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martedì 25 novembre 2025

TEATRO GRASSI DI MILANO
"L'ANGELO DEL FOCOLARE
EMMA DANTE"
PRIMA ASSOLUTA

Dall’11 al 30 novembre 2025
Uccisa dal marito, una donna continua a vivere. Ogni sera lui le spacca la testa, ogni mattina lei si rialza, pulisce, cucina, accudisce, subisce la violenza e l’indifferenza di chi la circonda. Dopo il grande successo di Re Chicchinella, Emma Dante torna al Piccolo, al Teatro Grassi, in prima assoluta, dall’11 al 30 novembre, portando in scena l’atroce ritualità di un femminicidio.

La recita del 25 novembre sarà dedicata alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Con questa iniziativa e illuminando di arancione il Chiostro Nina Vinchi, il Piccolo Teatro aderisce alla Campagna globale UNiTE 2025 – Orange the World.

Lo spettacolo è una coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa | Teatro di Napoli – Teatro Nazionale | Châteauvallon-Liberté, scène nationale | Les Célestins, Théâtre de Lyon | La Comédie de Clermont-Ferrand | Scène Nationale d’ALBI-Tarn | Le Cratère, scéne nationale Alès | L’Estive, scéne nationale de Foix et de l’Ariège | Théâtre + Cinéma Scène nationale Grand Narbonne | Théâtre de l’Archipel, scène nationale de Perpignan | Théâtre Molière – Sète scène nationale archipel de Thau | Le Parvis, scène nationale Tarbes-Pyrénées | Compagnia Sud Costa Occidentale | Carnezzeria.

Le recite del 15, 16, 22, 23, 29 e 30 novembre sono sovratitolate in inglese e in italiano.
I sovratitoli sono a cura di Prescott Studio

Dentro una famiglia, un giorno, l’abituale violenza del marito sulla moglie si trasforma in un femminicidio. L’uomo la uccide, spaccandole la testa con un ferro da stiro. La donna giace a terra, morta, ma la sua morte non è sufficiente: nessuno le crede.

Come un angelo del focolare imprigionato, la donna non può sottrarsi a un destino di morte e abusi: sarà costretta ad alzarsi e rientrare nella stessa routine, pulendo la casa, occupandosi del lavoro domestico, preparando da mangiare al figlio e al marito, accudendo l’anziana suocera.
Ogni mattina, i familiari la trovano morta e non le credono. Ogni mattina lei si rialza, apre la moka, chiusa troppo stretta, e ricomincia a subire la violenza del marito, la depressione del figlio, l’impotenza della suocera che, anziché condannare il figlio brutale e dispotico, lo compatisce.
Ogni sera la moglie muore di nuovo, come in un girone dell’inferno in cui la pena non si estingue mai. Nella penombra di una casa addormentata, l’angelo scuote i lembi della vestaglia e prova a volare, ma le è concessa soltanto l’intenzione del volo.

L’angelo del focolare è il quarto spettacolo che Emma Dante crea per il Piccolo Teatro, dopo Bestie di scena (stagione 2016/17), Misericordia (stagione 2019/20) e Re Chicchinella (stagione 2023/24). La regista è stata ospite dello stabile milanese anche con altre sue produzioni: Le sorelle Macaluso (stagioni 2013/14 e 2015/16), Operetta burlesca (stagione 2015/16), La scortecata (stagione 2018/19) e Pupo di zucchero. La festa dei morti (stagione 2022/23).

Lo spettacolo, dopo le recite milanesi, avrà una tournée italiana fino alla primavera 2026: sarà a Napoli, al Teatro San Ferdinando, dal 4 al 14 dicembre 2025. Nel 2026 toccherà Mestre (27 e 28 gennaio), Verona (29 gennaio), Piacenza (3 febbraio), Firenze (dal 5 al 7 febbraio), Lugano (23 e 24 febbraio), Vicenza (26 e 27 febbraio), Udine (28 febbraio), Cremona (3 marzo), Sarzana (5 e 6 marzo), Pontedera (7 e 8 marzo), Savona (12 marzo), Pistoia (14 e 15 marzo), Rovereto (19 e 20 marzo), Bari (28 e 29 marzo).

