedia, ma come donna fragile e indomita, figlia del suo tempo e insieme capace di trascenderlo. In una sorta di memoriale post-mortem, la Principessa prende parola e ripercorre la propria esistenza: i sogni infranti e gli amori, i dolori intimi e la solitudine, le ferite e la compassione che l’hanno resa simbolo universale. La voce di Diana non è mai isolata: dal regno dei vivi giungono echi e richiami – le parole dei figli William e Henry, le ombre della Regina Elisabetta e dell’ex marito Carlo – che entrano nel dialogo con lei; non conforto, ma contrasto.

È un racconto in cui il privato e il politico si intrecciano, mostrando la doppia condizione di Diana: icona pubblica e creatura umana.

A mano a mano che il monologo procede, l’immagine di Lady D si fonde con quella di grandi archetipi femminili della classicità: Medea, Arianna, Antigone, Artemide. Le voci del mito – Euripide, Ovidio, Sofocle, Seneca – penetrano nel testo come risonanze remote, aprendo squarci poetici e filosofici che proiettano la vicenda della Principessa oltre il tempo storico, dentro la dimensione del simbolo.

Ne emerge un ritratto fiabesco e psicologico insieme: una figura che, pur immersa nella cronaca recente, si fa materia di leggenda.

Un ritratto dal sapore “neo-shakespeariano”, che illumina in modo inedito e commosso non solo un volto amatissimo e controverso del Novecento, ma anche un’intera stagione della storia europea e del nostro immaginario collettivo.

Perché uno spettacolo su Lady D.

Ho sempre ammirato Lady Diana Spencer, quella sua impronta di donna libera, e ho sempre desiderato portarla in scena. Non mi interessa il gossip: ciò che mi affascina sono le tante sfaccettature di una donna di nobile famiglia, coraggiosa, anticonvenzionale, elegante, moglie, ma soprattutto madre.

C’è un punto di contatto tra me e Lady Diana, un’esperienza dolorosa che abbiamo entrambe conosciuto nei disturbi del comportamento alimentare, e che abbiamo imparato a lasciarci alle spalle. È in quella forza ritrovata che riconosco il legame più vero. Quando penso a Diana penso ad Antigone: al suo atto di insubordinazione, al suo essere idealista e romantica, decisa ad affermare il primato della libertà.

Con questa suggestione mi sono rivolta a Cesare Catà, che ha fatto sbocciare la mia idea di Diana connettendola alle vicende di Medea, Artemide, Antigone, Arianna, creandone un mito che Cesare ci consegna attraverso la sua palpebra di Dio. Un lavoro così intimo non potevo che affidarlo alle mani di Luigi Moretti, regista di profonda sensibilità e raffinatezza.

D. La principessa Diana e la palpebra di Dio è la storia di una Donna, con tutta la meraviglia che questo termine racchiude.
Paola Giorgi
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26 ▪ 29 Marzo 2026
GABRIELE COLFERAI | ANGELO DI FIGLIA

FAG/STAG
Amici di genere

di Jeffrey Jay Fowler & Chris Isaacs
regia GABRIELE COLFERAI
produzione Dogma Theatre Company

Ludo e Giammy sono migliori amici. Le loro vite sono piene di Tinder, Grindr, piccole bugie, grandi nottate e molte, troppe, birre. Giocare a Super Mario, pulire il vomito nella doccia, sms mai risposti, brutto sesso, tornare a vivere con mamma e papà.

Nel mese che precede il matrimonio dell’ex-ragazza di Ludo, i due amici faticano a tenere le loro vite sui binari, alla ricerca di un minimo di equilibrio che gli permetta quanto meno di affittare un completo per il grande Giorno. Fag/Stag si interroga su cosa significa avere un migliore amico quando sei bloccato nella palude della peggiore versione di te stesso.

Con una scrittura graffiante e sorprendente, la storia è raccontata simultaneamente da due punti di vista diversi, da due narratori decisamente poco affidabili.

Fag/Stag è un viaggio fedele e comico alla scoperta di ciò che si nasconde nella testa di due giovani uomini moderni.

Spettacolo vincitore del FringeMi festival 2022.
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16 ▪ 19 Aprile 2026
MASSIMO DE MICHELE

RIOT ACT

di Alexis Gregory
traduzione Enrico Luttmann
costumi Marco Dell'Oglio | scrittura gestuale Tiziano Di Muzio
consulente musicale Fabio Marchi | assistente alla regia Giuseppe Claudio Insalaco
diretto da MASSIMO DE MICHELE
produzione Artisti Associati-Centro di produzione Teatrale Gorizia

NOTE DI REGIA

Riot Act di Alexis Gregory è una combinazione di tre monologhi che abbracciano ben sei decenni e due continenti. Tre voci per ripercorrere la faticosa lotta per i diritti della comunità non-eterosessuale dal 1969 ad oggi, partendo dalla memoria di ciò che accadde nella famosa notte allo Stonwall, fino all'attivismo legato all'AIDS.

Non è un caso o un espediente drammaturgico quello dell'autore di moltiplicare per tre l'io narrante del testo. Troppa vita, troppe implicazioni, troppe angolazioni e prospettive colorano la storia dei movimenti di liberazione del genere e della sessualità che sarebbe impossibile condensare tutto in un unico racconto.

Tre voci, ma forse anche cento, o mille, per restituire la infinite implicazioni in cui questo pezzo della nostra cultura si dirama. Tre voci per sottolineare la potenza con cui la stessa vicenda di una notte in un sobborgo di New York ha investito come un'onda d'urto che si propaga nel tempo e nello spazio, le vite di milioni di persone, inconsapevolmente partecipi di un progresso sociale sovversivo e pervasivo, che avrebbe slacciato per sempre i legacci del patriarcato, delle morale eteronormata.

Eppure, questo non è un racconto corale. Le storie dei tre protagonisti scivolano parallele, senza intersecarsi. Particelle di un unico fiume che pur senza incontrarsi, senza nemmeno sospettare l'una dell'altra, scorrono insieme come parte di un'unica forza.

La regia si focalizza su questa costruzione "liquida", astrae gli spazi, asseconda l'avvicendarsi dei racconti che galleggiano sospesi in un non-luogo, in cui la parola diventa l'unica realtà fisica consistente, un fluido che riempie la scena e che si muove ai ritmi diversi della narrazione.

Tre voci, tre racconti, a metà strada tra interviste e flussi di coscienza, su cui Gregory accende una luce discreta e mai invasiva, ad illuminare i ricordi remoti e attuali della notte di Stonewall, tra la concitazione della lotta e l'entusiasmo per una causa comune che annienta distanze e differenze. A far brillare lo sfarzo dissacrante e corrosivo di Lavinia, drag queen dagli anni '70, che esorcizza il lutto, il dolore, la paura e la vita tutta con uno strato di trucco esagerato, sotto i riflettori del palcoscenico. A proiettare lo slancio potente dell'attivismo della lotta all'AIDS, la voglia di vita, di riscatto, di rivalsa contro stigma sociale e discriminazione.

Tre atti privati, che diventano politici nel momento stesso in cui vengono raccontati, tre vite che ci dicono chi siamo, da dove veniamo, che ristabiliscono valori e prospettive della società che viviamo. Che parlano ad un pubblico trasversale, come un messaggio universale di giustizia e di democrazia, di diritti umani e di inalienabilità della libertà di ognuno.
Massimo Di Michele

SALA WHITE

30 Settembre ▪︎ 4 Ottobre 2025
MICHELE SAVOIA

CANDIDO

di Tobia Rossi | Eleonora Beddinicon... altri 28 personaggiAiuto regia-disegno audio luci Vito Di Leo | Produzione musicale Davide Dadamo
Coreografie Marco Valentino | Organizzatrice Tiziana Beato
regia MICHELE SAVOIA
produzione StudioLAB48

Candido è un giovane attore di talento, energico e ottimista, generoso e gioiosamente oversize. Il suo corpo fuori misura gli ha causato dolore durante l’adolescenza ma negli anni è diventato il suo segno di ri-conoscimento, ciò che lo ha reso il simpatico pacioccone che tutti amano e che è “grosso, grasso, allegro e dice sempre di sì”.

Ma è davvero quello che voleva? È questo quello che è? O forse il mondo, in particolare il mondo dello spettacolo, gli ha affibbiato una maschera accettabile ma ingombrante? C’è un provino.

Candido si presenta più nervoso del solito, segretamente nauseato dall’ennesimo ruolo di amico grasso e buffo.

Una produttrice distratta che “lo ricordava più in carne”, un agente troppo sincero e una relazione sentimentale decisamente tossica portano Candido ad esplodere: forse quello che vive non è il migliore dei mondi possibili ed è ora di dare una svolta. Che sia anche l’ora di usare quella pistola che si porta sempre nello zaino?

Michele Savoia, attore che spazia dalla prosa al musical, dal cinema internazionale al mondo dei Me contro Te, si mette a nudo nell’interpretazione del protagonista di questo torrenziale monologo con canzoni, tra musical e stand-up, tra confessione intima e avventura pop, che è al contempo un aggiornamento contemporaneo del Candido di Voltaire e una fiaba musicale originale che strizza l’occhio a La La Land e agli one wo-man show di Rachel Bloom a partire da uno spunto che prende simpaticamente in giro il classico e amarissimo film di Joel Schumacher Un giorno di ordinaria follia.

Tra leggerezza e gravità, divertimento e sentimento, la parabola di Candido diventa la parabola di ogni corpo difforme che trova la voce per gridare il proprio desiderio di essere visto, riconosciuto e legittimato per quello che è, senza compromessi e senza etichette.

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10 ▪ 12 Ottobre 2025
MARCO GUALCO | RICCARDO CACACE

IL PEDAGOGO DELL’INFAME

scritto e diretto da Riccardo Cacace
produzione Compagnia Chierici-Cicolella
 Progetto è vincitore del Primo Premio, con voto unanime della giuria, della quarta edizione del Festival inDivenire 2025.
Marco Gualco vincitore unanime del premio Miglior attore del Festival inDivenire 2025.

“Nessuna posizione politica può prescindere dalla tua necessità di apparire carismatico.

Tu devi essere capace di avere ragione quando hai ragione. E capace di disarmare qualcuno che t’incalza anche quando avrai torto. Purtroppo, le regole della politica  sono queste. Io lo so che sarebbe bello se i dibattiti politici fossero solamente una giustapposizione di argomentazioni delle varie fazioni, ma non è così, quello è il mondo delle favole; nella realtà la maggior parte delle persone è stupida e per la maggior parte delle persone ciò che conta di più è l’immagine. Tu devi piacere a più persone possibile, non solo a quelli che sono d’accordo con te„.

