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martedì 1 marzo 2022

TEATRO STUDIO MELATO DI MILANO
"UNO SPETTACOLO PER CHI VIVE IN TEMPI DI ESTINZIONE"
LA NUOVA PRODUZIONE DEL PICCOLO TEATRO

Dal 3 al 27 marzo, al Teatro Studio Melato, va in scena Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, tratto dalla pièce dell’americana Miranda Rose Hall, reinterpretato in Italia da lacasadargilla/Lisa Ferlazzo Natoli, a partire dal progetto per il Théâtre Vidy-Lausanne della regista britannica Katie Mitchell.

Dopo la Stagione estiva 2021 “Ogni volta unica la fine del mondo”, si comincia a tracciare, con questo spettacolo, il percorso progettuale del Piccolo Teatro di Milano con gli “artisti associati” lacasadargilla e Marco D’Agostin.

Il testo dello spettacolo è pubblicato da Il Saggiatore nella nuova collana editoriale del Piccolo Teatro di Milano.

«La differenza tra morte ed estinzione è questa: la morte è scomparire, l’estinzione è smettere di esistere». Sono le parole di Noemi, protagonista di Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, una «donna che ha paura della morte, drammaturga, sui 40 anni», che ragiona con il pubblico di origini, lasciti e sopravvivenze. Il testo rimemora le cinque grandi estinzioni che hanno modificato la vita sulla Terra, misurandone il tempo profondo, di generazione in generazione, per arrivare alla singolarità della sesta, velocissima e letale, fine del presente per come lo conosciamo. Un catalogo di specie estinte o quasi, per restituire nome e ‘presenza’ a tutte le forme di vita che stanno scomparendo; perché il tempo dell’uomo, un battito d’ali paragonato alla vita della Terra, rischia di cancellare per sempre l’eredità di tutto il creato. Pipistrelli bruni, gechi marmorizzati o cipressi delle Guadalupe, tutte specie sull’orlo di un’estinzione di massa di cui basterebbe anche solo ricordare i nomi per cominciare a prendersene cura.

Una narrazione di fratture nel tempo e nello spazio, affidata all’attrice Ester Elisha, incorniciata - a incarnare la riflessione principe sul tempo profondo che attraversa tutto lo spettacolo – da un coro misto di uomini e donne di età diverse, con una maggioranza di corpi “anziani”, non professionisti, appartenenti a otto realtà musicali attive sul territorio milanese che, attraverso una partitura “corpuscolare” di voci e gesti armonizzata da Marco D’Agostin, restituiscono la trama della memoria, il ritmo delle generazioni, il passo lento e inesorabile del tempo, unendo in un unico respiro, per un istante, l’intera comunità nuovamente (e finalmente) riunita a teatro.

Nell’emiciclo del Teatro Studio Melato, lo spettacolo si alimenta dell’energia prodotta, dal vivo, da quattro biciclette azionate da ciclisti, anche questi non professionisti, e costantemente misurata da display posizionati sul palcoscenico. Produzione e consumo di energia sono completamente a vista. Grazie alle ricerche e alla sperimentazione del collettivo Pedal Power è stato tracciato un vero e proprio ‘copione energetico’ per calcolare la quantità di energia producibile e traducibile in luce e suono ed amalgamarvi, di conseguenza, la drammaturgia. Così come i 41 coristi (16 in scena ogni sera), anche i ciclisti legano lo spettacolo al tessuto metropolitano, radicandolo profondamente nel territorio.

Giocando con i numeri, uno spettacolo teatrale consuma mediamente tra i 30.000 e i 150.000 watt, come un condominio di 100 appartamenti completamente illuminato o una grande nave da crociera. Questo spettacolo vive con 240 watt. Ogni sera, inoltre, le quattro biciclette percorrono insieme, idealmente, poco più di 100 Km. Come se, pur stando ferme, percorressero, nelle 22 recite milanesi, quasi 2500 Km, un viaggio ideale da Milano a Marrakech.

Allestita a partire da un progetto per il Théâtre Vidy-Lausanne della regista britannica Katie Mitchell – che della difesa dell’ambiente ha fatto uno dei cardini della sua opera – la pièce dell’americana Miranda Rose Hall (Baltimora, 1990) porta in scena il dibattito sul cambiamento climatico, sul rapporto con la morte e la vita come responsabilità e dono. In Italia, lo spettacolo è reinterpretato da lacasadargilla/Lisa Ferlazzo Natoli con un lavoro minuzioso sul lessico, l’interpretazione e l’immaginario scenico, sonoro e visivo evocato dal testo, pur nel rispetto del concept originario.

