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venerdì 23 ottobre 2020

“CANZONI CHE SAREBBERO DOVUTE USCIRE 
TOT ANNI FA”
È IL DISCO D’ESORDIO DI VANBASTEN
IN USCITA IL 30 OTTOBRE 2020

Esce il 30 ottobre 2020 “CANZONI CHE SAREBBERO DOVUTE USCIRE TOT ANNI FA”, il disco d’esordio di VANBASTEN, nome d’arte di Carlo Alberto Moretti.

Basi new wave, poetica urbana e diretta e un’attitudine decisamente punk si snodano in questa opera prima di Vanbasten.

Una iniziale carriera calcistica giovanile interrotta per amore della musica a 22 anni, un primo EP pubblicato e una serie di singoli - “16enne”, “Pallonate”, “Santamadre”, “Mascara”, “Kenshiro” e “Bevi Bevi” - sono il preludio all’esordio discografico di Vanbasten:

un album che contiene 10 brani, rappresentativi di un immaginario fatto di periferie, amori, ferite, violenza, sconfitte, voglia di rivincita e di riscatto, in cui è l’esigenza di descrivere la realtà a guidare la narrazione.

CREDITI DEL DISCO

Testi e musica: Carlo Alberto Moretti
Produzione: Francesco Bellani
Master: Andrea Suriani
Artwork: Marika Di Tommaso

ETICHETTA E MANAGEMENT: FLAMINGO MANAGEMENT - flamingo.management2@gmail.com

BOOKING: DNA CONCERTI - michele@dnaconcerti.com

DISTRIBUZIONE: ARTIST FIRST

TRACKLIST

01_KENSHIRO
02_MASCARA
03_16ENNE
04_SANTAMADRE
05_PALLONATE
06_BEVI BEVI
07_CANADAIR
08_SENNA
09_EUROSPIN
10_SPARARE SEMPRE

VANBASTEN PARLA DEL DISCO “CANZONI CHE SAREBBERO DOVUTE USCIRE TOT ANNI FA

Dopo aver pubblicato il primo Ep avevo l'esigenza di far crescere la produzione delle canzoni e se prima il lavoro veniva fatto tutto in sala prove, d'ora in avanti volevo lavorare in maniera diversa. Iniziai a produrre tre provini: “16enne”, “Pallonate” e “Mascara”, volevo scrivere delle persone che mi erano vicine, di un mondo fatto di urla e depressioni, di amicizia e solitudine, di povertà e di lavoratori, di violenza e di dolcezza. Chi cerca di essere qualcosa dalle mie parti vive una contraddizione continua e di solito non ha nemmeno troppo tempo per ascoltarla la musica, figuriamoci per farla. Quando decisi di iniziare a suonare avevo ventidue anni, andai in Piazza dai miei amici e chiesi chi avesse voglia di farlo con me. Chiaramente nessuno sapeva suonare un cazzo, ma ovviamente alzarono la mano in tre. Iniziammo a suonarci addosso di notte, dentro al salone di parrucchiere di Felice, mio padre. Condividevamo rabbia ed urgenza di esprimerci, ma in quanto a suonare eravamo delle pippe pazzesche, tuttavia se qualcuno si fosse permesso di farcelo notare avrebbe passato le pene dell'inferno; presuntuosi? Sì, e infatti col passare degli anni sarebbero crollati tutti i pezzi di quella follia tranne uno. Ogni volta che salgo su un palco o registro un pezzo ripenso a quel periodo d'oro, dove serviva soltanto crederci e volare. “Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa” è il frutto di tutto questo, ma non solo, è un disco semplice fatto da persone complesse, arrangiato passando dal classico al contemporaneo, tenendosi a mantenere schietto e spietato nei temi come nei suoni.