Il pedagogo dell’infame è un dialogo ser-rato tra il figlio di un influente politico, ovvero l’infame, e il suo pedagogo. Nella casa dell’infame è stato recentemente commesso un delitto di matrice razziale che potrebbe mettere a repentaglio non solo l’immagine e la reputazione politica del padre, ma anche il pedagogo del figlio stesso scoprirà presto di perdere il lavoro e di rischiare ripercussioni legali in seguito ad alcune controversie circa i suoi insegnamenti e a come l’infame potesse essere stato plagiato o aver mal interpretato le nozioni filosofiche e soprattutto ideologico-politiche da lui professate. L’intervista sfocerà presto in un exploit di violenza psicologica e minacce fisiche da parte del pedagogo che lo vedrà cadere dalla parte del torto.

Uno dei temi centrali che attraversa i due protagonisti è la criticità che emerge quando si ha a che fare con l’istruzione, specie quando questa è di carattere filosofico, e quando questa rischia di traboccare nel plagio.

Quand’è che una persona smette veramente di essere responsabile di ciò che fa, e anzi diventa vittima di ciò che gli è stato insegnato?

A fare da sfondo all’azione drammatica, invece, nel testo si sollevano temi come quello delle diseguaglianze, dell’integrazione, si parla del ruolo che ha lo Stato nella nostra felicità e si pongono dilemmi etici a cui non c’è una risposta giusta ma che mettono in luce la centralità dell’esposizione di tali risposte e dunque la prevalenza dell’impres-sione che si dà sulle ragioni che si hanno.

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15 Ottobre 2025
VALENTINA MARTINO GHIGLIA | DIANA TEJERA
BEATRICE TOMASSETTI | FERNANDO PANTINI

PIANETA BALEARI

produzione P.G.A. scarl

 Pianeta Baleari è uno spettacolo di teatro canzone col duo BEABALEARI, composto dalla musicista e cantautrice Diana Tejera e Beatrice Tomassetti, e l’attrice Valentina Martino Ghiglia.

Pianeta Baleari è uno spettacolo che esplora la zoologia dell’animo umano. In ogni canzone e prosa prendono vita creature immaginarie nate dal quotidiano: il procione disilluso che sogna di cambiare segno zodiacale, l’Ulisse contemporaneo che non salpa più ma resta “steso sul divano”, il polpo con tre cuori che ama senza via di scampo. Dove finisce il mondo animale inizia quello interiore, e scopriamo che forse, in fondo, non sono poi così diversi.

Un viaggio nel mondo immaginifico e dell’anima attraverso canzoni, poesia e prosa che raccontano un mondo molto femminile, ricercato, ironico a tratti buffonesco, delicato e crudele. È adatto a chi ama i testi intelligenti, ironici e ricchi di immagini, ma non rinuncia alla musica leggera nel senso più nobile: quella che suona bene ma ti fa anche pensare.

Pianeta Baleari osserva l’essere umano come un etologo incantato: ne studia i gesti, i desideri, le apatie, come se fossero rituali misteriosi di una fauna emotiva non ancora classificata. Il linguaggio è semplice, ma mai banale; i versi, ritmici come zampate sulla sabbia, nascondono sotto l’apparente leggerezza la gravità dello stupore, della malinconia, della meraviglia.

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 16 ▪ 19 Ottobre 2025
SARA ESPOSITO | SEBASTIANO GAVASSO | VALERIO LOMBARDI

AD A.

scene e costumi a cura di Compagnia Nous
aiuto regia, organizzazione e distribuzione Gaia Galati
con il patrocinio di AIMA Napoli Onlus | grafica Elena Manocchio
scritto e diretto da SARA ESPOSITO
produzione A.G. Spettacoli di Alessandro Alfieri

Ada ha 40 anni e tanta voglia di vivere, talmente tanta che riesce a vivere anche 10 vite in una sola giornata.

Perlustra lo spazio per scoprire nuove forme di vita intelligente, si fidanza con politici dalla dubbia moralità, ma è nella vasca da bagno che avvengono le migliori battaglie a suon di spazzolone e padella contro i rapitori Troiani.

Ada ha 40 anni e l’Alzheimer giovanile.

Pietro è l’infermiere che la rincorre, la sgrida, la sfama, subisce le sue angherie e se ne prende cura, insieme a Max, chimico farmaceutico dedito alla marijuana e alle droghe psichedeliche.

Tra le pareti bianche della camera di Ada vivono la loro vita, cercando di tenere fuori le urla spaventose degli altri pazienti e le terribili punizioni del Direttore Severissimo.

A rompere questo delicato meccanismo, una soffiata della vicina all’Ispettorato Centrale per la Conformità, branca autonoma del partito ultraconservatore al potere.

NOTE DI DRAMMATURGIA

Anno 2035: la scalata al potere del partito ultraconservatore fa leva sull’ignoranza e la paura.

L’era della demagogia ha preso il sopravvento, arrivando a bloccare ogni evoluzione scientifica.

La ricerca è ferma e con lei anche il buonsenso, i soggetti deboli sono emarginati in strutture apposite e fatti morire. Ada è affetta da Alzheimer giovanile, che la divora mentalmente e fisicamente.

Prima del manifestarsi della malattia viveva insieme al marito, Pietro, ma dopo pochi anni dalloro matrimonio l’Alzheimer inizia rapidamente a prendere possesso della sua mente. Decide di rinchiudersi in quella che lei pensa essere una casa di cura, per non arrecare ulteriore dolore.

Cova dentro di sé una rabbia inspiegabile coscientemente, che in realtà è collegata alla “perdita” del suo grande amore.

Pietro è provato dalla malattia della moglie di cui si prende cura, mettendo a soqquadro la propria vita e creando uno spazio-campana per lei, che però è ignara di tutto.

Caparbio, sognatore, combatte con ironia contro la malattia che gli ha portato via la moglie, sperando di riportarla in qualche modo indietro.

Max è il fratello di Pietro, chimico farmaceutico con la passione per la musica, completamente obnubilato dalle droghe e dalla passione per le storie raccontate da Ada.

Su di loro incombe l’I.C.C., un corpo paramilitare che si occupa di reprimere gli oppositori alle regole del partito ultraconservatore.

Pietro riuscirà a salvare Ada, ma non nel modo sperato.

NOTE DI REGIA

Questa è una storia quasi vera.

A., nella realtà, è una donna ormai anziana abbandonata dalla famiglia in una casa di cura.

Abbiamo avuto modo di conoscerla attraverso colui che se ne prende cura e abbiamo scritto per lei un amore diverso.

Ad A. è una dedica e, al tempo stesso, il titolo dello spettacolo che protegge l’identità della vera protagonista e le affida un nuovo nome affinché la sua storia possa essere raccontata: Ada.

Con questo lavoro siamo andati ad indagare le problematiche che situazioni di questo genere portano con sé.

Con un approccio socratico, votato all’ascolto e alla verità, la messa in scena andrà a sviscerare temi come l’abbandono, la rabbia, la malattia, l’isolamento, l’eutanasia, in uno Stato che emargina e non aiuta i più deboli, tutelando sì, il diritto alla vita, ma dimenticando il diritto alla morte.

Ci siamo chiesti quali fossero le difficoltà dei malati, ma anche e soprattutto quelle di chi cura, della famiglia, di chi vuole dimenticare, di chi resta e vede la situazione per quello che è: un gran casino.

Sappiamo che il pericolo di scadere in un dramma che si piange e commisera da solo può essere dietro l’angolo, ed è per questo che intendiamo affrontare a muso duro la realtà che abbiamo potuto conoscere prendendola a schiaffi a nostra volta con ironia, leggerezza e qualche punta di cinismo.

Ci sono tante A. nel mondo che non sono tutelate, ci sono altrettanti Pietro che si trovano abbandonati dalle istituzioni. Diamogli voce e ascolto.

Tra le pareti della casa di cura, lettini sgangherati e vasche da bagno senza copertura, si sviluppa questo goffo e disperato trittico in cui tutto quello che lo spettatore vede e sente è, sostanzialmente una menzogna.

Attraverso dialoghi sporchi, corpi sgraziati, rapide virate tra verità e fantasia, la storia di Ada, Pietro e Max si costruisce a ridosso di conversazioni dal ritmo serrato e momenti di intensa riflessione, risate dal gusto amaro, temi sociali e poesia.

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 24 ▪ 26 Ottobre 2025
CLAUDIO CASADIO

L’ORESTE
Quando i morti uccidono i vivi

di Francesco Niccolini | illustrazioni Andrea Bruno
scenografie e animazioni Imaginarium Creative Studio | costumi Helga Williams
musiche originali Paolo Coletta | light design Michele Lavanga
fonica Francesco Cavessi | direttore di scena Matteo Hintermann
collaborazione alla drammaturgia Claudio Casadio
voci di Cecilia D’Amico | Andrea Paolotti | Giuseppe Marini | Andrea Monno
regia GIUSEPPE MARINI
produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri e Società per Attori
in collaborazione con Lucca Comics&Games

L'Oreste è internato nel manicomio dell'Osservanza a Imola.

È stato abbandonato quando era bambino, e da un orfanotrofio a un riformatorio, da un lavoretto a un oltraggio a un pubblico ufficiale, è finito lì dentro perché, semplicemente, in Italia, un tempo andava così.

Dopo trent'anni non è ancora uscito: si è specializzato a trovarsi sempre nel posto sbagliato nel momento peggiore. Non ha avuto fortuna l'Oreste, e nel suo passato ci sono avvenimenti terribili che ha rimosso ma dai quali non riesce a liberarsi: la morte della sorella preferita, la partenza del padre per la guerra, il suo ritorno dalla campagna di Russia tre anni dopo la fine di tutto e poi la sua nuova partenza, di nuovo per la Russia, per una fantastica carriera come cosmonauta, e - come se tutto questo non bastasse - la morte violenta della madre, una madre che lo ha rifiutato quando era ancora ragazzino con i primi problemi psichici.