Come ha osservato Giorgio Vasta in un breve saggio a corredo del volume di Emma Dante Bestiario teatrale (2020), «ciò a cui l’immaginazione narrativa» della regista palermitana «dà forma è un territorio dove i vivi e i morti coesistono impegnandosi in un laborioso negoziato il cui esito, tutt’altro che risolvere il dilemma, ha la capacità di elevarlo a esponente». Questo moto oscillatorio tra i regni della vita e della morte delimita, nell’ultimo lavoro di Emma Dante, l’esplorazione delle forme (più o meno) subdole di abuso che le donne sono costrette a subire tra le mura di casa, in quell’antro famigliare che si trasforma in un luogo di tortura (fisica e psicologica) e che è «il posto» – con le parole della stessa artista – «dove tutto nasce e tutto muore e non c’è un confine tra le due cose». Ingabbiata in una sorta di eterno presente di soprusi domestici che ne perpetuano, senza soluzione di continuità, il femminicidio, la vicenda dell’“angelo del focolare”, che con vena sarcastica dà il titolo all’opera, rende manifesta l’opaca pervasività di una violenza di genere che si incista nella prosaica liturgia della vita quotidiana, secondo una disgregazione non solo dei legami privati ma anche del tessuto collettivo. All’estenuante monotonia del male, radicata nel dispotismo maschile di pratiche e discorsi divenuti così comuni da risultare “invisibili”, il teatro «matriarcale» di Emma Dante oppone la forza percussiva di un’azione scenica che dalla cronaca vira verso la dimensione rituale (e mitica) per affermare tutta la sua carica etica, mostrando i diffusi costumi sociali e culturali alla base della violenza contro le donne. Tra le pieghe del destino dell’“angelo del focolare” sembra di poter udire i versi di Carlo Michelstaedter su quanta «vita» vi sia «nella morte» e quanta «morte nella vita».
Claudio Longhi

QUANDO IL SANGUE DIVENTA INVISIBILE
Conversazione con Emma Dante

(dal programma di sala dello spettacolo)

Da dove nasce l’idea di questo spettacolo? Hai tratto ispirazione dalla cronaca, purtroppo drammaticamente ricca di episodi di violenza di genere, o avevi altre motivazioni?

Dalla profonda necessità di esplorare quella che chiamo la manutenzione della violenza domestica. Nel mio privato, fortunatamente, non si sono mai verificate situazioni come quelle descritte nello spettacolo, tuttavia, anch’io sono cresciuta in una famiglia, che, come tutte, si fondava su una gerarchia di potere, su un sistema che, soprattutto al Sud, vede il predominio maschile. La nostra messa in scena – che racconta un femminicidio – anziché concentrarsi sulla spettacolarizzazione della morte della donna, privilegia le ragioni profonde che stanno alla base dei comportamenti di una tipologia di uomo “non collaborante” all’interno delle famiglie. E questa passività maschile, secondo me, è uno dei fattori da attenzionare, non perché sempre conduca al femminicidio, ma perché costituisce il terreno fertile su cui il comportamento violento attecchisce. Nello spettacolo si racconta il divario evidente tra le donne che si prendono cura della casa e dei figli – sono, appunto, gli angeli del focolare – e gli uomini che utilizzano la casa per farne la palestra muscolare del proprio ego: in casa si pompano i muscoli per poi esibirsi in pubblico. Mi interessava raccontare questo atteggiamento, la cui diretta conseguenza è la prevaricazione del forte sul debole, la prepotenza, la furia che si annida nell’ordito del tessuto domestico. Da questo punto di partenza è scaturito uno spettacolo che racconta la violenza come un fatto assolutamente ordinario, che fa parte del rituale domestico: scuotere la tovaglia per far cadere le briciole dopo aver mangiato è normale come lo schiaffo che la Moglie, la protagonista, riceve dal Marito. Ed è il motivo per cui la donna, nel momento in cui viene uccisa, non viene creduta, ma anzi deve rimettersi in piedi e rientrare nel proprio ruolo al servizio di tutti.