Un poderoso lavoro collettivo e d’ensemble – come nella tradizione de lacasadargilla - che vede all’opera – accanto alla regista Lisa Ferlazzo Natoli e a Ester Elisha in scena – Margherita Mauro, che ha curato traduzione e drammaturgia, Alessandro Ferroni per l’ideazione dell’ambiente scenico e dei paesaggi sonori, Luigi Biondi per il lavoro sottile delle luci, Maddalena Parise per l’immaginario scenico e visivo, Marco D’Agostin per la cura del movimento, Gianluca Ruggeri per la composizione della partitura musicale del coro, Livia Brambilla per la preparazione del coro, Alice Palazzi e Caterina Dazzi per il prezioso coordinamento generale come assistenti all’intero progetto.

Nel solco dei nuovi orizzonti progettuali europei della Fondazione Piccolo Teatro di Milano, attraverso Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, il Piccolo e la comunità dei suoi spettatori parteciperanno a Forestami, programma di riforestazione dell’area metropolitana di Milano: parte degli incassi dello spettacolo saranno infatti investiti nell’acquisto, posa e manutenzione di alberi che saranno piantati in una delle zone interessate dal progetto.

Il Piccolo Teatro di Milano, inoltre, con questo spettacolo e spegnendo le insegne esterne delle tre sale, venerdì 11 marzo, aderisce a M’illumino di Meno, la Giornata del risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili di Caterpillar e Rai Radio2 con Rai per il Sociale.

Sustainable theatre?

A play for the living in a time of extinction è il primo capitolo del progetto Sustainable theatre? ideato da Katie Mitchell, Jérôme Bel, Théâtre Vidy-Lausanne, in collaborazione con il Centro di competenza in sostenibilità dell’Università di Losanna. I due artisti, insieme al Théâtre Vidy-Lausanne, hanno immaginato una creazione teatrale di respiro internazionale che osservasse criteri di sostenibilità sia nei contenuti che nei processi produttivi, nell’ottica del risparmio energetico e di CO2 e della riduzione dello spreco produttivo. Questa collaborazione innovativa tra artisti e istituzioni – il progetto ha coagulato intorno a sé i principali teatri europei – sfida il tema della sostenibilità in teatro, sia sul palco che nel modo in cui vengono prodotti gli spettacoli, dalle prove alle tournée e ai rapporti con i co-produttori.

Un esperimento ambizioso, per la sua visione globale che intreccia aspetti economici, sociali, culturali e ambientali, che si propone di ridisegnare l’idea di produzione e distribuzione di una performance: i partner, infatti, sono chiamati a reinterpretare le creazioni originarie in “versioni locali” realizzate con risorse proprie e in ottica sostenibile. Lo spettacolo non viaggia più fisicamente ma sotto forma di script ed è ricreato in ogni teatro partner da un’équipe locale, in una sorta di ideale geografia creativa e condivisa. A Milano, sotto la guida del Piccolo Teatro, saranno Lisa Ferlazzo Natoli e Marco D’Agostin a reinventare le due produzioni di Mitchell e Bel, rispettivamente nel marzo 2022 e nel gennaio 2023.

Piccolo Teatro Studio Melato (Via Rivoli, 6 – M2 Lanza), dal 3 al 27 marzo 2022
Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione
testo* Miranda Rose Hall
concept di produzione e regia originale Katie Mitchell
drammaturgia originale Ntando Cele
concept per l’Italia lacasadargilla
traduzione e drammaturgia italiana Margherita Mauro
regia Lisa Ferlazzo Natoli, con Esther Elisha
scene/allestimento e suono Alessandro Ferroni, luci Luigi Biondi, immagini Maddalena Parise
composizioni per il coro Gian Luca Ruggeri, cura del movimento Marco D’Agostin
preparazione coro Livia Brambilla con la collaborazione di Giovanna Ferrara, Filippo Maria Tuccimei
e con i coristi Silvia Baldini, Luca Bardi, Pieranna Borio, Livia Vittoria Brambilla, Elsa Angela Brambilla, Annamaria Caporusso, Francesco Cigada, Alessia Coari, Nicola Coccia, Laura Angela Corona, Bianca Maria Dacomo Annoni , Ruggero Dimiccoli, Giovanna Maria Ferrara, Anna Fiorini, Giovanni Granata , Angelo Maffezzoli, Matteo Maraone, Giuseppe Martini, Gabriella Martino, Angela Leonarda Masala, Franco Mazzarella, Natale Minchillo, Tzvetana Momtcheva, Claudia Morelli, Bruno Morelli, Daniela Nannavecchia, Diyana Ivanova Pashova, Nicoletta Camilla Pedraglio , Cornelia Pelletta, Letizia Pepori, Roberta Piloni, Federico Russo, Gianbattista Sassera, Carlantonia Sassi, Gabriella Taraborrelli, Filippo Tuccimei, Gianmario Tumiati, Ornella Vinci, Valentina Volonté, Roberta Zanuso, Alessandro Zemella
aiuto regia Alice Palazzi, assistente alla regia Caterina Dazzi
impianti ciclo-elettrici Pedal Power Milano – Chiara Mazzatorta
ciclisti Tazio Airaghi, Luigi Aliverti, Milo Cuniberto, Daniele D’Aquila, Francesco Lionetti, Angelo Lisco
foto di scena Masiar Pasquali
produzione Piccolo Teatro di Milano -Teatro d'Europa
Si ringrazia Missoni