Eppure, l'Oreste è sempre allegro, canta, disegna, non dorme mai, scrive alla sua fidanzata (che ha conosciuto a un "festival per matti" nel manicomio di Maggiano a Lucca), parla sempre. Parla con i dottori, con gli infermieri, con la sorella che di tanto in tanto viene a trovarlo, ma soprattutto parla con l'Ermes, il suo compagno di stanza, uno schizofrenico convinto di essere un ufficiale aeronautico di un esercito straniero tenuto prigioniero in Italia. Peccato che l'Ermes non esista.

l'Oreste è una riflessione sull'abbandono e sull'amore negato. Su come la vita spesso non faccia sconti e sia impietosa. E su come, a volte, sia più difficile andare da Imola a Lucca che da Imola sulla Luna.

Uno spettacolo originalissimo, di struggente poesia e forza, in cui fluiscono momenti drammatici e altri teneramente comici. Con un’animazione grafica di straordinaria potenza, visiva e drammaturgica, Claudio Casadio dà vita e voce a un personaggio indimenticabile, affrontando con grande sensibilità attoriale il tema importante e delicato della malattia mentale.

NOTE DELL'AUTORE

A prima vista L'Oreste può sembrare un monologo, dato che in scena c'è un solo attore in carne e ossa. Ma quel che attende lo spettatore è ben altro: grazie alla mano di Andrea Bruno, uno dei migliori illustratori italiani, e alla collaborazione con il Festival Lucca Comics, lo spettacolo funziona con l'interazione continua tra teatro e fumetto animato: l'Oreste riceve costantemente visita dai suoi fantasmi, dalle visioni dei mondi disperati che coltiva dentro di sé, oltre che da medici e infermieri.

I sogni dell'Oreste, i suoi incubi, i suoi desideri e gli errori di una vita tutta sbagliata trasformano la scenografia e il teatro drammatico classico in un caleidoscopio di presenze che solo le tecniche del "Graphic Novel Theater" rendono realizzabile: un impossibile viaggio tra Imola e la Luna attraverso la tenerezza disperata di un uomo abbandonato da bambino e che non si è più ritrovato.

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 31 Ottobre ▪ 2 Novembre 2025
FRANCESCA PICCOLO | AURORA CIMINO | IVAN GRAZIANO
ANTONIO BANDIERA ALESSANDRO BURZOTTA
MARCELLO GRAVINA | CATERINA FONTANA

ORESTE

da Euripide
musiche originali di Gioacchino Balistreri | costumi Ivan Bicego Varengo
assistente alla regia Salvo Pappalardo | progetto visual Anita Martorana
regia DARIO BATTAGLIA

Oreste rientra a pieno titolo all’interno di quel gruppo di rielaborazioni mitologiche elaborate da Euripide; si pensi alle due Ifigenie, di Aulide e Tauride, all’Elena, alla stessa Elettra. Attraverso queste varianti, il tragediografo ci fornisce delle inedite versioni dei protagonisti di quel nucleo di racconti, che ben conosciamo attraverso il mito “ufficiale”, ed è solito farcire le sue scritture con delle tenui tinte oniriche, grottesche, che aumentano a dismisura l’attrazione e la seduzione che questi testi presentano, seppur a duemilacinquecento anni di distanza.

Il caso dell’Oreste è emblematico: in quello che potrebbe tranquillamente essere uno script cinematografico, l’azione di svolge cinque giorni dopo l’omicidio commesso da Oreste ai danni della madre Clitennestra. In una dimensione appesa al filo sottile che divide il sonno e la veglia, tutta la prima metà del testo è un alternarsi di visite degli altri personaggi al figlio di Agamennone che, in compagnia della fedele sorella Elettra, li accoglie sul letto del dolore per via del rimorso e della paura, impersonato dalle Erinni che cominciano, proprio in quel momento, a fare capolino presso la sua coscienza.

In questo alternarsi di visite familiari - ospedaliere, si dipana una trama politica ed etica ben definita: la città chiede la condanna dei figli fedifraghi, che sperano nell’aiuto dello zio Menelao il quale, invece, mistificando con grande arte retorica le sue preoccupazioni, decide di non agire.

Il turning point di questo testo è rappresentato dall’arrivo di Pilade che, con la sua proverbiale determinazione, spingerà i due ad architettare un piano in perfetto stile gangster-movie per fuggire e farla franca.

Se è vero, quando si parla di Orestea, che le colpe dei padri ricadono sui figli, è altrettanto vero che anche l’essenza dei padri pervade i figli: Elettra ed Oreste infatti, per salvare la vita, sono disposti a rapire, uccidere, vendicarsi, proprio come fecero i genitori in vita, ciascuno con i suoi propri moventi e con le proprie giustificazioni. Da questo momento in poi, i due fratelli dimessi, stanchi, fiaccati, malati si risvegliano, subiscono appieno il richiamo dell’azione e abbandonano i panni della malattia per vestire quelli degli eroi ribelli. Sarà Apollo, il dio che ha instradato Oreste in questa strada di sangue e vendetta a risolvere la contesa, nel punto massimo della realizzazione del piano dei nostri giovani protagonisti.

Il testo appare, dunque, diviso in due parti speculari: una retorica, dedicata alle spiegazioni analitiche delle ragioni di tutti i personaggi; l’altra di grande azione, in cui l’intreccio ingegnato dai nostri protagonisti si pone in essere in tutta la sua fresca incoscienza giovanile.

L’interesse nei confronti di questo testo nasce da varie motivazioni: Oreste è un testo sul rapporto tra giovinezza e vecchiaia, sui conflitti generazionali. Menelao e Tindaro rappresentano l’ordine politico e politichese costituito, saldamente conservatore, ancorato ai valori fondanti l’antico; i tre protagonisti sono, invece, rivoluzionari nell’opporsi alle ingiustizie, nell’affrontarle con le loro sole forze, in bocca a qualunque rischio.

Quali azioni sono, infatti, appannaggio esclusivo dei giovani e a quali responsabilità sono chiamati per discostare il loro destino da quanto deciso dal fato? È evidente e sorprendente più che mai, a tal proposito, il collegamento con la contemporaneità, con ciò contro cui i giovani, come tutti gli interpreti di questo testo, si sentono in conflitto.

Il conflitto è anche tra l’uomo e la politica: è l’assemblea democratica della città di Argo a decretare la condanna a morte per Oreste, una versione opposta di quello che accade, in Eschilo, nelle Eumenidi, ad Atene, dove Oreste viene assolto. Il racconto dell’assemblea euripidea in cui si svolge la discussione sul destino di Oreste ci fornisce un quadro quanto mai moderno del peso che ciascun uomo, con il suo vissuto, il suo carisma, la sua posizione sociale, esercita su una decisione collettiva e democratica. L’azione drammatica si dipana attraverso un’unica domanda: dove sta la Giustizia?

Che ruolo gioca? A che prezzo si può raggiungere?

Seguendo il suggerimento dell’autore, che da subito ambienta la vicenda in una dimensione in cui il sonno assume un valore fondamentale e in cui lo stato di malessere del protagonista diventa la condizione esistenziale di partenza cui tutti si accostano, il nostro spettacolo è ambientato in un non-luogo mentale che si scopre essere poi una stanza di un sanatorio, o di una clinica psichiatrica: gli stasimi del coro e il finale discorso riconciliante del primario – Apollo, rappresentano la vera azione che si svolge attorno ad un malato psichiatrico (a seguito di matricidio? Chissà), mentre l’intreccio della trama vera e propria, con il susseguirsi dei personaggi e delle loro funzioni, diventa un vero e proprio gioco di ruolo del personale medico che tenta di salvare un uomo con una psiche alla deriva. Cosa è reale e cosa no? Il nostro non-luogo è asettico, rarefatto, sterile. Unico elemento, oltre a delle sedute, è un tavolo che funge da letto di Oreste, da tavolo operatorio all’interno di una clinica, ma anche da altare in cui la vittima è pronta a sacrificare tutto se stesso, perché il volere degli dei venga compiuto sempre e comunque, e a sacrificare gli altri, senza remora alcuna. In questa “povertà” di mezzi, crediamo che il grande elemento caratterizzante la nostra messinscena sia il profondo lavoro sulla recitazione, nel maggior rispetto possibile di Euripide e della distanza temporale che ce lo presenta come uno dei padri della nostra cultura occidentale.

Questo gruppo di lavoro, inoltre, nasce in seno alle numerose esperienze comuni maturate attraverso testi e teatri classici, negli anni della scuola di Teatro presso l’Accademia del Dramma Antico di Siracusa.

In sottofondo, le musiche originali di Gioacchino Balistreri, pluripremiato musicista siciliano che ha collaborato con la Compagnia all’interno dei lavori precedenti, forniranno una vera e propria drammaturgia sonora di impaginazione della scrittura scenica, utile a far immedesimare lo spettatore lungo il viaggio nella mente in frantumi del protagonista.

Lo spettacolo ha debuttato in forma di studio, all’inizio del 2023, al Festival InDivenire di Roma, diretto da Giampiero Cicciò, aggiudicandosi il premio di gradimento del pubblico ed il premio per la migliore attrice Under 35 assegnato a Francesca Piccolo nel ruolo di Elettra.

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 5 ▪ 9 Novembre 2025
FILIPPO MARIA MACCHIUSI

M.INFORMATO DEI FATTI

di Filippo Maria Manchiusi
supervisione di AUGUSTO FORNARI
aiuto regia Cristina Tassane | paesaggi sonori Mauro Burzotta
scenografia Alessandra Ricci
supervisione al movimento scenico Emanuela Panatta
ufficio stampa Liliana Chiaramello

grafica Daniele Benedetti | foto Paolo Sebastiani
produzione Monolocale e Arti Sceniche

Testimonianza, dichiarazione d’amore o confessione?

M., spaurito ma risoluto, si presenta davanti un annoiato Maresciallo per mettere agli atti la sua paradossale deposizione.

Un monologo comico che porta M. a smarrirsi nei frammenti che sta rievocando, per conversare direttamente con i protagonisti della sua storia, per viverla di nuovo.

Un fiume in piena di ricordi, dialoghi fulminanti e assurde situazioni sbatte un Maresciallo sempre più appassionato tra stanze d’ospedale di massima sicurezza, fiat gialle prive di regolare revisione, impianti sportivi di provincia e lungo la strada di quella gelateria ormai chiusa per sempre. Scontrandosi con lo scetticismo del commissariato, M. alterna, salta, giustappone e accavalla senza colpo ferire. Il fatto giuridico si mescola così alla storia d’amore con P., passando per l’evasione di un malavitoso sofista con l’amore per il fritto, tra indigeste tazzine di caffè, allenatori con disturbi alimentari e circonvallazioni pericolanti... tutto collegato, tutto necessario, per far luce sugli aspetti di un efferato crimine di cui solo M. è davvero “informato dei fatti”.