Perché L’angelo del focolare?

Mi ha sempre colpito questo modo di raccontare la donna che si prende cura della casa e della famiglia: l’angelo del focolare… Lo trovo sarcastico, perché ci vedo l’esatto contrario: la donna che,

nella propria vita, si occupa solo della casa e dei figli finisce per diventare un demonio, per essere tutto tranne che angelica. L’immagine dolce, melensa, candida della donna “tutta casa e famiglia” mi ha sempre divertito perché trovo che impersoni il sentimento del contrario di pirandelliana memoria: mi fa ridere, ma è una risata che affonda in qualcosa di più profondo, nel dolore che sta dietro a quel quadretto. Mia madre era una casalinga a tempo pieno, senza mai un minuto di tempo per sé e per tutto l’enorme lavoro che ha svolto, lei, come le mie nonne, non ha mai ricevuto alcun compenso. Sono sicura che dentro di sé aveva un sacco di sogni, di desideri, ma non aveva né il tempo né la possibilità di esaudirli. Perciò quella figura di donna del mio spettacolo, che si prende cura di tutto e di tutti tranne che di se stessa, per me è l’emblema di una violenza subdola, di una spaventosa forma di negazione, privazione e coercizione esercitata dalla società. Le cose in parte ora sono cambiate: le donne lavorano, possono contare su una maggiore collaborazione da parte dei compagni, ma tra le pareti domestiche rimane una certa ritualità…

Perché i quattro personaggi non hanno nome proprio ma si chiamano semplicemente il Marito, la Moglie, il Figlio, la Suocera?

È una scelta voluta perché per me sono icone, sono simboli: la Suocera, che vive in casa con la nuora, il Figlio che è anche nipote… C’è del sarcasmo, sicuramente, ma è soprattutto la fotografia della famiglia con tutto il suo orrore. Per raccontarlo e restituirlo, dobbiamo parlare di queste figure che esistono, fanno parte della realtà, sono le radici profonde della nostra società. Mi interessava la gestione dei sentimenti dentro alla casa, ma mi incuriosiva anche il rapporto con gli oggetti, con il tavolo, per esempio, attorno al quale ci si riunisce, si mangia, ma che a un certo punto accoglie anche il cadavere della Moglie. Volevo approfondire tutto l’ingranaggio della violenza che si consuma all’interno della casa, insita persino negli oggetti, negli arredi: tutto è complice, persino il tavolo, il letto e la poltrona. La violenza vive, si annida nelle trame del tessuto domestico, non è soltanto un episodio plateale: l’uccisione ne è l’ultima tappa, se vuoi la meno interessante da esplorare. Quello che bisogna indagare è che cosa si cela dietro a una reazione smisuratamente aggressiva perché sono rimaste delle briciole a terra dopo il pranzo o perché l’asciugamano in bagno è stato piegato male… volevo ragionare su questa palestra della prevaricazione, della prepotenza dei forti sui deboli. Gli schiaffi, le botte che il Marito dà alla Moglie sembrano far parte di una normalità: ricevere e dare uno schiaffo è come mettersi o togliersi una scarpa, come scuotere la tovaglia. La famiglia si abitua, in qualche maniera si rassegna a questa dinamica: gesti, sguardi, parole feroci entrano nel rituale domestico e si perdono tra le mille cose che ci sono da fare in casa.