Lo spettacolo è il primo capitolo del Progetto “Sustainable theatre?”
concept Katie Mitchell, Jérôme Bel, Théâtre Vidy-Lausanne
in collaborazione con il Centro di competenza in sostenibilità dell’Università di Losanna.
Viaggia sotto forma di script ed è ricreato in ogni teatro partner da un’équipe locale.
Produzione Théâtre Vidy-Lausanne, R.B. Jérôme Bel, Rete dei Teatri in Transizione: Dramaten Stockholm, MC2: Maison de la culture de Grenoble, National Theater & Concert Hall, Taipei, NTGent, Piccolo Teatro di Milano -Teatro d'Europa, Teatro Nacional D. Maria II, Théâtre de Liège, Lithuanian National Drama Theatre, National Theatre of Croatia Zagreb, Slovene National Theatre Maribor, Trafo

*A PLAY FOR THE LIVING IN A TIME OF EXTINCTION

La prima mondiale della versione originale del testo è stata prodotta dal Baltimore Center Stage (Stephanie Ybarra, direttrice artistica/Michael Ross, direttore esecutivo).

La pièce è stata commissionata e sviluppata da LubDub Theatre Company, Caitlin Nasema Cassidy e Geoff Kanick, co-direttori artistici, Robert Duffley, Dramaturg.

È stata sviluppata, in parte, con l’aiuto dell’Orchard Project (www.orchardproject.com), Ari Edelson, direttore artistico.

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Lunedì, riposo.

Durata: 75 minuti senza intervallo

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – piccoloteatro.org


In “questi tempi di sanguinoso smarrimento” (Brecht docet) e di profonda instabilità, in cui la parola “estinzione” assume contorni fin troppo inquietanti e minacciosi, è ormai sempre più chiaro che il rischio globale cui siamo inesorabilmente esposti ci costringe a ripensare l’idea di progresso e di fine portandoci a ricercare e costruire modelli di crescita alternativa. Il teatro, arte antica e insieme moderna, ha in sé le energie e le capacità inventive per elaborare proposte originali ai problemi che stiamo attraversando e che si prospettano all’orizzonte. È quel che accade con Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, creazione teatrale dal respiro internazionale e dalla genuina natura progettuale, contraddistinta dalla messa a punto di processi di lavoro tesi a sperimentare innovativi paradigmi di sostenibilità (nel segno di un vivo dialogo tra l’ideazione di Katie Mitchell e la “reinterpretazione di un oggetto artistico preesistente” da parte di lacasadargilla). Si sviluppa, così, un discorso ad ampio raggio sulla nozione allargata di sostenibilità, che chiama in causa tanto la transizione ecologica degli edifici teatrali quanto le dinamiche operative e i contenuti della produzione scenica. E ancor prima questa esperienza, favorendo la disseminazione di una cultura della sostenibilità, interpella noi tutti, convoca le nostre personali e collettive responsabilità, in un’ottica di coesione sociale comunitaria. Piuttosto, dunque, che pretendere di fornire risposte, Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, nel sollevare questioni cardinali, intende creare i presupposti per un consapevole cambiamento di prospettiva generale e di condotte individuali.
Claudio Longhi

Una conversazione con lacasadargilla
Estratto dal programma di sala dello spettacolo
(a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di Milano)

Rincaro dei prezzi, penuria di materie prime e una crisi energetica come non si viveva dagli anni Settanta: Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione ha trovato però una soluzione sorprendente per produrre l’energia utilizzata in scena e limitare le emissioni di Co2.

Per rispondere a questa domanda facciamo un passo indietro sulla genesi e sui principi che animano questo lavoro. Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione nasce nel contesto di “Sustainable theatre?”, un esperimento dal respiro internazionale che si muove attorno alla riflessione intorno a un teatro sostenibile nelle pratiche e nelle modalità di realizzazione. Un progetto allargato, ideato dal Theatre Vidy-Lausanne, che ha coinvolto Katie Mitchell e Jerôme Bel assieme ai principali teatri d’Europa, per ripensare i processi e le condizioni produttive degli spettacoli dal vivo, in un’epoca di profonda crisi climatica come la nostra. Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione, della drammaturga statunitense Miranda Rose Hall è il testo che Katie Mitchell ha scelto e messo in scena per inaugurare questo processo e che siamo stati chiamati a “reinterpretare”; un’operazione inedita che si articola attorno al doppio principio della sostenibilità energetica e della delega. Il primo parametro è quello energetico: l’energia consumata per la creazione dello spettacolo deve essere prodotta in tempo reale e tenersi sotto una soglia di consumo paragonabile a due ampolle a incandescenza di una delle nostre cucine. Abbiamo modulato la soluzione a questa “misura” energetica su quella proposta da Katie Mitchell: saranno quattro ciclisti in scena (la Mitchell ne prevedeva due) che, pedalando durante tutta la durata dello spettacolo, renderanno possibile questo delicato meccanismo energetico.