Le canzoni di questo disco sarebbero dovute davvero uscire tanti anni fa, ma sono successe così tante cose nel mezzo che non ho potuto fare diversamente che rallentarne la pubblicazione. Ogni pezzo è stato concepito in modo onomatopeico tra suono e significato in modo spontaneo; scrivo al piano, alla chitarra o sulle note del cellulare, ma poco cambia, se ho qualcosa da dire, prima o poi troverò il modo per raccontarla. Quando dico che suono, tutti pensano che io sia un rapper o un trapper, ma va bene così, le etichette non le ho mai amate e confondervi le idee mi ha sempre divertito. Sono un ragazzo abbastanza normale, non semplicissimo, non troppo equilibrato e nemmeno abbastanza conscio di ciò che sto facendo, però brucio per dirvi ‘ste cose e finché brucerò scriverò le canzoni per chi ne ha bisogno, per chi mi smuove dal torpore. Sono un killer sotto al sole, solo a crivellar parole, lasciami restare, lasciami tentar l'immensità.

GUIDA DELL’AUTORE ALL’ASCOLTO DELL’ALBUM BRANO PER BRANO

01_KENSHIRO

“Kenshiro” l'ho iniziata a scrivere su un treno di ritorno da Bologna, volevo raccontarmi senza censura; la mia epilessia, la miseria della periferia e la depressione sono state accanto a me per ogni strofa ed in ogni sillaba che ho scritto ne ho pesato il valore pagandolo a caro prezzo. Volevo dire che ci sono, magari arrivo in ritardo e non sono nemmeno il benvenuto nei vostri salotti borghesi, che amate travestire da quartier generali liberali, ma ci sono e se questo vi infastidisce a me fa proporzionalmente godere. “Kenshiro” gira su un'armonia new wave semplice, di quelle che ho imparato a suonare vivendo per tre anni e mezzo in una sala prove in mezzo al nulla, per me quello era il suono del silenzio e della solitudine, era il suono che mi dava più pace di tutti gli altri. Voglio essere un libro con le storie che nessuno vuole mai raccontare, quelle di chi non ha quasi niente e di chi ha perso tutto. Voglio dipingere tossici, criminali, amici tristi, adolescenti eccitati e donne speciali. “Kenshiro” serve anche a tutto questo, copre le spalle alle mie parole, le protegge affinché io stesso non decida di non liberarle più.

02_MASCARA

Era il Gennaio del 2010, in quel periodo i concerti oltre che farli li organizzavo e mi trovavi quasi tutti i giorni su un bus 86 che mi rimbalzava da Vigne Nuove al Piper Club e viceversa. Uno di quei giorni quando ne scesi avevo scritto qualcosa. Quando si aprì la portiera mi regalavo di nuovo alla borgata aggrappandomi ad un sorriso nuovo: avevo appena scritto quella che per anni sarebbe stata la mia canzone più bella, “Mascara”. Volevo raccontare la rabbia che provava un mio amico dopo essere stato deluso dalla sua ragazza. Volevo potenza, melodia e una sobria arroganza che all'epoca non mi apparteneva per niente. La desideravo e la trovai su quell'86 in un pomeriggio di metà Febbraio. Quindi, se ora per caso siete di Roma e fate quel tragitto, mettetevi le cuffie, sparatevela e pensate che senza di lei non avrei scritto più nient'altro. Le liriche sono semplici anche se sono distribuite in un incastro desueto. Non esiste un ritornello vero e proprio anche se la parte finale asseconda un climax corale. Scrivendola volevo solo accompagnare un dispiacere, proteggerci è tutto ciò che abbiamo per risalire.

Davanti alla perdita di un amore diventiamo fragili e sostituiamo la sopravvivenza con una nichilistica versione della libertà. ‘’Amore mio bye bye”, si riferisce a tutto ciò che amiamo e che poi un giorno se ne va. Un sogno, un incubo, il freddo, il caldo, la voglia di yogurt la mattina o quella di thc la sera. Salutiamo in continuazione cose che non torneranno senza nemmeno rendercene conto. “Se fossi qui vedresti che muoio anch’io a ridere mentre invece vorrei piangere e illudermi con te”; beati gli illusi che ancora non hanno sofferto nemmeno per un giorno.