Perché il personaggio della Moglie non può morire ma non se ne può neppure andare?
La Moglie non può morire, perché la sua morte fa parte di quella stessa routine. Quando viene uccisa dal Marito, il Figlio, la Suocera e il Marito stesso la richiamano in vita, le chiedono di alzarsi perché la giornata deve ricominciare, perché quella violenza e quella morte sono entrate nell’ordito del tessuto domestico. Questa famiglia vive mangiandosi, divorandosi a vicenda, uccidendosi e il corpo della Moglie viene alla fine devastato da tanta violenza. Spesso, quando si parla della Sicilia, si dice “in Sicilia non c’è solo la mafia”. È una frase che mi ha sempre colpito molto: è vero non c’è solo la mafia, però, negli atteggiamenti quotidiani delle persone, esiste l’atteggiamento mafioso che per me è anche peggiore: è un terreno fertile per produrre e creare quell’orrore – che poi è la mafia – di un comportamento patriarcale, prevaricatore, che da decenni, da secoli crea l’humus su cui attecchiscono morte, violenza, femminicidio. Dov’è il paradosso? Nel fatto che questa donna continuamente vessata, tormentata dall’atteggiamento del Marito che finisce per contaminare anche il Figlio, nonostante il pericolo costante in cui si trova, non riesce a staccarsi dalla casa. Esiste un legame morboso, inspiegabile, inesorabile – e non ha assolutamente a che fare con l’amore – per cui i quattro familiari non si possono lasciare. È qualcosa che ha a che fare con la sofferenza, che diventa debolezza, impossibilità di uscire da questa prigione. C’è un momento dello spettacolo che lo spiega precisamente, la scena in cui tutti i personaggi si stringono la mano fino a farsi male, se la stritolano, cercando di fuggire in direzioni opposte, ma creando invece una catena umana con la quale si tengono stretti nel dolore, nella sofferenza, nell’orrore.

Come hai lavorato con i quattro interpreti?

La cosa per me più strabiliante – visto che sono quattro attrici e attori, con un tavolo, una poltroncina e un letto – è la loro bravura nel riuscire a usare, a dialogare con gli oggetti, con i pezzi di arredamento, nella maniera di Geppetto con Pinocchio, di un uomo che parla con un ciocco di legno, che poi è il gioco del teatro… Questo spettacolo richiedeva una cura particolare, perché raccontando una storia così tremenda dovevamo evitare di scivolare nella retorica. Pertanto, nella descrizione di questa manutenzione domestica di un uomo che dentro casa fa palestra del proprio io, usando la donna come oggetto, esiste un gioco comico e grottesco. Non volevamo suscitare solo indignazione, ma ridicolizzare determinati atteggiamenti, non per giustificarli, ma per sviluppare un’empatia ancora maggiore con la Moglie, una forma di complicità con lei. Di sicuro i maschi del tipo del nostro personaggio difficilmente vedranno uno spettacolo come il nostro, però se dovesse mai capitare, forse è possibile che, vedendosi allo specchio – che poi è la cosa a cui dovrebbe servire il teatro – mentre tutto il pubblico ride, possano cambiare di una virgola il loro modo di essere…

L’attrice che interpreta la Moglie recita per tutto il tempo con il sangue sul volto. Perché questa scelta?

Nasce da una lunga riflessione. Lo spettacolo inizia dalla fine, con la protagonista morta, con la testa spaccata dal ferro da stiro con cui è stata colpita. Un oggetto scelto non a caso, perché in questo tipo di omicidi le armi – coltelli, pietre, oggetti della casa – sono quelle più semplici da reperire… La Moglie è stata uccisa e il sangue le è colato sul viso. Che ne facciamo di tutto quel sangue? Durante le prove, a un certo punto, le facevo lavare il viso e lei ricominciava la sua giornata come sempre. Poi, però, ho sentito la mancanza di quel sangue. Ho pensato che quelle donne, nelle loro case, vengono tormentate continuamente e finiscono per ritrovarsi piene di ferite che perdurano: è l’insulto di uno stupro, sono i segni delle botte prese per tutta una vita. Allora mi sono detta che, forse, lei doveva rassettare il letto con la faccia sporca di sangue… Ciononostante, alla fine, tutti noi che guardiamo lo spettacolo, con il trascorrere del racconto finiamo per non notare più quel sangue. Ecco, l’atrocità, la cosa peggiore che facciamo, è proprio dimenticarci di quelle ferite.

OLTRE LA SCENA
PAROLE IN PUBBLICO – DOBBIAMO PARLARE!