Il secondo parametro è quello produttivo: per evitare che lo spettacolo vada in tournée e contribuisca alle emissioni di Co2 dei viaggi aerei, il concept e la regia originali sono affidati alla reinterpretazione di singoli artisti scelti dai teatri europei coinvolti nel progetto. Questo secondo principio si fonda su quel “meraviglioso strumento di condivisione e fiducia” che è la delega. Un principio azzardato e rischioso, che implica non solo la perdita dell’autorialità della Mitchell stessa, ma anche degli artisti-interpreti che devono, in qualche modo, fare un passo al lato, rinunciando ad alcuni strati della propria poetica. “Potete fare quello che volete” ci dice Katie Mitchell durante una riunione, salvo attenervi al vademecum energetico, al rispetto della linea drammaturgica del testo e ad alcune precise indicazioni, dalla scelta della protagonista non bianca, al coinvolgimento di un coro. Una grande libertà dentro i confini di una griglia e nel grande cantiere che questo progetto ha rappresentato abbiamo sempre più scoperto che - citando Patrizia Valduga –: “Più la gabbia è stretta più la lingua brilla”

Che cosa ha significato per voi essere coinvolti in questo progetto e come avete reinventato il format immaginato da Katie Mitchell?

Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione ribalta il principio della rappresentazione teatrale. Non si tratta della messa in scena di un testo, ma dell’interpretazione di un intero spettacolo. Proprio perché abbiamo sempre scelto ogni singolo testo su cui lavorare tessendo un unico laccio fra scrittura scenica e regia, questa chiamata alla reinterpretazione di un oggetto artistico preesistente, ci ha richiesto una forma inedita di disciplina ovvero di operare “in sottrazione” e allo stesso tempo stringere un patto di fiducia, con il testo e con il progetto tutto. Un vero e proprio “esercizio” teatrale (nel senso che Roland Barthes intende, pensando agli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola) per invertire il processo stesso della creazione artistica e far sì che questa non si generi solo dalle nostre immaginazioni, ma proprio da quei parametri e da quelle maglie – a prima vista così strette – delineate dal concept originario. È stato allora innanzitutto proprio il principio energetico dell’allestimento di Katie Mitchell, con suoi limiti, a muovere riflessioni, esperimenti e creatività. Cosa si illumina con 150 watt, cosa si sente, cosa si vede? Tutto si gioca su questo confine sottile, una lotta all’arma bianca fra l’attivazione di un immaginario scenico e dei parametri da rispettare. Usiamo allora i led per il loro basso consumo, ma incastonandoli nelle ribalte o nelle padelle in disuso del teatro, scegliamo la lavagna luminosa per la qualità delle sue immagini, ma modificandone il dispositivo energetico e solo per lo stretto tempo necessario, il suono arriva di lontano e definisce gli andamenti emotivi del racconto regolando il volume a seconda dell’energia che si produce in scena. Anche la natura dello spazio scenico obbedisce a un principio di riuso e necessità. Nulla è stato acquistato: dai costumi (presenti nelle sartorie del teatro o di seconda mano), ai grandi tulle che dividono lo spazio (un avanzo di magazzino), agli elementi scenici veri e propri, scelti fra i materiali di risulta – non riciclabili e inquinanti – del laboratorio di scenotecnica del Piccolo Teatro.

Una griglia che ha anche avuto il merito di generare una rete di relazioni e alleanze che sono per noi un’altra forma di sostenibilità. Ricreare il dispositivo energetico ideato da Katie Mitchell e adattarlo alle esigenze energetiche legate al nostro immaginario e anche a uno spazio come il Teatro Studio Melato è stato così reso possibile grazie al collettivo Pedal Power e alle sue sperimentazioni energetiche, mentre è stata la collaborazione con una selezione di cori amatoriali cittadini a rendere possibile la presa in carico della partitura musicale del testo.

Ci raccontate le tante anime dello spettacolo, ovvero recitazione, musica, movimento, spazio scenico, luci e immagini?

La prima “anima” è quella del testo, siamo partiti da qui, come sempre nei nostri lavori; un testo che, se pur non direttamente scelto da noi, ha rilasciato però in noi qualcosa, come l’uranio. Questo qualcosa attiene alle estinzioni, al tempo profondo, al fare pace con la morte e a integrarla dentro la vita, a questa Terra che «probabilmente potremmo dire che non è né felice né triste, ma in equilibrio».