03_16ENNE

Per uno che inizia a suonare a ventidue anni non è semplice calarsi nel ruolo del musicista con sicurezza. Mi

sentivo inadatto, incapace e talvolta fuori luogo, mi ero messo in testa che finché non fossi diventato bravo non avrei pubblicato nulla, mi vergognavo, avevo paura di esibirmi. Mi ci vollero quasi quattro anni chiuso in una sala di campagna notte e giorno per convincermi che potevo farlo anche io. Quando presi coscienza arrivò anche il coraggio, volevo che le mie canzoni arrivassero a più persone possibili e mi rendevo conto di aver bisogno del pop. “16enne” è ispirata interamente a quel periodo, al mio anno zero e come tutte le necessità vere non si fece pregare troppo, mi venne tutta di getto l'ennesima notte in cui me ne restavo a casa da solo. Le sue liriche sono al limite della retorica, iniettate ovunque di richiami e citazioni, scivolano come una fiaba pulp tra quello che è stato, quello che è e quello che non sarà più; “Tu non c'eri già più”, si riferisce all'adolescente che muore, alla spensieratezza perenne, al rischio ridotto che si presentava dopo ogni cazzata. Il tempo che sembra essere eterno e non finirà mai, mai e poi mai, la solitudine data dall'inadeguatezza, le piccole guerre giganti di un’età che ci ha preso innocenti e ci ha restituito pirati in strada. “16enne” mi ha insegnato a sviluppare la sincerità come mezzo per attaccare il pop e l'unico modo per produrla era renderla un mix di melodia e dinamica crescenti fino a fermarsi un filo prima del grottesco. Una Roland 909 dritta in pieno petto, proprio dove l'insicurezza aveva trovato casa, era il miglior modo per cacciarla del tutto a calci nel culo; basta cazzate, volevo metterci la faccia.

04_SANTAMADRE

“Santamadre” è nata in un momento in cui Frankie (Bellani) stava passando un periodo particolare e mi invitò a casa sua affinché scrivessi qualcosa per lui. Gli chiesi di raccontarmi qualcosa di più, qualche dettaglio intimo che colorasse la narrativa, ci sedemmo in balcone a fumare e mi disse: “Io lo dicevo che non eri pronta, ma niente, te hai voluto farlo lo stesso. Abbiamo fatto la guerra e sono vivo per miracolo, mentre te ancora ridi, passi al prossimo e appena lo hai ucciso mi riscrivi.” Da lì in poi le mie parole si legarono immediatamente sulla base scritta da Frankie e in mezz'ora scarsa avevamo appoggiato le voci per vedere se davvero funzionava: girava benissimo. Quando mi capita di scrivere per le persone che amo, di mettermi nei loro panni, soffro sempre. Come un sarto cuce un abito per un suo cliente, io mi costringo ossessivamente a cercare le parole migliori, il registro linguistico più adatto a quella persona affinché possa ascoltare quella canzone come fosse la Theme Song del film sulla sua vita. “Santamadre” mi obbligò a realizzare questo processo in modo sintetico e fu una bomba emotiva; uscito da casa di Frankie riascoltai il pezzo maniacalmente decine di volte, era il vestito di mio fratello, dovevo controllare che non gli stesse largo.

05_PALLONATE

Camminando da solo per strada, sotto al diluvio, prendo le cuffie e le sciolgo col dito, metto il cappuccio mio migliore amico e cammino. Le periferie sono dipinte solo dai rapper e dai trapper, io non sono un rapper, non sono un trapper, non sono indie, non sono un cazzo. Sono uno che vive in periferia e che qualche volta la vuole raccontare. Scrivo quello che vedo, se vedessi una coppia borghese che si bacia scriverei di loro, ma vedo più che altro la gente mentre sopravvive.