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 11 ▪ 12 Novembre 2025
LIA GRIECO

IL CALAMARO

di Lia Greco
musiche e canzoni di Lia Grieco e Fulminacci
regia di GIOVANNI NASTA
produzione Compagnia Mauri Sturno

Il Calamaro è un monologo che racconta la giornata tipo di una donna sull’orlo di una crisi di nervi. Ogni mattina è un imprevedibile ripetersi di rotture di scatole senza precedenti. Scatole metaforiche, scatole fisiche, scatole mentali. Tra lavoro, relazioni precarie e pensieri ossessivi che si rincorrono senza sosta, la protagonista trascina lo spettatore in un mondo che rasenta il surreale.

Ma sotto la superficie di questa narrazione comica, in cui le canzoni originali si intrecciano alle parole, cercando di dare un ordine al caos, si nasconde una domanda più profonda: davvero “farcela” è ciò che di noi resta a questo mondo?

Accompagnata da un chitarrista e da una voce fuori campo, la protagonista prova a trovare una risposta o almeno a raccontare il suo percorso per cercarla.

Il calamaro non è solo un pesce, può essere anche inchiostro, è anche un anello, un fritto, o forse è il mondo che è tutta paranza.

NOTE DI REGIA

Il Calamaro nasce come un monologo in bilico tra stand-up e teatro-canzone con l’obiettivo di dare forma teatrale a una condizione esistenziale: quella di una donna che vive sospesa tra precarietà quotidiana, ironia corrosiva e desiderio di autodeterminazione in un mondo spietato.

La comicità diventa strumento di sopravvivenza, mentre le canzoni originali, accompagnate in scena da un chitarrista, spesso usato dall’attrice come capro espiatorio, portano a galla il lato emotivo, rivelando ciò che le parole in prosa non riescono a contenere.

Nel raccontare la sua giornata tipo, la protagonista finisce per costruire un sistema paradossale di “fasce” in cui poter dividere le attrici, collocandosi auto-ironicamente nella terza fascia.

Questo meccanismo diventa il suo modo per dare un senso ordinato al caos e giustificare la sua condizione. Il racconto scivola poi progressivamente verso ossessioni e riflessioni che scandiscono la sua giornata, intrecciandosi in un loop comico e disturbante che trova spazio espressivo in un’assenza scenografica tutta da riempire.

Accanto alla protagonista e al suo chitarrista, la voce fuori campo diventa presenza costante: ironica, disturbante, educativa e a tratti consolatoria, che incarna l’altro da se con cui confrontarsi e che non può essere messo a tacere.

Il Calamaro è un testo che si muove su due piani, quello comico surreale con ritmo brillante e continui slittamenti logici e quello esistenziale, per poter ridere dell’assurdità della condizione artistica ed umana e poco dopo ritrovarsi, in silenzio, a fare i conti con la stessa domanda che muove la protagonista: “cosa resta di noi a questo mondo”?

Giovanni Nasta

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20 ▪ 23 Novembre 2025
VALERIA PERDONÒ

AMOROSI ASSASSINI

una commedia che (non ) fa ridere
di Valeria Perdonò
tastiere & live electronics GIACOMO ZORZI | art director Federica Restani
foto di scena Marcella Foccardi
in collaborazione con ASTERLIZZE | si ringrazia ARS Creazione e Spettacolo

Come può in una stessa frase convivere la parola

AMORE con ASSASSINO?

Può, purtroppo ancora può, perchè la violenza sulle donne viene ancora confusa o giustificata col troppo amore di un uomo verso una donna.

Gli ultimi mesi in Italia ci hanno restituito dati agghiaccianti, ennesimi femminicidi di cui ormai si perde il conto, sentenze gravissime ed esempi di vittimizzazione secondaria.

Eppure, ci chiediamo, se i femminicidi sono solo la punta di un iceberg immenso e invisibile, da dove arriva tutto questo e quanto ci riguarda?

Se diciamo che è un problema culturale, (e ovviamente lo è) che impatto ha sulle nostre vite e che ruolo può avere allora la cultura in questa riflessione?

Qualche anno fa il Telefono Rosa di Mantova mi chiese di occuparmi della questione e parlarne a teatro per un evento, recitare, raccontare, commentare ... ma io non sapevo da dove partire. La parola "femminicidio" non era nemmeno entrata nel nostro vocabolario come lo è oggi, avevamo - tutte e tutti, io di sicuro - meno strumenti, e pochissime consapevolezze, i dati non erano così accessibili e facilmente fruibili: cominciai a cercare e leggere resoconti, guardare video-interviste, parlare, e poi mi capitò tra le mani un libro, AMOROSI ASSASSINI un saggio in cui vengono riportati episodi di femminicidi avvenuti nel 2006.

Tra tutte le storie citate nel libro, però, una mi ha colpito in particolare, quella di Francesca Baleani, perchè era l'unica che aveva un lieto fine, se così si può dire: Francesca è stata quasi uccisa dal suo ex marito, ma si è salvata per miracolo ed è riuscita a ricominciare una nuova vita.

Questa storia però ho un ingrediente fondamentale, il contesto: socialmente ed economicamente elevato, ma soprattutto culturalmente. Il suo ex marito era il direttore del Teatro di Macerata.

Cadono gli stereotipi sociali, crollano gli alibi, le domande s1 moltiplicano.

La vicenda è curiosa anche perchè ha creato uno stallo giudiziario importante, e al di là di come si sia concluso il processo, i tre gradi di giudizio sono stati intervallati da perizie di infermità mentale del carnefice, ricorsi, trasferimenti.

Francesca Baleani scrive una lettera di fuoco all'allora ministro della Giustizia Mastella: la consapevolezza e la profondità delle sue riflessioni, l'ironia nelle sue parole a causa di una situazione che arriva al parossismo, le implicazioni psicologiche e poi sociali della vicenda, non potevano non essere raccontate. Scelgo di partire dalla sua lettera, dalle sue parole, da numeri, dati, cifre e dichiarazioni. E inizio a farmi domande anche io, su tutto.

Che cosa è violenza, oltre a quella che lascia i segni?

Se i femminicidi sono solo la punta di un iceberg immenso e invisibile, da dove arriva tutto questo e quanto ci riguarda? Come si pratica la responsabilità collettiva, che cos'è l'omertà? Ma soprattutto, se diciamo che è un problema culturale, che impatto ha sulle nostre vite e che ruolo può avere allora la cultura in questa riflessione?

C'è la cronaca e Francesca Baleani, c'è la legge, le sentenze e i ricorsi, c'è la storia e illustri autori classici a cui ho chiesto aiuto per studiare, c'è mia nonna mia madre mia sorella e tutte le donne che ho incontrato, ci sono anche i vicini di casa, la mia portinaia, c'è la poesia.

C'è la musica infine ma soprattutto, protagonista dello studio e delle riflessioni, che evoca, coinvolge, emoziona, alleggerisce, approfondisce.

C'è un uomo in scena con me, che racconta dell'importanza dell'alleanza tra femminile e maschile, della necessità di farla insieme questa rivoluzione, partendo proprio dai dubbi, dalla volontà di mettersi in discussione.

Ci sono io. E con me, tutte le persone che stanno formando il percorso di attrice e di donna, che sono e sempre più voglio diventare.

Tantissime domande senza la presunzione di voler dare alcuna risposta, ma col solo tentativo di parlarne insieme, e di farlo col sorriso, nonostante tutto.

Valeria Perdonò

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 27 ▪ 30 Novembre 2025
GAIA APREA

LA GUERRA SVELATA DI CASSANDRA

di Salvatore Ventura
musiche Dario Arcidiacono | contributi video Andrea Montagnani
voce Enea TOMMASO GARRÈ | corpo di Enea GIOVANNI BONI
assistente alla regia Adriana Mangano
regia ALESSIO PIZZECH
produzione Nutrimenti Terrestri e Giardino Chiuso/Orizzonti Verticali
in collaborazione con Mithos Troina Festival

NOTE DI REGIA

La Guerra svelata di Cassandra ovvero come descrivere la guerra e i suoi orrori, attraverso gli occhi di una donna e raccontarne così le motivazioni tutte maschili, nonché le menzogne e le falsità che intorno ad essa si costruiscono come giustificazioni, ieri come oggi. Il Mito di Cassandra continua a essere uno strumento di rilettura delle contraddizioni della storia che attraversiamo come uomini, ed ha rappresentato una lente d’ingrandimento per cercare un senso, una luce per i tempi bui. Dopo tanti omaggi letterari a questo straordinario personaggio, Salvatore Ventura si cimenta nella composizione di un pezzo di teatro estremamente denso di emozioni. Il giovane drammaturgo palermitano dà una lettura di Cassandra che mutua aspetti dalle tante versioni letterarie del personaggio classico, in primis Christa Wolf, ma ne costruisce una visione autonoma e tratteggia una figura di donna, perfettamente calata nelle contraddizioni di questo nostro tempo. La Cassandra, a cui darà voce e corpo Gaia Aprea, è creatura dell’oggi ed articola un monologo teatrale originale nella forma della scrittura e straordinariamente carico di rimandi alla cronaca quotidiana.

Le parole di Ventura, contrappuntate dallo spazio sonoro di Dario Arcidiacono, costruiscono un flusso di coscienza che riscrive la vicenda conosciuta della profetessa di Apollo, figlia di Priamo. Cassandra si pone in dialogo con il pubblico del presente, lo vuole scuotere dal silenzio colpevole e affermare la necessità delle parole, del racconto, del disvelare una verità, del muovere una coscienza che possa opporsi al pensiero dominante.

La Cassandra di Ventura torna sulla scena ormai spogliata violentemente della sua verginità, alla ricerca di un perdono di sé stessa per non essere stata capace di fermare quella guerra, per

non essere riuscita a farsi ascoltare nella sua azione profetica. Cassandra del 2025, vuole farsi esempio per noi, monito per i nostri assordanti silenzi e mi piace così immaginarla tra le strade bombardate di Kiev o tra le macerie di Gaza o tra le fila di uomini e donne massacrati in qualche parte della terra. Questa Cassandra è alla ricerca di un senso del proprio stare nel mondo e si ricongiungerà a quella sé stessa bambina, persa nei rumori di un conflitto familiare, nel disperato tentativo di compiere un atto catartico che tagli definitivamente con il perpetuarsi del sangue e della morte come unico orizzonte possibile.