Attiene alla linea femminile e alle ferite antiche che ci portiamo e che continuamente ci modificano e si modificano in noi e grazie a noi. Attiene al creaturale, alle preghiere laiche e alle specie estinte (o quasi), cui ridare un nome per farle esistere davvero nella nostra immaginazione e così dar loro il diritto d’essere parte del mondo. Attiene ai cataloghi come espediente per rimemorare le specie. Attiene allo sfaldamento degli ecosistemi perché prima delle specie si estinguono le relazioni fra di esse, perché gli Endling, i fantasmi di specie sola, muoiono prima di tutto perché “soli”, perché si è dissolto il loro habitat e con questo i loro compagni di vita, perché non muoiono semplicemente, ma con loro finisce il mondo, per come lo conosciamo. Attiene all’importanza di ridirsi passo passo, con semplicità, le cose e all’indignazione del “non è inevitabile”.

La seconda anima è quella dell’ambientazione scenica che ha orientato non solo le immaginazioni, ma la cifra stessa dello spettacolo, dalla recitazione agli ambienti visivi a quelli sonori. Siamo partiti dallo spazio fisico che ci accoglie, dal Teatro Studio Melato, dalle sue dimensioni e dalla sua natura architettonica. Ne è nato un ragionamento sulla scena che è stato al tempo un ragionamento sul testo.

Abbiamo così diviso lo Studio Melato in tre zone di senso:

1 - Lo spazio dell’emiciclo. Qui si fa il racconto. È lo spazio della narrazione e dello spettatore. È lo spazio del tempo presente. Da qui la protagonista parla al pubblico, si interroga e lo interroga, gli rivolge letteralmente la parola, in una forma che è quasi quella di un’orazione. Una forma-pensiero immediata, che si costruisce spazialmente attraverso il grado di prossimità con il pubblico. È in questo spazio che si produce l’energia necessaria allo spettacolo; i ciclisti e tutto il delicato impianto energetico sono visibili al pubblico in tempo reale; la quantità di energia prodotta viene segnalata da due display con il conteggio dei watt consumati. Il meccanismo si attiva dopo un prologo che comincia con le luci di sala.

2 - Una membrana sottile fatta di cinque tulle semi trasparenti in forma di velari lascia intravedere lo spazio retrostante. È lo spazio interstiziale della soglia che separa la zona dell’emiciclo dal palco. È come se su questa pellicola si poggiasse la parte riflessiva del testo; la membrana si trasforma e diventa a tratti supporto per le immagini luminescenti delle specie in estinzione, ma anche superficie dove si sbattono le ombre degli elementi scenici e dei corpi presenti dello spazio retrostante dando a vedere quel che resta di un allestimento che non sarà mai interamente visibile agli spettatori, se non per le pulsazioni di luce e di ombra create da un’unica flebile fonte luminosa. È come se l’umanità, il suo tempo infinitesimale sulla terra fosse dello stesso spessore di questa membrana sottile, una frattura e una crepa lungo l’arco di vita della Terra.

3 - Lo spazio del palco vero e proprio emerge dietro questa membrana. È lo spazio del tempo profondo. Ma anche di quel “paesaggio desolato e in rovina” che stiamo lasciando alle generazioni future. Qui un albero resiste da tempo immemorabile in un ambiente fatto di scarti, di residui non riciclabili delle nostre vite, come fossero materiali di risulta del nostro tempo sulla Terra. In questo spazio si muove il coro, i corpi ne emergono come da un tempo lontanissimo con piccoli gesti, attraversano una landa notturna che si percepisce appena e che prenderà luci e colori solo nello spazio del pensiero e dell’immaginazione.

Per restituire il coro, abbiamo scelto voci flebili antichissime o appena nate di corpi fragili di cantanti non professionisti. Un coro misto di uomini e donne di età diverse, con una maggioranza di corpi “anziani” a segnare il legato alle generazioni future e il legame con le passate. Una partitura sonora e corporea fatta di reperti, di gesti appena accennati, di una melodia spezzata e appena percettibile. Un andare assieme nello stesso tempo e nello stesso momento che è come un frullare d’ali prima della morte. Così la partitura musicale, composta per noi da Gianluca Ruggeri, “Benedizione profana", si è divisa in due parti complementari: la prima è un canto della comunità che lascia vibrare singole voci improvvise, la seconda è una meditazione laica che invita tutti a riconoscersi nell' "eterna corrente" della vita.