“Pallonate” si sarebbe dovuta chiamare “Novelle Noir”, ma poi decisi di cambiarlo e di dedicargli il titolo del disco, non andò poi così, ma l'importante è che suona esattamente come desideravo. Nella pre-produzione riempii ogni battuta con una cassa, volevo che l'impressione dei palloni calciati contro un muro accompagnasse tutto il pezzo e che una chitarrabasso wave le girasse intorno con poche ma ipnotiche note. Volevo scrivere una canzone che parlasse dei miei posti, un manifesto per me e per i miei fratelli. Doveva essere potente perché volevo che facesse casino quando ubriachi ce la saremmo pompata in macchina, ma volevo anche che fosse spietata senza essere esagerata; in pratica volevo trasformare gli scenari della nostra giovinezza in musica, volevo prendere a pallonate tutte le canzoni borghesi d'amore che sentivo uscire.

06_BEVI BEVI

Ho iniziato a scrivere canzoni per descrivere una classe precisa, non per me o per piacere alle ragazze, ma perché ero affascinato da quei cantautori che raccontavano le storie degli altri, quelle di chi stava peggio, di chi aveva bisogno di un inno da urlare o di una preghiera da sussurrare. Le canzoni d'amore sono un'altra cosa: fanno da grimaldello per un business milionario e quindi preferisco parlare della nostra generazione, di quella cresciuta così, con poco avere e tanto volere. “Bevi Bevi” non ha propriamente il registro linguistico di una love song canonica, ma per me lo è nel modo più spietato e sincero che avessi a disposizione. Non mi piace compiacermi di un'emozione o celebrare una passione, preferisco descriverlo come fosse un quartiere, la dignità è un valore che l'amore deve possedere impugnando a due mani tutta la sua crudeltà; come un ragazzo che cresce o un uomo che invecchia, l'amore cambia e quegli attimi colati dall'irrazionalità vanno via con la loro stupefacenza ed imprevedibilità, lasciano posto a qualcos'altro di più vero che ci permette di scegliere, una volta liberi e mai più accecati, di lottare per resistere o di ricominciare ad illuderci.

07_CANADAIR

Io e mia madre abbiamo da sempre un rapporto speciale, di quelli che se non li hai, non puoi capire. Siamo sempre stati soli e ne abbiamo passate di tutti i colori tra traslochi, difficoltà e disastri creati dal sottoscritto. Purtroppo qualche tempo fa mamma è stata male ed io non ho saputo far altro che starle dietro h24 dimenticandomi di tutto il resto. Le canzoni erano scomparse completamente e quando finì tutto e riuscii a riportarmela a casa mi sentivo svuotato. Mi attaccai ai lavori che avevo interrotto per assisterla solo una volta che fu tutto di nuovo tranquillo. Le prime parole che trovai racchiudevano tutta la rabbia che avevo accumulato quei mesi: “Sparami nel petto ancora le parole, che sei brava a farti fica mentre qui soli si muore” fu il mio modo per esorcizzare tutto quello che era successo, ce l'avevo con la vita in generale e volevo tornare ad una quotidianità che mi permettesse di vivermi le persone che amavo. Pensavo di poter racchiudere in questa canzone ciò che avevo dentro. Era nata come uno sfogo, un esperimento, mi piaceva per la sua sincerità, parlava per me: “Come un killer sotto al sole solo a crivellar parole”, questa è una frase che si trova anche in un pezzo del mio primo EP e sa un po' di epitaffio, un po' di retorica e un po' di pessimismo leopardiano, ma sa soprattutto di me, e questo mi interessava, nient'altro. “Canadair” me la immagino d'inverno, nelle cuffie o in macchina con i finestrini chiusi mentre fuori piove e tira vento, me la immagino cercare compagnia, consapevole però, di stare bene anche da sola.

08_SENNA

Non tutte le canzoni nascono per una necessità, alcune ti vengono a cercare senza sapere se tu sia pronto o no, se tu le voglia o meno. “Senna” non era un figlio voluto, ci è sbucata fuori per caso. Frankie mi ha trasmesso la passione per il genio brasiliano dopodiché abbiamo deciso di celebrarlo. Questa canzone non è altro che un modo per ritrovare la persona e non il personaggio, la big band nei ritornelli deve sapere di festa e di irriverenza, non vuole descriverne la depressione, ma appunto, celebrarne il testamento.