Cassandra, tornata nel mondo dei vivi, alle prese con i ricordi, con oggetti testimoni della propria esistenza traumatica, è affamata di vita, sedotta dal ricordo di Enea che si è salvato dalla fine della Città di Troia. Ricordando il corpo ed il volto di Enea, Cassandra prova così ad ergersi al di sopra del racconto di morte e distruzione; il legame erotico, di profonda amicizia, che la unisce a Enea, rappresenta una forza indelebile, che nella sua memoria, resiste agli orrori di una terra distrutta, di un cimitero di familiari massacrati dal nemico, a un destino di violenza che lega vincitori e vinti. La Cassandra di Ventura invoca cosi il teatro, lo evoca come fonte di resistenza, di speranza, come atto finale di testimonianza che vuole disvelare a noi l’ipocrisia della famiglia umana, l’irresponsabilità di chi decreta l’inizio del conflitto e ne determina il perpetrarsi.

Cassandra, quindi, diviene voce che si oppone all’indifferenza, usa la parola come arma, con quell’incedere poetico di chi porta con sé una verità per troppo tempo sopita e ci dice quanto mai sia importante oggi, il rito del teatro.

NOTE DELL’AUTORE

La scrittura è l’unico modo che ho per tradire la realtà che mi circonda. O almeno ne è il punto di partenza. Il teatro è il luogo dove metto questa pratica in atto. Faccio teatro per recuperare dalla memoria la natura umana, con i suoi gesti. Sia quelli possibili che quelli impossibili, ed il teatro, attraverso i suoi simboli, segna un linguaggio universale dove scopro, valicando quel confine, dei valori che l’umanità non ha ancora trovato. La potenza della parola, quando è detta, mi trasmette sempre quello stupore necessario ad apprendere qualcosa di nuovo, ribaltarlo verso un’altra prospettiva.

La guerra svelata di Cassandra è il racconto di uno svelamento, quello svelamento che tende il filo della verità al punto tale da trasfigurare la realtà che mi circonda. Per cui ho scelto di avvicinarmi a questo racconto attraverso gli occhi di un personaggio come quello di Cassandra per rievocare quel respiro del classico che svela il presente. Interrogandomi sui temi della guerra, delle diversità, del rapporto tra genitori e figli, del viaggio, della libertà e mettendo assieme questi ingredienti ho cercato di aggiungere alla voce del personaggio un tono di modernità epica seguendo lo stile della slam poetry, alternandolo a quello della narrazione classica.

La scelta che mi ha spinto a rispettare questa strada mi è stata suggerita dalla stessa storia che avevo intenzione di raccontare: il personaggio vive in due tempi differenti, ben definiti, il momento esatto in cui sta per morire e quello in scena con noi, spingendomi ad utilizzare questa dualità di linguaggi, come due facce della stessa medaglia, due fazioni nemiche con ognuna le proprie ragioni, il noi e il loro. Riuscendo a riassumerne l’arco narrativo in un ritmo cadenzato ed in crescendo. La materia che propongo quindi non è la riscrittura di un mito come quello della guerra di Troia bensì un pretesto per interrogarci sulla contemporaneità, cercando di scoprire insieme se il futuro ha un cuore antico.

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 4 ▪ 7 Dicembre 2025
BENEDETTA PARISI

FUNERALE ALL’ITALIANA

di Benedetta Parisi e Alice Sinigaglia
voce off MICHELE COIRO
suono Fabio Clemente | luci Daniele Passeri | costumi grazie a Sandra Cardini
foto Andrea Macchia | produzione esecutiva e diffusione Collettivo EFFE
regia di ALICE SINIGAGLIA
produzione SCARTI Centro di Produzione d’Innovazione | TPE Teatro Piemonte Europa Festival delle Colline Torinesi

«Rimarremo morti per molto più tempo di quanto siamo stati vivi… »: non senza slancio comico una giovane autrice e interprete esplora la cerimonia sociale più chiacchierata. Da Eduardo alle memorie famigliari, dall’antropologia alla religione.

Funerale all’italiana è un monologo che non vorrebbe essere un monologo.

Vorrebbe essere una celebrazione, un momento collettivo, un racconto condiviso. Il pubblico viene accolto in sala come in una chiesa, invitato a partecipare ad un funerale che però non si compie, che si trasforma in gioco, aneddoto, racconto. La narrazione sfugge, si perde tra passato e futuro, in continuo gioco di rimandi e passaggi di tempo che ci parlano di famiglia e tradizione, di antenati e di discendenze. Andando ad incontrare i morti e i vivi e abitandone i corpi, l’interprete traccerà un percorso all’interno della memoria e del rito funebre, oggi incrostato di formalità, alla ricerca di un momento di verità in cui, forse, possa essere ancora possibile il senso di un rituale.

NOTE DI REGIA

Chiediamo al pubblico di indossare un abito nero, metter su la faccia da “addolorato” e recarsi alla celebrazione di una morte di cui non sanno abbastanza, di portare un fiore, di leggere sulle pareti del teatro un nome che non gli dice niente, il nome di una vecchia qualsiasi che vorrebbero sforzarsi di piangere ma che non hanno mai visto.

Gli chiediamo di restare in silenzio, di guardare quel pulpito che stranamente svetta sul palco e di giocare con noi alla messa. Il teatro è pieno di fiori, i volti dei santi si intravedono nella fioca luce delle candele, non un solo faro è stato acceso. Poi dalla platea qualcuno prende parola, l'attrice decide di fare l'attrice, a lei l'onere della commemorazione. La nonna è morta e non c'è nessuno a celebrarla, il prete non è venuto e salire su quel pulpito per togliersi dall'imbarazzo adesso spetta a lei e a lei sola.

Ed ecco che faticosamente la messa inizia, le casse gracchiano, l'attrice accende la radio, mette una musica, pare essere il grottesco Dj di un party che non vuole decollare. Attraversando luoghi e tempi presenti o passati e l'attrice inizierà a giocare con il rito, trasformandolo in una festa, interpellando il pubblico, ballando con i suoi antenati e parlando con le generazioni future, costruendo insieme ad ognuno dei presenti una nuova ricorrenza che possa essere di tutti, poiché di tutti è la morte e la sua eterna celebrazione. Insomma, una messa profana in cui sacri sono solo gli affetti, le ostie sono solo giocattoli e le preghiere ricordi, barzellette, aneddoti e voci.

Una su tutte quella del nonno, sempre presente, che per mano ci accompagna verso la fine.”

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 10 ▪ 11 Dicembre 2025
VALERIO CASTRIZIANI | TOMMASO D’ALIA

FUTTI FUTTITINNI MA NON TI FARI FUTTIRI

scritto da Tommaso D’Alia, Giovanna Malaponti, Valerio Castriziani
foto di scena Paolo Porto
regia TOMMASO D’ALIA
produzione Nutrimenti Terrestri

Futti futtitinni ma non ti fari futtiri è un ritratto della Sicilia che affronta temi di unione e disunione, cercando di evadere dai pregiudizi sociali e di costruire un pensiero più ampio, radicato nella quotidianità.

Parla di Mafia, ma anche di nonna Pia, di morti e di vivi che lottano per un futuro diverso. Un testo che salta continuamente tra passato e presente, mettendo a confronto la vera mafia con quella quotidiana. In questo viaggio, la Sicilia emerge come terra di cibo, bellezza e contraddizioni.

Goethe scriveva: "L'Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna".

La Sicilia è la chiave di tutto, con la sua purezza, la sua morbidezza, la sua armonia tra cielo, mare e terra. L'arancino diventa simbolo di un’esperienza che parte dal calore della terra e della famiglia, ma che si scontra anche con le ombre del quotidiano. Una riflessione intensa, senza filtri, accompagnata dalla musica dal vivo, parte integrante, che racconta la lotta per un domani diverso

NOTE DI REGIA

Tutto nasce dall'arancino che hai tra le mani mentre sei sulla Caronte, oltrepassi lo stretto, di fronte a te la Sicilia: croce e delizia d'Italia. Terra di cibo, terra di bellezze, terra di mafia. Dai il primo morso: riso, piselli e ragù.

Chiudi gli occhi e vorresti che la Sicilia fosse come quell'arancino caldo che ancora ti fuma in mano. Unto, croccante e condito. Poi, il secondo morso: l'arancino si sta freddando, tra poco sbarcherai. Mamma, cucina, parenti. Infine, il terzo morso: apri gli occhi, prendi i bagagli e ti prepari a scendere.

Sei a casa. Sono a casa.

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 8  ▪  11 Gennaio 2026
ELENA BIAGETTI | UGO CAPRARELLA | ALESSIA FERRERO
EMANUELA PANZARINO | LEONARDO ZARRA

SOFT WHITE UNDERBELLY

tratto da “Soft White Underbelly interviews and portraits of the human condition by photographer Mark Laita”
aiuto regia Francesca Gregori |foto di scena Beniamino Finocchiaro
drammaturgia e regia MASSIMILIANO VADO
produzione Educazione Sentimentale | Artemia + Rassegna dedicata alle Minoranze
con il patrocinio del Circolo Culturale Mario Mieli e il Laboratorio di Arti Sceniche
diretto da Massimiliano Bruno

Esiste un momento preciso in cui l’arte deve tendere a diventare “politica”.

Per proiezione d’anticipo e senza perdersi in equilibrismi.

Lo sterminio silenzioso e programmatico delle classi sociali più povere, ad opera dell’amministrazione americana guidata da Trump, è stato perfettamente raccontato, con puntuale anticipo, dal progetto fotografico dell’artista americano Mark Laita.

Il nostro dovere comunitario, pur senza scadere nell’abulia del teatro sociale, era di non fermarci a sottolineare i primi squarci di ipocrisia, ma concepirne una edizione teatralmente esportabile.

Arrivare - cioè - a un trattato su: la miseria umana, la mancanza di prospettive, le vittime del Fentanyl e la disoccupazione crescente, passando per il pop contemporaneo delle storie estreme.

Soprattutto perché la stessa identica cosa sta cominciando ad accadere anche qui, in Italia e a Roma.

Soft white underbelly nasce prima di tutto come progetto documentaristico, dedicato ad illustrare i disagi estremi in cui versano gli abitanti di Skid Row, il quartiere al centro di Los Angeles, popolato dai senzatetto.