Invitare lo sguardo del pubblico ad accarezzare oggetti e corpi
di Marco D’Agostin

Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione chiama in causa corpi, tempi e luoghi altri, misteriosi e seducenti per la loro inusualità, il nitore e l’ampiezza slabbrata dei loro contorni. Un approccio coreografico a questo testo e a questa messinscena deve porsi innanzitutto il problema di come adagiare sulla superficie concreta dei corpi umani, dell’apparato tecnologico e degli elementi scenografici, uno strato immaginifico che interpelli altri mondi, altre durate, altre carnalità. Si tratta di invitare lo sguardo del pubblico ad accarezzare oggetti e corpi della scena nella loro nudità, e assieme accordare silenziosamente con spettatori e spettatrici una complicità che trasformi quella materia in polvere di stelle, distese desolate, cieli nuvolosi. Il tempo da cui Noemi ci parla è vertiginosamente presente: è il tempo della performance live ma anche quello più eminentemente contemporaneo, il tempo delle nostre vite, ogni giorno al cospetto di una catastrofe imminente. Eppure le parole di Noemi evocano un tempo altro, un tempo profondo, e lo fanno di continuo, prima aggirando, poi circoscrivendo, infine affondando in questo pensiero. È a questo tempo che lo spettacolo allude, accompagnando lo spettatore a respirare, almeno per un istante, con le faglie acquifere, le frane preistoriche, le sequoie ancora vive. Ed è proprio nel tentativo di fratturare un presunto andamento “umano” del tempo, che lo spazio posteriore della scena si inargenta e risveglia, abitato da sbilenchi titani che camminano sopra le rovine e i sogni di antiche e nuove civiltà: sono i corpi dei coristi, un gruppo misto di cantanti amatori che era necessario mettere nelle condizioni di abitare la scena secondo regole chiare, semplici ma estremamente sofisticate. In questo senso è stato costruito per loro un habitat immaginario – una landa desolata, illuminata appena dalla luna –, attraversato da itinerari sbiaditi sui quali i corpi incidono orme, intonano parole, riportano alla luce frammenti di gestualità corrose. Nel luogo del puro presente, ovvero nello spazio dedito alla produzione e al consumo di energia – il proscenio, arcipelago ad alta intensità energetica (correnti voltaiche nel reparto tecnico, sguardi vibranti nel buio della platea) – cerca di sopravvivere il corpo di Noemi. Obbligata a occupare l’arena scenica, a sciogliere muscoli impauriti e carni tese per prendere parola e dare alla parola altri muscoli e altre carni, Noemi impara nell’arco dello spettacolo ad abitare il centro. Per riuscire a farlo chiede continuamente di non essere lasciata sola e sul finale si lascia sfibrare da una insostenibile stanchezza – quella di una serata difficile, di uno spettacolo impossibile da fare, e anche quella di un’esistenza faticosa, la vita umana e quella del pianeta –, e confessa un’ultima, intima e potente immagine, lasciando che la voce lasci in eredità al pubblico un corpo esausto ma spalancato. Dietro di lei insistono nella loro pedalata i corpi dei ciclisti, corpi fisiologici, la cui fatica non è solo lo strumento necessario alla produzione dell’energia ma anche una materia viva, mutevole: sudore, alta pressione e nervi vigili sono a piena disposizione degli occhi degli spettatori. E proprio gli spettatori e i loro corpi sono le presenze più interpellate dal testo: è a loro che è richiesto di immaginare e figurare bestiole fluttuanti, impossibili foreste, esplosioni di vita. Abbiamo deciso di non assumere un atteggiamento ammiccante o seduttivo nei loro confronti, piuttosto ci siamo posti il problema di come attivare realmente i loro occhi, di come renderli parte della scrittura scenica. Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione chiede al corpo degli spettatori di allenarsi progressivamente a vivere e resistere come fa il corpo di Noemi, chiede ai corpi di assumere su di loro il peso gravoso ma necessario di una responsabilità collettiva, e nel farlo sembra invitare di continuo le colonne vertebrali a protendersi oltre le sedute della platea, in un’ideale adunanza che mettendoci tutti insieme di fronte all’enormità della morte ci suggerisca la possibilità di una dolce rivoluzione.

I cori

Il canto Benedizione Profana composto da Gianluca Ruggeri sarà affidato a 16 coristi, a ogni recita diversi, scelti da un gruppo di 41 cantori provenienti da diverse realtà milanesi di musica amatoriale (e non solo): Coro Hispano Americano, Voci di mezzo e Sa oghe ‘e su coro, Coro di Micene, Coro Suoni e l'anpi, Glass armonico, Coro Sinfonico Giuseppe Verdi, Quintetto Imperfetto, Cantarei.

Pedal Power

Perché far fare a un combustibile fossile quello che possiamo fare con le nostre gambe?