09_EUROSPIN

Chiunque abbia vissuto un po' di tempo in borgata conosce il nome dei cereali o delle birre sottomarca, che senza volerlo sono finiti per diventare simboli o metri di paragone per chi, tutto sommato, riesce a sopravvivere anche senza lussi e continui comfort del cazzo. Con “super offerte e super zingari”, mi riferisco alla consuetudine geografica che vede questo tipo di supermercati sorgere sempre nelle vicinanze dei campi rom. In tutto questo grottesco mercato dell'alternativo ci facciamo pirati, cercando il modo di coccolarci con quello che passa in convento, purché lo si faccia insieme, purché non diventi un assolo, ma che suoni come un'orchestra la voce del pianto che ci affoga da dentro. Si può fare tutto, nulla è impossibile quando nulla hai da perdere e passare le giornate a scrivere canzoni e a girare accordi, amore mio, non ci renderà subito ricchi. “Guarderemo cadere un decennio di cose, e non avrei nemmeno voluto coinvolgerti in questa mia maledetta guerra, volevo soltanto fare l'amore e adesso invece non lo faccio più.” “Eurospin” è una canzone semplice che racconta quanto per me l'amore abbia un costo elevato, quanto si debba pagare tutti i giorni per godere di un mondo che per gli altri non esiste davvero, quanto sia dura far comprendere alle persone che più mi amano che saranno anche i loro sacrifici a dare nobiltà alle mie parole. Ringrazierò per sempre chi mi ha dato senza chiedere mai nulla in cambio.

10_SPARARE SEMPRE

“Sparare Sempre” parla di tutti, di ciò che vogliamo e di come lotteremo per ottenerlo, senza avere la presunzione che la mia retorica sia poetica, ma con la certezza che sarebbe stata spudoratamente sincera.

Qualche tempo dopo averla iniziata, camminando per le vie del quartiere Africano riuscii a finirla, gli andava dato ancora un nome e a me proprio non veniva in mente nulla, mi stava bene così, mi sentivo già appagato. In quel periodo conobbi Carolina, una bambina affetta da un disturbo dello spettro autistico, che ascoltò la canzone ed entusiasta decise di battezzarla “Sparare Sempre”, fu molto convincente ed io non ebbi alcun motivo per non assecondarla. Poco tempo dopo mia madre si ammalò ed in ospedale mi chiedeva spesso di

cantargliela, le piaceva tanto e non era abituata a sentirmi cantare una ballata, credo che la rendesse particolarmente fiera. In ospedale gliela feci così tante volte che alla fine gli infermieri sapevano farmi il coro. Le canzoni a volte le scrivi per un motivo e poi prendono la loro strada, diventano di chi le ama, di chi le vuole. Prima di cantarla ai live vengo assalito dall'ansia finché non sento la prima nota, allora ritorno a quella mattinata in cui la iniziai a scrivere e passa tutto facendomi stare ogni volta sempre meglio.

VANBASTEN – BIO BREVE

Carlo Alberto Moretti, VANBASTEN.

Nasce a Roma, Monte Sacro, nel giugno del 1986. Inizia a suonare a ventidue anni, solo dopo aver concluso una carriera da calciatore che lo ha portato fuori casa, lontano dalla sua città e dai suoi affetti per un po'.

Comincia con la musica dapprima avvicinandosi al rap, poi prende in mano la sua prima chitarra elettrica. L'urgenza di esprimersi e le scarsissime conoscenze in materia non gli impediscono di iniziare a suonare live le sue canzoni, arrivando nel 2019 anche ad aprire concerti di Pete Doherty & The Puta Madres.

Ha navigato il Punk e imparato crescendo. Dal Rap al Punk passando per la Garage e dalla Garage alla New Wave fino al Pop. 

Il 30 ottobre 2020 esce il suo disco d’esordio, intitolato “Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa”.

Link al video di “Santamadre”: https://www.youtube.com/watch?v=kYOFG3Z5Q70


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