A ciascuno di loro sono dedicate, ogni volta, tre interviste, distanti nel tempo, che scavano - senza pietà e senza imbarazzi - nel loro intimo, nelle fragilità che li ha portati ad esporsi e probabilmente a cancellarsi, come esseri umani, e nelle motivazioni profonde che li hanno spinti così in basso.

Ogni intervista è una richiesta di aiuto, una pretesa di attenzione, un ribadire violento la propria inutilità.

Ogni storia è un’ombra che rischia di sparire. Per estinzione della specie.

La scelta di metterle in scena e stravolgerle per farle diventare linguaggio meta teatrale è la condivisione necessaria - quanto politica, appunto - di questo patimento estremo, attraverso la proposta di immedesimazione da parte di ogni singolo interprete; si sprofonda insieme e inevitabilmente negli incubi che nessuno vuole vedere: dal disagio esistenziale alla pretesa di distanza con la famiglia, dagli squilibri mentali al desiderio di esibizione ad ogni costo, dall’ambizione al suicidio alla necrofilia conclamata.

La rinascita teatrale, necessaria ed indispensabile dopo la pandemia, aveva bisogno di gesti estremi, di proposte che riflettessero la realtà, anziché farne il verso, di contenuti verificabili, di esperienze, anche distruttive; per questo ho rielaborato, con l’aiuto prezioso degli interpreti, i vari monologhi tratti da storie realmente accadute, lasciando intravedere, tra le pieghe dell’esibizione, tutta la loro solitudine oltre la disperazione.

Un campionario di urli contro il mondo, un catalogo poco ragionato di malattie mentali indotte, di crepe dell’anima, di necessità, di urli interni.

Perché non c’è niente di meglio, a teatro e nell’arte, della comunicazione perfetta di una urgenza.

Massimiliano Vado

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13 ▪ 18 Gennaio 2026
ANNA BELLATO | FRANCESCO COLELLA | LEONARDO MADDALENA

MENO DI DUE

uno spettacolo di TEATRODILINA
disegno sonoro Giuseppe D’Amato | scene Salvo Ingala | costumi Ilaria Ladislao
luci Martin E. Palma | organizzazione Regina Piperno
illustrazione Antonio Pronostico
scritto e diretto FRANCESCO LAGI
produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi | residenza produttiva Carrozzerie n.o.t.

Due persone, un uomo e una donna, che si incontrano per la prima volta.

Dopo essersi scritti, mandati foto, conosciuti a distanza per alcune settimane, forse mesi, hanno deciso di vedersi per davvero. Lui per raggiungere lei ha fatto un lungo viaggio, entrambi sono pervasi da una leggera trepidazione.

All’inizio dello spettacolo li troviamo nell’attimo esatto in cui si conoscono e inizialmente non appiamo niente di loro, né chi siano né da dove vengano. Attraverso il loro dialogo e le domande che si fanno l’uno l’altra, capiamo piano piano qualcosa di come sono fatti e di come pensano e di quale sia il loro passato. Assistiamo al dischiudersi di due persone che iniziano a conoscersi di fronte a noi, siamo testimoni del primo momento reale, vivo, fra di loro.

L’attimo in cui è finito il tempo delle chat, dei profili, delle foto truccate o sempre un po’ in posa, e due persone si guardano negli occhi, sperando di piacere all’altro e soprattutto cercando nell’altro qualcuno per cui perdere la testa. È una situazione che ci rende per forza un po’ goffi, intimiditi, impacciati e insicuri: desideriamo piacere e, allo stesso tempo, che quella persona che abbiamo davanti ci piaccia.

Ed è nelle pieghe di questa insicurezza e di questa attesa che i due iniziano a parlare, a conoscersi, a scoprire e condividere parti di sé.

I nostri personaggi sono due persone adulte a cui la vita ha dato qualche botta, hanno già delle storie alle spalle, alcune delusioni e qualche ferita, ma che oggi sono pronti a rimettersi in gioco e a cercare una relazione che li completi e che li renda felici. In questo momento sono pronti a scommettere su se stessi e su uno sconosciuto, per dare inizio a quel percorso misterioso e imperscrutabile che è una relazione nuova e potenzialmente tutta da costruire.

La loro giornata passa così, in una quieta cittadina di provincia, fra chiacchiere al bar, silenzi, viaggi in macchina e piccole delusioni.

Un’escursione in una grotta millenaria, una partita a bowling, una passeggiata fianco a fianco e un selfie venuto un po’ così. In mezzo a un nuvolone carico di pioggia, si affaccia in lontananza una tiepida luce.

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 21 ▪  23 Gennaio 2026
GIULIA TRIPPETTA 

LA MOGLIE PERFETTA

costumi Nika CampisI | luci Simone Gentili | musiche originali Andrea Cauduro
tecnico luci e suono Simone Gentili
drammaturgia e regia GIULIA TRIPPETTA
produzione Marche Teatro - Agidi

Una lavagna in scena, una sedia di scuola, una donna vestita anni ‘50.

La storia è quella di Luisa, una ragazza giovane e piena di sogni, in un mondo vecchio quanto un cartellone pubblicitario ormai sbiadito, Luisa diventa poi la docente di un singolare corso di comportamento e buone maniere: il suo è un seminario intensivo (solo per donne) di preparazione al matrimonio dal titolo “Si può far”. Il corso è volto all’istruzione delle giovani aspiranti sposine: quali sono le 10 regole da seguire per potersi trasformare nella moglie perfetta?

La docente le mostra al pubblico come in una vera e propria lezione in cui ogni regola viene mostrata e spiegata in ogni sua parte, in un crescendo di ironia, surrealtà e gioco; ma, come nella vita, a volte la linea sottile tra gioco e realtà si confonde, si offusca, sbiadisce. Cosa si nasconde dietro la maschera di questa donna apparentemente perfetta? Crede davvero alle regole che impartisce con tanta dedizione, o è semplicemente vittima di un sistema che la accetta solo perché sottomessa a stereotipi e chili di mascara? E può questa donna, uscita da un’epoca che sembra non appartenerci più, parlare alle donne di tutti i tempi?

NOTE DI REGIA

Quanti passi si sono realmente fatti da quegli sfavillanti anni ‘50 ad oggi e come possiamo raccontare questo conflitto personale che riguarda tante donne di una generazione figlia della libertà di espressione ma ancora schiava di retaggi non completamente superati?

Lo spettacolo riporta il decalogo sopra citato e la storia d’una donna come tante, che ha dentro milioni di possibilità accadute e non accadute, uno spettacolo con tanti personaggi e una sola attrice che va a raccontare con ironia e black humor, un mondo che assomiglia anche troppo al nostro: la narrazione, che passa da un personaggio all’altro senza interruzione e senza uscite di scena, segue la storia della vita d’una donna come tutte, piena di sogni e di paure, e porta lo spettatore, con una comicità a volte sfacciata a volte con delicata ironia a guardarsi dentro e a rivedere attraverso una, la storia di tante.

Siamo ancora disegnate a matita su un grande cartellone che ci vuole d’un colore tenue e sbiadito? Saremo mai in grado di superare questi pregiudizi o rimarremo sempre bloccate nel limbo del Vorrei, ma non posso?

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27 Gennaio ▪ 1 Febbraio 2026
DANILO GIUVA | ERMELINDA NASUTO

CON LA CARABINA

di Pauline Peyrade
traduzione Paolo Bellomo | luci Vincent Longuemare
sound design Francesco Curci | costumi Angela Tomasicchio
aiuto regia Nina Martorana | organizzazione Silvia Milani
regia e spazio LICIA LANERA
produzione Compagnia Licia Lanera
in coproduzione con POLIS Teatro Festival | in collaborazione con Angelo Mai
Si ringrazia E Production

NOTE DI REGIA

Una bambina di 11 anni che un tribunale francese ha riconosciuto consenziente allo stupro che ha subito da parte di un amico del fratello maggiore, decide, diventata donna, di farsi giustizia da sola. La storia è continuamente divisa tra passato e presente: il primo ambientato in un luna park, il secondo a casa della donna. In entrambi i luoghi si consuma una violenza, ma i ruoli sono invertiti.

Con la carabina è un testo lucido e imparziale, che fugge dall'idea di dividere categoricamente il mondo in buoni e cattivi, ma analizza i meccanismi culturali e antropologici che fanno scaturire alcuni comportamenti violenti.

Questa analisi, insieme ad una scrittura viva e affascinante, sono gli elementi che mi hanno portato prima ad abitarlo, poi a patirlo e infine a metterlo in scena. Ne è venuto fuori uno spettacolo-incubo, un non luogo, in cui ci sono due attori/servi di scena che si fanno ora adolescenti ora adulti ed evocano attraverso la parola e pochi elementi scenici, la dinamica di una storia atroce.

Lo spettacolo è claustrofobico e violento, si muove scandito dalle luci di un set fotografico che muta continuamente per mano degli attori stessi.

Pensato per luoghi piccoli in cui la distanza del pubblico dallo spazio scenico è minima, la prospettiva dello spettatore quindi è vicina e continuamente disturbata da queste piantane luci, che lo mettono nello scomodo e allo stesso tempo pruriginoso ruolo di colui che spia il privato più privato. Davanti ad esso si intervalla il gioco all'orrore, la giovinezza alla morte; è un'orrenda stanza dei giochi, uno Squid Game in cui chi ha pagato il biglietto può guardare da vicino uno stupro o una morte.

Non ci sono vincitori in questa ruota infernale, ma solo lo specchio di una società che ha fallito clamorosamente. Tra conigli, giocattoli e canzoni di Billie Eilish sfila una storia come tante, una storia miserabile per cui è impossibile non provare pena e profondo dolore.

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 5 ▪ 15 Febbraio 2026
ALICE MISTRONI | SIMONE LEONARDI
ANTONIA DI FRANCESCO | ERICA SANI

CASA DI BAMBOLA, PARTE 2

di Lucas Hnath
aiuto regia Ginevra Ciuni
traduzione e regia CLAUDIO ZANELLI
produzione Viola Produzioni - Centro di Produzione Teatrale

Dopo il debutto in anteprima nazionale al fActory32 di Milano, Casa di Bambola Parte 2 di Lucas Hnath si presenta come un'opera teatrale capace di affrontare con freschezza e profondità temi universali e senza tempo. Lo spettacolo, con un cast straordinario formato da Alice Mistroni, Simone Leonardi, Antonia Di Francesco ed Erica Sani, è un viaggio intenso nel cuore delle relazioni umane, del perdono e della ricerca di sé stessi.