Da questa idea nasce nel 2018 il progetto Pedal Power, che costruisce installazioni di biciclette per alimentare eventi e installazioni artistiche. Quando andiamo a teatro, a un concerto, o assistiamo a una proiezione cinematografica, raramente riflettiamo sull’energia che li alimenta: quanta ne serve e dove viene prodotta l’elettricità impiegata? Pedal Power vuole esplicitare questa relazione, spesso permettendo anche ai partecipanti di sperimentarla nelle proprie gambe, protagonisti o spettatori attivi della sua produzione. Cosa si prova a farsi carico, collettivamente, del fabbisogno energetico dell’evento cui si assiste? Questa linea di pensiero, lontana dalla narrativa colpevolizzante che addita il singolo come “distruttore del pianeta”, invita a un’attitudine basata innanzitutto sulla consapevolezza dei propri effetti sul e nel mondo, e a una lucida assunzione di responsabilità nell’utilizzo delle risorse: se è giustificato usarne di esterne dove non arriviamo, prima possiamo dare fondo alle nostre. Pedal Power è un progetto dell’associazione milanese Collettiva Trasforma, che lavora sui temi della sostenibilità ambientale e sociale promuovendo la diffusione di pratiche che hanno come primo riferimento la forma collettiva, ritenuta quella a più alto potenziale per lo sviluppo del benessere, sia individuale sia comunitario, nonché l’unica in grado di dare vita a cambiamenti positivi a lungo termine. www.pedalpower.green

Le biografie

lacasadargilla riunisce intorno a Lisa Ferlazzo Natoli – autrice e regista –, Alessandro Ferroni – regista e disegnatore del suono –, Alice Palazzi – attrice e coordinatrice dei progetti – e Maddalena Parise – ricercatrice e artista visiva –, un gruppo mobile di attori, musicisti, drammaturghi, artisti visivi. Ensemble allargato che lavora assieme su spettacoli, istallazioni, progetti speciali, concerti, curatele e festival. lacasadargilla innesta i propri lavori su scritture originali, riscritture letterarie e testi di drammaturgia contemporanea. L’ensemble costruisce i progetti riflettendo intorno al tempo, alle mitografie e alle eredità linguistiche, psichiche e familiari che ci legano al passato cui apparteniamo e a un futuro che possiamo solo intravedere. lacasadargilla condensa inoltre le proprie riflessioni attorno al tema ampio dell’estinzione – biologica, affettiva e sociale – di tutti quei sistemi delicati e complessi che reggono relazioni, immaginazioni, antropologie ed ecosistemi. When the Rain Stops Falling con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli vince tre premi UBU – tra cui miglior regia, e il premio Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. L’amore del cuore – ultima creazione della compagnia – ha debuttato a maggio 2021 ricevendo un ampio consenso di critica e una nomination al premio UBU. Sempre nel 2021, in collaborazione con Marta Cuscunà e Marco D’Agostin, lacasadargilla realizza il progetto curatoriale Ogni volta unica la fine del mondo per la stagione estiva del Piccolo Teatro di Milano_Teatro d’Europa. Produzioni in corso: Il Ministero della Solitudine, testo originale per 5 attori (2022).

Marco D’Agostin è un artista attivo nel campo della danza e della performance, vincitore del Premio UBU come Miglior Performer Under 35. Come interprete ha lavorato per, tra gli altri: C. Castellucci, A. Sciarroni, L. Santoro, B. Charmatz. Dal 2010 ha sviluppato la propria ricerca come coreografo ospite in numerosi progetti internazionali. Ha presentato i propri lavori in molti dei principali festival e teatri europei (Théâtre de la Ville a Parigi, The Place Theatre a Londra, Kampnagel ad Amburgo, Santarcangelo, Romaeuropa, VIE, Torinodanza, tra gli altri).

Nell’estate 2021 ha debuttato con due nuove creazioni: BEST REGARDS (nomination UBU 20/21 come miglior spettacolo di danza) nel programma della Biennale di Venezia e SAGA, realizzato con il supporto del prestigioso programma New Settings della Fondazione Hermes, nell’ambito del Festival parigino Rencontres chorégraphiques de Seine-Saint-Denis.

Esther Elisha (Noemi)

Esther Elisha è un’attrice italo-beninese. In teatro, è stata diretta da Roberto Andò in Good people di Lindsay Abaire. Al cinema è protagonista femminile di Là-bas – Educazione criminale di Guido Lombardi, film vincitore alla Mostra del Cinema di Venezia 2011 del Premio “Kino” e del “Leone del Futuro”. Nel 2013 torna a collaborare con Guido Lombardi in Take Five, in concorso al festival di Roma. Al cinema, tra gli altri, è tra i protagonisti di Nottetempo, di Francesco Prisco, e coprotagonista in Neve di Stefano Incerti. In tv ha partecipato alla serie Boris e per tre stagioni è stata una delle protagoniste della serie di Rai1 Tutto può succedere diretta da Lucio Pellegrini.

Nel settore dell’arte contemporanea, ha collaborato con il duo di artisti Ambra Pittoni e Paul-Flavien Enriquez-Sarano in diversi progetti performativi a Mosca, Marsiglia, Milano e al Maga di Gallarate.