Emma Dante incontra Veronica Lucchesi (La Rappresentante di Lista)

C’è più di una cosa in comune tra Emma Dante e Veronica Lucchesi, protagoniste di questo nuovo appuntamento di “Dobbiamo parlare!”, a cominciare da quel participio presente “rappresentante” che se per l’una dà titolo al fortunato progetto musicale condiviso con Dario Mangiaracina – La Rappresentante di Lista, appunto –, per l’altra indica l’essenza stessa del proprio lavoro di regista e drammaturga. Del resto, che si tratti di portare sul palco corpi e parole o parole e musica ciò che queste due artiste hanno messo in chiaro, nei propri diversi percorsi, è che il loro sguardo d’autrici è qualcosa di aperto, una ricerca indipendente, capace di smarginare tra generi e media, senza restare imbrigliato in tassonomie, a disegnare il proprio personalissimo modo di raccontare. Il nuovo spettacolo di Emma Dante, L’angelo del focolare diventa così l’occasione per un’ulteriore apertura prospettica: una conversazione sullo spettacolo e i temi che lo attraversano, ma anche sul processo creativo, sulla propria capacità di “rappresentare” e farsi “rappresentante” del proprio pensare. Modera Roberta Carpani professoressa di Discipline dello Spettacolo presso l’Università Cattolica di Milano.

Mercoledì 12 novembre, ore 18, Chiostro Nina Vinchi
con: Emma Dante, Veronica Lucchesi. Modera Roberta Carpani

PAROLE IN PUBBLICO

L’angelo del focolare non abita più qui
Incontro alla Casa delle Donne di Milano

Rompere il silenzio, disinnescare gli schemi comportamentali, “fare casa” e dare ascolto alle donne che subiscono violenza. In occasione delle recite de L’angelo del focolare di Emma Dante, e in prossimità del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, La Casa delle Donne di Milano ospita una conversazione che, a partire dallo spettacolo, apre la strada a temi fondamentali nel contrasto a questo dilagante fenomeno, come la necessità dell’ascolto e della denuncia. Atti necessari per spezzare il “canone infinito” della violenza di genere, spesso nascosta dall’ambito domestico, quel “focolare” che tradisce la sua natura di luogo di affetti, trasformandosi in contesto distruttivo e chiuso. Ne parlano Filomena Rosiello, responsabile dello “Sportello degli Sportelli”, struttura di ascolto della Casa delle Donne di Milano, Parisina Dettoni, tra le fondatrici della Casa e responsabile degli eventi culturali, e le attrici della compagnia dello spettacolo. Modera Anna Piletti.

In collaborazione con Casa delle Donne di Milano

Venerdì 21 novembre, ore 17, Casa delle Donne di Milano, via Marsala 10.
Con: Parisina Dettoni, Filomena Rosiello e le attrici della compagnia. Modera Anna Piletti.

CHI È DI SCENA?

Incontri pre-spettacolo a pochi minuti dall’andata in scena: un momento informale di confronto tra pubblico e operatori del teatro sui temi dello spettacolo.

Giovedì 13 e martedì 25 novembre, ore 18; mercoledì 19, ore 19, foyer Teatro Grassi

Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dall’11 al 30 novembre 2025

L’angelo del focolare
testo, regia, scene e costumi Emma Dante
luci Cristian Zucaro
con David Leone, Giuditta Perriera, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
organizzazione Daniela Gusmano
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Châteauvallon-Liberté, scène nationale, Les Célestins, Théâtre de Lyon,

La Comédie de Clermont-Ferrand, Scène Nationale d’ALBI-Tarn,

Le Cratère, Scène nationale Alès, L’Estive, scène nationale de Foix et de l’Ariège, Théâtre + Cinéma Scène nationale Grand Narbonne, Théâtre de l’Archipel, scène nationale de Perpignan, Théâtre Molière, Sète scène nationale archipel de Thau,

Le Parvis, scène nationale Tarbes-Pyrénées, Compagnia Sud Costa Occidentale, Carnezzeria

Orari: martedì, giovedì e sabato ore 19.30; mercoledì e venerdì ore 20.30; domenica, ore 16.

Lunedì riposo.

Durata: un’ora senza intervallo

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 - www.piccoloteatro.org

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