Nora ritoma, e nulla è come prima.

Quindici anni dopo aver lasciato il marito e i figli, Nora toma nella casa da cui era fuggita.

E’ una donna diversa, indipendente, ma il suo ritorno scatena un confronto che mette in discussione non solo il matrimonio, ma anche i ruoli e le aspettative che la società impone. In questa storia nessuno è solo colpevole o innocente: ognuno porta le proprie ragioni, le proprie debolezze e le proprie contraddizioni.

Lucas Hnath, una delle voci più brillanti e innovative del teatro contemporaneo americano, ha scritto "Casa di Bambola - Parte 2" come seguito ideale del celebre dramma di Henrik Ibsen. Debuttata a Broadway nel 2017, l’opera ha conquistato critica e pubblico, ricevendo 8 nomination ai Tony Awards, tra cui quella come Miglior Testo Teatrale. Hnath ha creato una pièce moderna e universale, capace di dialogare con il classico di lbsen senza tradirne lo spirito. Il suo linguaggio diretto e incisivo fa emergere le complessità emotive dei personaggi, portandoli in una dimensione profondamente umana e riconoscibile.

Al centro della narrazione c'è il matrimonio: un'istituzione che Nora ha rifiutato, ma che continua a essere il cuore pulsante delle vite degli altri personaggi. Hnath non fornisce risposte definitive, ma invita il pubblico a riflettere sul significato dell'amore, della responsabilità e della libertà.

Ogni personaggio è tanto fragile quanto potente, in un gioco di specchi che obbliga gli spettatori a confrontarsi con le proprie esperienze e convinzioni.

Sotto la regia attenta Claudio Zanelli lo spettacolo si caratterizza per la sua semplicità scenica, che pone al centro la forza dei dialoghi e delle interpretazioni.

NOTE DI REGIA

- Prossimità emotiva: "Abbiamo voluto che il pubblico si sentisse coinvolto come testimone diretto del confronto tra i personaggi."

- Dialoghi taglienti; "La scrittura di Hnath è incisiva e moderna; la regia si concentra su un ritmo serrato che mantiene alta la tensione drammatica."

⁃ Minimalismo narrativo: "Ogni elemento scenico è essenziale, per lasciare spazio alla forza degli attori e alle parole."

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19 ▪ 22 Febbraio 2026
DIEGO FINAZZI | ALMA POLI

LE NOTTI BIANCHE

da Fëdor Dostoevskij
drammaturgia Elena C. Patacchini
disegno luci Fulvio Melli | scene e costumi Francesca Biffi
assistente alla regia Sofia Tieri
ideazione e regia STEFANO CORDELLA
produzione Manifatture Teatrali Milanesi

Il sognatore è un fantasma che crea e disfa storie nella sua testa. Perso nei suoi viaggi mentali, spesso si dimentica del mondo reale.

La solitudine è il motore della sua immaginazione che lo porta a vagare di notte, cercando incontri che possano nutrire la sua fantasia. Vive così intensamente le sue allucinazioni da non riuscire ad aprirsi agli altri, terrorizzato dallo scontro con la realtà. Gli unici dialoghi sono con le case e gli edifici che lo circondano. Dà vita agli oggetti inanimati pur di non confrontarsi con le persone. Si sente inadeguato, inadatto alle dinamiche relazionali che lo obbligherebbero a mettere in discussione il suo mondo immaginario.

L’incontro con Nasten’ka arriva per caso, in una notte bianca che si confonde con il giorno. Nonostante le raccomandazioni della ragazza, il sognatore si innamora e di fronte a questo sentimento autentico la timida fantasia si mostra per quello che è: “Schiava di un’ombra, di un’idea”. E invano il sognatore fruga nei suoi vecchi sogni cercandone uno che possa scaldarlo come l’emozione che sta provando nell’incontro con Nasten’ka. Perché anche la più elaborata delle allucinazioni non può competere con la vita che esplode.

In questo modo, il posto dei sogni verrà rapidamente sostituito dai rimpianti. Tra la nostalgia per quello che non ha mai vissuto e la malinconia per le occasioni sprecate, il sognatore trascorre quattro notti con Nasten’ka assaporando per la prima volta nella sua vita la consistenza della realtà, l’adrenalina del presente e la possibile costruzione di un futuro.

NOTE DI DRAMMATURGIA

Lo spettacolo si sviluppa sullo scheletro drammaturgico e tematico del racconto di Dostoevskij, per poi prendere una piega contemporanea sia nel linguaggio che in alcuni riferimenti.

Il sognatore, figura senza nome come nell’originale, si muove tra due mondi: da un lato incarna lo spirito malinconico e riflessivo del personaggio dostoevskiano, dall'altro si colloca perfettamente nell’odierna Gen Z, risultando fragile come un bambino e, allo stesso tempo, brutale come un uomo. È un’anima persa che attraversa epoche e sentimenti, in grado di esprimere il mal de vivre che accomuna ogni tempo e generazione.

Nasten’ka, invece, è il contraltare perfetto: una giovane donna che, dietro la sua dolcezza e acume, cela un’anima selvaggia, nutrita da un impulso di vita che supera la fragile speranza del sognatore. È un personaggio che vive di emozioni intense, alimentata da una voracità emozionale che contrasta con la perenne esitazione del protagonista.

Le notti bianche è uno spttacolo che esplora i delicati equilibri dell’intimità con una tenerezza disperata e violenta. Lo spazio scenico, essenziale e minimalista, è progettato per mettere al centro la relazione tra i personaggi e il loro profondo bisogno di essere visti e riconosciuti. È un incontro inatteso tra due esseri umani segnati dalla solitudine, che ora intravedono una possibilità di rinascita grazie al reciproco aiuto.

Anche le luci e la musica, suonata dal vivo dagli attori attraverso una tastiera elettronica, diventano parte integrante della narrazione segnando il confine tra sogno e realtà, e talvolta il loro sconfinamento. Il grande tema dei protagonisti è l’incapacità di vivere nel presente: per sopravvivere, si rifugiano nei sogni e nell’immaginazione, fino a spingersi alle estreme conseguenze.

Il sognatore e Nasten'ka vivono insieme quattro notti che cambieranno per sempre le loro vite, in un viaggio intimo e poetico alla disperata ricerca di un singolo istante di autentica felicità. "Un intero attimo di beatitudine… È forse poco nella vita di un uomo?"

Elena C. Patacchini

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26 Febbraio ▪ 1 Marzo 2026
DANIELE ALAN CARTER | CLAUDIO CAMMISA

CONFINI

di Nimrod Danishman
regia ENRICO MARIA LAMANNA
produzione Viola Produzioni - Centro di Produzione Teatrale

Boaz e George si conoscono sull’applicazione Grindr. Il primo è israeliano e il secondo è libanese. Sono entrambi attratti l’uno dall’altro ma vivono in paesi nemici, separati da una recinzione sulla linea di confine. I loro sono Incontri virtuali in un’area liminale, che non tiene conto della politica, della guerra, della diversità di culture… Nonostante l’impossibilità della relazione, i due ragazzi continuano a parlare in chat e decidono di incontrarsi a Berlino, “un’isola di pace” in un mondo di guerre. La tensione tra i due paesi, tuttavia, si accende ed entrambi saranno costretti a prendere decisioni molto difficili.

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 13 - 15 Marzo 2026
EMANUELA PANATTA | ALESSANDRA FALLUCCHI

CIVICO 33

Monologhi di Donne

tratto dall’omonimo libro di Emanuela Panatta | Editrice Il Torchio, 2016
aiuto regia Chiara Anzelmo | costumi e scene Carlo De Marino
musiche Gabriele Calanca
foto di scena Azzurra Primavera e Paola Panatta | ufficio stampa Editrice Il Torchio
adattamento teatrale e regia
EMANUELA PANATTA | ALESSANDRA FALLUCCHI
produzione Monolocale Produzioni Aps in collaborazione con Il Torchio

Tutto avviene al CIVICO 33, un palazzo nel quale si incrociano le vicende di diversi personaggi femminili accattivanti e variopinti. L’arrabbiata, l’idealista, la crocerossina, l’alternativa, la precaria, l’innamorata, la golosa e l’arrivista fanno di CIVICO 33 un crocevia dell’universo femminile in cui le donne si raccontano in chiave tragicomica.

Le protagoniste si sfogano, si liberano dalle loro repressioni attraverso il linguaggio. Il loro monologo interno viene fuori come un pensiero ad alta voce. Tutte hanno una necessità: essere ascoltate, amate, comprese, salvate...

Attenzione! NON Eʼ LʼUOMO IL SALVATORE! Lʼimportante per ognuna sarà il processo: riuscire a trasformare il sentimento negativo per trovare il proprio centro, lʼequilibrio interiore che permette di andare avanti da sole, non in balia degli eventi o dellʼaltro; solo così potranno incontrare qualcuno di speciale per il cammino da intraprendere insieme.

Piccoli episodi di quotidianità da uno, mille e centomila, legati da un quesito esistenziale comune: Se è vero che la donna è arrivata da una costola dellʼuomo, perché siamo noi a doverci rompere sempre le ossa per loro?

Quasi tutte si lamentano della precarietà dellʼamore e del lavoro. Si sentono incomprese, abbandonate e disilluse, ma non hanno perso la voglia di lottare, si ritrovano a dover convivere con se stesse, con i loro fallimenti, le loro paure e le loro speranze.

NOTE DI REGIA

Due donne abitano lo spazio dell’attesa. Due donne, mille donne: le attrici in scena incastrano e sovrappongono tante storie individuali in un’unica e corale voce che porta simbolicamente in sé la forza e le sofferenze di tutto l’universo femminile. Attraverso il linguaggio del corpo si raccontano, come in uno specchio, le figure si riconoscono e dialogano, complici di un sentire comune.

Lo spazio scenico è l’ambiente in cui ognuna si sente al sicuro “quella bolla di sapone perfetta che non esplode, che resta intatta” dove chi resta fuori osserva e giudica.

Le due attrici rappresentano l'universo multiforme del Civico 33, interpretando innumerevoli figure di donne. Sono archetipi del mondo femminile in cui tutte ci possiamo di volta in volta rispecchiare e riconoscere. Lo spettacolo è concepito come un girotondo di storie in cui la musica non è elemento accessorio, ma protagonista insieme alle voci delle attrici. L'evocazione dei diversi personaggi è costruita attraverso un gioco scenico che svela e mai nasconde le infinite trasformazioni delle donne-attrici, proprio a voler testimoniare che l'essenza femminile non si può rinchiudere in una sola cornice ma e' possibile, anzi necessario, declinarla in infiniti colori. In scena solo elementi tipici del mondo femminile: borse, valigie, vestiti e scarpe. Le attrici sono di volta in volta personaggi diversi o lo stesso personaggio visto da prospettive diverse e proposto nelle sue contraddizioni.