Il videoclip Always Better di 2StoryCabin, prodotto nel maggio 2020, è la sua prima regia.

Nel 2021 è la penna e la voce del podcast Storytel Tell Me Mama, insieme alla scrittrice Igiaba Scego.

È tra i protagonisti della serie Netflix Guida astrologica per cuori infranti.

Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione

Oltre la scena | Il Teatro del Giorno Dopo

#Walk_Talk

domenica 6 marzo - Passeggiata in compagnia…

Lacasadargilla accompagna un gruppo di spettatori dal Teatro Studio Melato al Chiostro Nina Vinchi: una breve passeggiata “in compagnia”, per sgranchirsi gambe e idee dopo lo spettacolo, scambiarsi impressioni a caldo e scoprire dalla voce dei protagonisti qualche piccola informazione in più, aneddoti e curiosità. Una conversazione in itinere che proseguirà davanti a un aperitivo nella cornice del Chiostro di via Rovello.

domenica 13 marzo - Passeggiata BAM | Città sostenibile

Dal Teatro Strehler a BAM - Biblioteca degli Alberi Milano.

Un attraversamento cittadino per parlare di sostenibilità civica, ambientale e infrastrutturale, osservando da vicino il cambiamento e lo sviluppo urbano della città, ma anche per ammirare il ricchissimo patrimonio vegetale della Biblioteca degli Alberi, un giardino botanico contemporaneo che custodisce più di 100 specie botaniche, oltre 500 alberi e 135.000 piante tra erbacee, aromatiche, acquatiche e siepi, con la partecipazione dell’ensemble lacasadargilla.

Evento in collaborazione con BAM – Biblioteca degli Alberi Milano, progetto della Fondazione Riccardo Catella

#Parole in pubblico

(Chiostro Nina Vinchi)
Diversificare la narrazione

Tre dei principali nuclei tematici dello spettacolo (“linguaggio”, “sostenibilità” ed “estinzione”) diventano gli inneschi per altrettanti incontri, dialoghi, conversazioni con ospiti diversissimi. A cercare di garantire una molteplicità di prospettive, un orizzonte aperto, una narrazione diversificata.

mercoledì 9 marzo, ore 17.30 - Diversificare la narrazione #1 | Linguaggio

Conversazione con Mackda Ghebremariam Tesfau, Claudia Bianchi, Noura Tafeche e Marco D’Agostin

mercoledì 16 marzo, ore 17.30 - Diversificare la narrazione #2 | Sostenibilità

Conversazione on Caterina Sarfatti (Direttrice C40 Inclusive Climate Action), Martina Comparelli (Fridays for Future), Maddalena Parise e Margerita Mauro

mercoledì 23 marzo, ore 17.30 - Diversificare la narrazione #3 | Estinzione

con Telmo Pievani e Maddalena Parise

#PiccoloSmart

dal 2 marzo

Good morning, futuro!

Un podcast in cinque episodi che raccoglie i racconti di fantascienza contemporanea Donna in piedi (di Yasutaka Tsuitsui) e La soluzione della mosca (di Alice Bradley Sheldon, alias James Tiptree Jr.) per riflettere sulle ‘epidemie’ culturali e biologiche, sui sistemi di controllo de-umanizzanti, sulle relazioni come principio e perno di ogni sopravvivenza.

dal 4 marzo

Onomaturgia prima della Quiete

a cura di Noura Tafeche

Una serie di neologismi per riflettere, tra arte visiva e linguaggio, sulle possibilità espressive legate ai temi dell’identità, processi relazionali ed estinzione.

Laddove non diversamente specificato, gli appuntamenti sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni su piccoloteatro.org

Uno spettacolo per chi vive in tempi di estinzione

Oltre la scena | Per le scuole

#PiccoloLab

Do it yourself

Progetto formativo e teatrale, a cura di Davide Carnevali, centrato sul tema della sostenibilità e rivolto alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria di secondo grado che mira alla creazione di mini-spettacoli teatrali in ambito scolastico. Ispirato alla riflessione sulla sostenibilità del fare teatro, avviata da Katie Mitchell e declinata nel lavoro di lacasadargilla/Lisa Ferlazzo Natoli per Uno spettacolo per chi vive in tempi d’estinzione, il percorso, che si snoda tra incontri digitali, tutorial dedicati e momenti di confronto con gli attori-tutor Michele Dell’Utri e Diana Manea, consentirà alle studentesse e agli studenti di lavorare alla messa in scena del proprio spettacolo, partendo dalle riduzioni di tre classici della storia del teatro – Zio Vania, Un nemico del popolo, Finale di partita, adattati per l’occasione da Davide Carnevali – in cui il tema ambientale appare, seppur attraverso forme e sensibilità molto diverse – evidente.

Il progetto è realizzato grazie al sostegno di SCJohnson





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