L'amore, il sesso, le mode, le pressioni culturali, la famiglia, le amicizie, l'affermazione personale, la ricerca di se stesse e del proprio posto nel mondo, sono solo alcuni dei temi affrontanti dallo spettacolo dove si alternano o si confondono, come nella vita, momenti di leggerezza ed ironia ad altri più drammatici e dolorosi. Sospese tra il desiderio di avere un amore ed una famiglia e la voglia di essere riconosciute a pieno titolo nella professione, in conflitto perenne con la propria immagine e il proprio corpo, queste donne cercano, non senza fatica e sofferenza, un modo personale e autentico di stare al mondo, un riscatto economico e sociale e la possibilità di una vita migliore. Non storie di vittime, ma storie di donne con la capacità di affrontare con ironia e coraggio le sfide del mondo e rompere il silenzio che spesso cala sulla condizione femminile nel mondo del lavoro o all'interno di molte relazioni sentimentali.

Alessandra Fallucchi & Emanuela Panatta

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16 - 18 Marzo 2026
FEDERICO BIZZARRI | NICCOLÒ FELICI | MARTINA VENTURI

IL CONFINE PER XELINDOR

testo di NICCOLÒ FELICI
musiche Alessandro Pradella

E se l'eterosessualità fosse proibita?

In un mondo lontano e apparentemente diverso dal nostro, Liberio e Sismondo Michelotti sono due fratelli che vivono lontano dalla città, ai confini del loro regno. parlano una lingua arcaica, che ricorda la nostra. Si sono recati nel punto più lontano del regno, sotto le mura del confine per Xelindor, la terra proibita. Devono seppellire Federico, il loro fratello maggiore, come ultimo suo desiderio, ma stare lì è proibito, devono sbrigarsi. ma ecco arrivare una donna che scombina tutti i loro piani, dice di essere la gran strega della Limeta, in realtà è una rivoluzionaria, parla una lingua diversa da quella dei fratelli, viene dalla città e lì si parla una strana lingua dalle note nordiche ma in ogni modo, si intendono.

Tra prime incomprensioni e tanto scetticismo la ragazza convincerà Liberio e Sismondo a compiere un vero e proprio atto rivoluzionario che permetterà di aprire le mura de lo confine e vivere liberi da ogni costrizione morale imposta dal loro re, ma hanno poco tempo. Lui sta arrivando…

Progetto Vincitore Del Festival inDivenire come Miglior Spettacolo.

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 19 ▪ 22 Marzo 2026
GEA RAMBELLI | GIANFILIPPO MARIA FALSINA

L’OCCHIO INVISIBILE

di Gianfilippo Maria Falsina e Alberto Oliva
scenografia Francesca Ghedini
progetto e regia ALBERTO OLIVA
produzione TeatroE

L’occhio invisibile è un racconto teatrale distopico, ironico e seducente che ci invita a riflettere sul prezzo della libertà nell’era dell’intelligenza artificiale. Una storia tagliente, attuale e profondamente teatrale, che mescola Orwell, Black Mirror e romanticismo tossico.

L’opera rilegge in chiave contemporanea i temi di 1984 di Orwell, mostrando un mondo in cui la virtualizzazione delle esperienze quotidiane, dalle videochiamate al semplice fare la spesa, alimenta fenomeni come l’isolamento degli hikikomori e una dipendenza tecnologica che spesso si rivela dipendenza affettiva.

La trama si accende con un furto che trascina i due protagonisti in un labirinto dove sorveglianza, verità e manipolazione si confondono. A dar vita a questo universo sono l’attrice e cantante Gea Rambelli, Gianfilippo Maria Falsina, attore e co-autore del testo insieme ad Alberto Oliva, regista nonché ideatore del progetto, che con questo lavoro ha vinto il Premio Internazionale di Regia Fantasio 2024.

La loro presenza scenica, intrecciata a un linguaggio che alterna ironia e claustrofobia, costruisce una distopia lucidissima e magnetica, capace di sedurre, far sorridere amaramente e, soprattutto, far pensare.

Perché adesso? L’intelligenza artificiale e la vita mediata dagli schermi, governata da algoritmi, non sono più futuro, ma il nostro presente, sempre più pervasivo. L’occhio invisibile porta sul palco una delle domande più urgenti di questo tempo: qual è il prezzo della sicurezza quando si confonde con il controllo?

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 31 Marzo ▪ 2 Aprile 2026
FRANCESCO ZACCARO

SEMBRA AMLETO

di Francesco Zaccaro | scene Alessandra Solimene | luci Joseph Geoffriau
regia IVANO PICCIALLO
produzione IAC Centro Arti Integrate e MALMAND

Una sedia, una tomba, una montagnola di terra, e uno dei testi più celebri del teatro: l’Amleto di Shakespeare. Vestire i panni di Amleto è prendere coscienza di avere sempre indossato “un tessuto sbagliato”. Un filo da seguire, riannodandolo e slegandolo, per arrivare a concludere il gioco e far cadere la maschera. Dietro, il volto dell’attore, finalmente liberato.

Un monologo funambolico e grottesco che supera l’impasse, per compiere quel salto evolutivo e umano che è l’atto estremo della libertà. Sono i rapporti familiari la matassa da dipanare. Al centro, la figura della madre. È su di lei, sulla sua tomba, che l’attore rovescerà parole segrete, logorate dal buio, insudiciate dai troppi silenzi.

NOTE DI REGIA

Lo spettacolo corre su un filo immaginario, sospeso tra realtà e finzione, vita e morte, attore e personaggio. In scena il dramma si muove con toni farseschi, l'attore improvvisa evoluzioni dando vita e sepoltura a personaggi grotteschi, fino a seppellire il suo stesso personaggio: Amleto.

Una volta terminato il percorso drammaturgico dell'opera, quando l'attore pensa di averla fatta franca e di aver nascosto tutto, ecco germinare il seme amaro.

Svuotato del personaggio, l'attore strappa il velo del silenzio attraverso una confessione che è una progressiva spoliazione da “idiota” a uomo capace finalmente di “togliersi il naso rosso”, accettando di lasciar morire il proprio personaggio. Amleto, per catarsi “sembra” così concedere all'attore la sua espiazione. Ma, non sarà altro che, ancora, soltanto, mera rappresentazione.

Tutto questo “sembra”, perché questo è recitabile. È la veste, o la scena, del dolore. Quello che è in me va oltre lo spettacolo. [Amleto; atto I, scena II].

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8 ▪ 12 Aprile 2026
MARTA PIZZIGALLO | ELISABETTA MIRRA

LA DENUNCIA

scene Monica Sironi | costumi Alberto Moretti
disegno luci Gianfilippo Corticelli | musiche originali Gabriele Roberto
scritto e diretto da IVAN COTRONEO
produzione Gianpiero Mirra e Daniela De Rosa per Diana Or.i.s srl

La denuncia affronta i temi del consenso, del rispetto, della manipola­zione, del ricatto emotivo che possono nascondersi dietro un rapporto tra docente e discente. Un rapporto in cui in qualche modo la seduzio­ne entra fatalmente, a volte in maniera innocente, come arma e strumento maieutico, come persuasione intellettuale.

Altre volte, invece, prende le forme di una violenza, diventa abuso di potere.

Un testo teso, con un epilogo sorprendente. Una sfida dialettica e di visioni del mondo tra due donne in due età diverse della vita, che si rivelano, solo alla fine, più vicine di quanto si potrebbe immaginare.

Tratta un tema attuale, e da questo per me ovviamente deriva l'urgenza della scrittura e della messa in scena, e contemporaneamente si rifà a classici del teatro contemporaneo, come The Children 's Hour, in cui la discriminazione per orientamento sessuale è presente in forme sottili e inaspettate. Il tono è quello teso di un mistero da ricostruire, ma nella storia un twist trasforma li mistero quasi processuale in una dichiarazione d'amore.

Ivan Cotroneo

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14 ▪ 19 Aprile 2026
JONIS BASCIR

BEIGE – L’IMPORTANZA DI ESSERE DIVERSO

regia di JONIS BASCIR e ETTORE BASSI
produzione Stefano Francioni Produzioni

Questo monologo è il frutto di tanti anni di riflessioni sulla sua diversità, un romano mulatto.

Lo spettacolo raccoglie, in chiave umoristica e non, gli aneddoti e i paradossi del fatto di avere un colore di pelle imprecisato.

Ne esce un quadro divertente e assurdo dove la sua diversità ne esce vincente ed è proprio questo il motivo del sottotitolo. La sua, è una forte necessità e volontà di sottolineare come sia importante e stimolante essere diversi, quindi unici. L'unicità come ricchezza. Nello stesso tempo è un'ottima occasione per riflettere sull’inconsapevole razzismo dilagante.

Musica e canzoni accompagneranno fedelmente l’attore per giocare con un pubblico sicuramente "multicolor". Il tutto è impreziosito dalla regia del prolifico e bravo Ettore Bassi.

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6 ▪︎ 9 Maggio 2025
FRANCESCO COLELLA | MARIANO PIRRELLO

LE VACANZE DEI SIGNORI LAGONIA

scritto da Francesco Colella e Francesco Lagi
disegno luci Martin Emanuel Palma | disegno suono Giuseppe D’Amato
scenografia Salgo Ingala foto di Loris Zambelli
organizzazione Regina Piperno e Gianni Parrella
regia FRANCESCO LAGI
produzione Teatrodilina

Su una spiaggia ci sono due anziani signori, marito e moglie, sono i signori Lagonìa.

Guardano le onde che si arrotolano nel mare mentre si srotolano i loro pensieri.

In questa giornata c’è il tempo per una maledizione e una nuotatina a largo, per il ricordo di una bimba e per quello di una dieta finita già di lunedì, c’è un gabbiano che muore d’infarto e una nuvola a forma di coniglio, c’è una canzone di Gianni Morandi e la fine del mondo, c’è una barca che li può portare via.

C’è l’epica di un matrimonio durato quarant’anni e questo giorno qua, che non è un giorno qualsiasi della loro vita.

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